Cassazione civile , sez. I, 25 maggio 2005, n. 11018
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAGGIO Antonio - Presidente Dott. PROTO Vincenzo - Consigliere Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella - Consigliere Dott. NAPPI Aniello - Consigliere Dott. PANZANI Luciano - Cons. Rel.
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.G., C.G.D., C.M., C.G., elettivamente domiciliati in Roma, Via Italo Carlo Falbo 22 (Studio legale Angelo Colucci),
rappresentati e difesi dagli avv.ti Marco C., Vincenzo Di Ponzio e Giovanni Carrieri, giusta delega in atti.
- ricorrenti -
contro
FALLIMENTO M.A.C.A.F. INDUSTRIA CONFEZIONI DEI F.LLI C. & C.,
in persona del curatore avv. S.D.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Germanico 109 (studio avv. Giovanna Sebastio),
rappresentato e difeso dall'avv. Attilio Sebastio, giusta delega in atti - resistente e ricorrente incidentale -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto n. 65/02 del 4.3.2002
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/3/05 dal Relatore Cons. Luciano Panzani; Udito l'avv. Angelo Colucci per i ricorrenti principali; Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio Uccella, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
Fatto
Il Fallimento della s.r.l. MA.CA.F.
Industria Confezioni dei Fratelli C. & C. conveniva in giudizio avanti al
Tribunale di Taranto gli ex amministratori della fallita società per sentirli
condannare a versare le somme che avevano determinato l'insufficienza del
patrimonio sociale all'assolvimento delle obbligazioni e, i soci, al rimborso
della somma indebitamente percetta di 500 milioni di lire oltre a quanto
necessario per ottenere il pareggio del bilancio 1988. Esponeva la curatela che
i soci della società C.G., C.M., C.G.D. (classe 1924) e C.G.D.(classe 1939), su
invito del Medio Credito regionale per la Puglia, cui avevano richiesto un
finanziamento di 400 milioni di lire, nell'assemblea del 22.9.1987, avevano
deliberato di accantonare in conto capitale la somma di 500 milioni, con
diritto di restituzione per ciascun socio dopo l'estinzione del debito con la
banca. Nell'assemblea del 30.4.1989, in sede di approvazione del bilancio 1988,
gli stessi soci, preso atto che l'esercizio si era chiuso in passivo di oltre
700 milioni di lire, avevano deciso di ripianare la perdita con il fondo di
riserva di 3.921.977 lire e con il conferimento di beni personali, senza però
farlo. Anzi avevano a più riprese ritirato le anticipazioni per
l'accantonamento di 500 milioni.
Radicatosi il contraddittorio con i convenuti e con G.T., C.V. e C.F., chiamate
all'eredità di C.G.D. (classe 1939), il Tribunale di Taranto con sentenza
9.6.2000 dichiarava inammissibile la domanda della curatela per mancata
produzione in giudizio dei documenti attorei.
Su appello della curatela la Corte d'appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto
- con sentenza 4.3.2002 in riforma della sentenza di primo grado, dava atto che
la curatela aveva depositato il fascicolo di parte contenente i documenti già
prodotti in primo grado e condannava in solido i convenuti C.G., C.G.
(quest'ultima quale erede maggiorenne di C.G.D. - classe 1939), C.M. e C.G.D.
(classe 1924) al versamento delle somme menzionate nella parte motiva della
sentenza, vale a dire la somma di 500 milioni, maggiorata della rivalutazione
monetaria dalla data dei singoli prelievi effettuati sino alla sentenza e gli
interessi legali sino al soddisfo, calcolati sulla frazione di capitale via via
rivalutato anno per anno, e la somma necessaria per il pareggio della perdita
di bilancio relativa all'anno 1988, anch'essa maggiorata di rivalutazione ed
interessi. La Corte territoriale respingeva invece la domanda avanzata dalla
curatela nei confronti di G.T., C.V. e C.F., avendo le stesse rinunciato
all'eredità di C.G.D. (classe 1939).
Hanno proposto ricorso per cassazione C.G., C.G.D. (classe 1924), C.M. e C.G.
formulando sette motivi di ricorso. Resiste con controricorso la curatela del
Fallimento MA.CA.F. che ha anche proposto ricorso incidentale con unico motivo
ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Diritto
Con il primo motivo di ricorso
i ricorrenti deducono violazione degli artt. 163 n. 5, 345, comma 2, c.p.c. e
87 disp.att. c.p.c. Lamentano che la Corte territoriale abbia ritenuto la loro
responsabilità sulla base della delibera di conferimento della somma di 500
milioni in conto capitale. Tale delibera non sarebbe mai stata offerta in
comunicazione nel contraddittorio delle parti, perché non sarebbe mai stata ritualmente
prodotta in giudizio, neppure in appello ex art. 345 c.p.c., con il deposito
del fascicolo di parte come asserito dalla sentenza impugnata.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge sempre in
riferimento agli artt. 163 n. 5, 345, comma 2, c.p.c. e 87 disp.att. c.p.c.
perché la condanna al pareggio della perdita di bilancio 1988 sarebbe stata pronunciata
sulla scorta della delibera assembleare 30.4.1989, documento che del pari non
sarebbe mai stato ritualmente prodotto in giudizio.
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge, anche con
riferimento all'errore di diritto e al vizio logico di valutazione della
volontà negoziale, nonché insufficienza e contraddittorietà di motivazione. La
Corte d'appello pur avendo qualificato il versamento della somma di 500 milioni
come versamento in conto capitale, avrebbe affermato che tale conferimento era
stato effettuato a garanzia della restituzione del mutuo bancario. Peraltro le
improprie espressioni del redattore del verbale di assemblea mai potrebbero
prevalere sull'effettiva volontà dei soci che non poteva che essere quella di
procedere ad una comune operazione di finanziamento della società.
Nell'interpretazione della volontà negoziale opererebbe il principio della
prevalenza della sostanza sulla forma.
Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano ancora violazione di legge, anche
con riferimento all'errore di diritto e al vizio logico di valutazione della
volontà negoziale, nonché insufficienza e contraddittorietà di motivazione. I
giudici d'appello avrebbero omesso di considerare il fatto che i soci, pochi
giorni dopo l'approvazione della delibera assembleare, avevano concesso alla
banca mutuante ipoteca per il doppio dell'ammontare del mutuo su un complesso
immobiliare di loro esclusiva proprietà. L'obbligazione dei soci di postergare
il loro credito a quello della banca mutuante sarebbe pertanto venuta meno per facta
concludentia, come risulterebbe dalla circostanza che di tale obbligo non si
farebbe menzione nel contratto di mutuo, così come dell'accantonamento in conto
capitale della somma di 500 milioni.
Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano violazione degli artt. 1224 e 1277
c.c. perché la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che l'obbligazione restitutoria
a carico degli amministratori e dei soci costituisse debito di valore anziché
debito di valuta. Si afferma che quando il danno da risarcire corrisponde alla
perdita di una somma di denaro, il debito avrebbe natura di debito di valore.
Con il sesto motivo i ricorrenti deducono violazione di legge nonché nullità
della sentenza ex art. 360 n. 4 in relazione agli artt. 163 n. 3 e 112 c.p.c.
La Corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare la nullità della citazione per
omessa determinazione del petitum perché la curatela si era limitata a
domandare la condanna degli ex amministratori e dei loro eredi al versamento
delle somme relative all'insufficienza patrimoniale della fallita, alla
restituzione delle somme indebitamente percette in restituzione dei versamenti
in conto capitale, al conferimento di somme pari alla perdita di bilancio 1988.
Inoltre la Corte d'appello avrebbe dovuto respingere la domanda per difetto
assoluto di prova.
Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano violazione sempre degli artt. 163
n. 3 e 112 c.p.c. sotto altro profilo, perché la condanna in solido dei
convenuti, non richiesta dall'attrice, avrebbe costituito violazione del
principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Con il ricorso incidentale la curatela deduce violazione dell'art. 91 c.p.c. ed
omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. I giudici d'appello
hanno ritenuto di tener ferma la condanna alle spese del giudizio di primo
grado pronunciata nei confronti del Fallimento, perché tale condanna ad avviso
della Corte d'appello discendeva dal comportamento processuale della curatela.
Tale statuizione contrasterebbe con il diverso principio per cui la parte
totalmente vittoriosa, quale era la curatela, non può essere condannata alle
spese.
Va disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c. Va anzitutto esaminato
il sesto motivo del ricorso principale con cui viene dedotta una questione
preliminare di rito.
Il motivo è inammissibile, perché, come ha correttamente osservato la curatela controricorrente,
nessuna eccezione di nullità della citazione è stata sollevata in primo grado
né in proposito è stato proposto appello incidentale condizionato. Vi è stata
piena accettazione del contraddittorio, senza che vi sia mai stata incertezza
sull'oggetto della domanda, come risulta con chiarezza dalla sentenza impugnata
e dalla sentenza di primo grado.
Il primo motivo di ricorso è del pari inammissibile.
La sentenza impugnata ha dato atto che è fatto acquisito che nell'assemblea del
22.9.1987 i soci della MA.CA.F. deliberavano di procedere ad un accantonamento
in conto capitale di 500 milioni e che deliberavano inoltre che la somma
sarebbe stata restituita dopo il soddisfacimento del credito della banca che
doveva erogare il mutuo di 400 milioni. È dunque evidente che è del tutto
irrilevante che il verbale assembleare da cui risulta il tenore della delibera
in parola sia stato o meno ritualmente prodotto (ancorché peraltro esso
risultasse tra i documenti offerti in comunicazione indicati in calce all'atto
di citazione), perché i ricorrenti non hanno in nessun modo contestato che la
delibera fosse stata effettivamente assunta nei termini ora esposti e che si
trattasse di circostanza pacifica in causa.
Analoghi rilievi valgono per il secondo motivo di ricorso. Anche il contenuto
della delibera 30.4.1989 della MA.CA.F. con la quale i soci si erano impegnati
a sanare la perdita risultante dal bilancio 1988, era pacifico in causa, come
risulta dalla sentenza impugnata. La delibera inoltre figura tra i documenti
prodotti in primo grado, nuovamente depositati con il fascicolo di parte in
sede d'appello.
Il terzo motivo di ricorso è del pari inammissibile. La Corte di merito ha
interpretato la delibera assembleare del 22.9.1987 ed ha affermato che,
ancorché formalmente previsto a garanzia della restituzione del mutuo della
banca, il versamento della somma di 500 milioni costituiva non un finanziamento,
ma un versamento in conto capitale in favore della società fallita, con la
conseguenza che la somma non avrebbe potuto essere restituita ai soci prima
dello scioglimento della società. A tale valutazione della Corte i ricorrenti
oppongono una diversa interpretazione del contenuto della volontà negoziale,
senza chiarire sotto quale profilo l'interpretazione offerta dalla Corte
territoriale violerebbe i canoni interpretativi dettati dagli artt. 1362 e ss.
c.c. La censura pertanto è inammissibile sia perché generica sia perché tende a
sostituire alla valutazione del giudice di merito una diversa valutazione degli
elementi di fatto oggetto del giudizio. Né è più fondata la censura di
contraddittorietà di motivazione: i giudici d'appello hanno tenuto conto del
fatto che la delibera assembleare vincolava i 500 milioni sino al pagamento del
mutuo erogato dalla banca ed hanno peraltro ritenuto che l'indicazione che si
trattava di un versamento in conto capitale fosse prevalente, sì da creare un
vincolo d'indisponibilità sulla somma versata.
Il quarto motivo è manifestamente infondato. La circostanza che la banca
mutuante fosse stata garantita in altro modo, mediante costituzione d'ipoteca
su beni personali dei soci, è stato correttamente ritenuto irrilevante dalla
Corte d'appello, che ha osservato che la restituzione delle somme vincolate in
conto aumento di capitale non poteva avvenire, in ragione del vincolo
d'indisponibilità di tali somme, al cui rispetto erano tenuti gli
amministratori.
Il quinto motivo di ricorso non è fondato.
Il risarcimento del danno cui é tenuto l'amministratore, ai sensi dell'art.
2393 cod. civ. - sia che derivi da responsabilità per illecito contrattuale,
sia che si ricolleghi a responsabilità extracontrattuale, sia che si configuri
più genericamente come effetto di responsabilità ex lege, e tanto se si tratti
di danno emergente come di lucro cessante - riveste natura di debito di valore
e non di debito di valuta, ed é pertanto sensibile al fenomeno della
svalutazione monetaria fino al momento della sua liquidazione, ancorché il
danno consista nella perdita di una somma di denaro, costituendo tale perdita,
in siffatta particolare ipotesi, solo un elemento per la commisurazione dello
ammontare del danno, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo (Cass.,
sez. I, 8.1.1979, n. 68, rv. 396102).
Il settimo motivo è manifestamente infondato. La solidarietà passiva è prevista
ex lege (art. 1294 c.c.), quando dalla legge o dal titolo non risulti
diversamente. Il principio è ribadito per l'illecito extracontrattuale
dall'art. 2055 c.c. La sentenza impugnata ha ribadito che il curatore esperendo
l'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 146 l.fall. cumula l'azione
sociale di responsabilità prevista dall'art. 2393, vecchio testo, c.c. e
l'azione spettante ai creditori, disciplinata dall'art. 2394, vecchio testo,
c.c. Com'è noto, non è dubbio che la responsabilità degli amministratori nei
confronti della società ha carattere contrattuale, mentre è discusso se la
responsabilità nei confronti dei creditori abbia natura contrattuale o
extracontrattuale. Senza prendere posizione sulla vexata quaestio, è
sufficiente ricordare che questa Corte ha sottolineato, proprio in materia di
azione di responsabilità, che il principio generale di solidarietà tra
coobbligati di cui all'art.2055, comma 1, c.c., sancito espressamente in
materia di responsabilità extracontrattuale, é applicabile anche in tema di
responsabilità contrattuale (Sez. I, 28.5.1998, n. 5287).
Non vi è stata dunque violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e
pronunciato, perché la solidarietà ritenuta dal giudice discende dalla legge.
Il ricorso incidentale della curatela è infondato. I giudici d'appello nel
riformare la sentenza di primo grado hanno dato atto che la curatela aveva ritualmente
depositato il fascicolo di parte, che non era stato depositato nel corso del
giudizio di primo grado, dopo che il procuratore della parte aveva provveduto a
ritirarlo, impedendo così ai primi giudici di pronunciare nel merito. La Corte
d'appello ha sottolineato che, depositato il fascicolo, essa poteva provvedere
sulla domanda spiegata dalla curatela, dando peraltro atto che "nessun
obbligo aveva il tribunale di valutare le ragioni del mancato deposito" e
dunque che la pronuncia d'inammissibilità dei giudici di primo grado era
corretta. È dunque evidente che vi è stata soccombenza in primo grado e che le
ragioni di tale soccombenza non sono state rimosse dal giudice d'appello se non
in forza di un fatto sopravvenuto, l'avvenuto deposito del fascicolo di parte,
che non può spiegare influenza sul regolamento delle spese del giudizio di
primo grado.
Entrambi i ricorsi vanno in conclusione rigettati. I ricorrenti principali
vanno condannati alle spese del grado, in ragione della prevalente soccombenza,
liquidate in euro 12.100 di cui euro 12.000 per onorari di avvocato, oltre
spese generali ed accessorie come per legge.
P.Q.M
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna i ricorrenti, in solido, alle spese che liquida in euro 12.100, di cui euro 12.000 per onorari, oltre spese generali ed accessorie come per legge.