Cassazione civile, SEZIONE I, 15 marzo 1995, n. 2968


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott.    Michele           CANTILLO                    Presidente
"       Luigi Antonio     ROVELLI                     Consigliere
"       Mario Rosario     MORELLI                          "
"       Giulio            GRAZIADEI                   Rel. "
"       Mario             CICALA                           "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso principale
proposto da
S.P.A. MILAN  ASSOCIAZIONE  CALCIO,  in  persona  dell'amministratore
delegato Sig. Adriano Galliani, elettivamente  domiciliata  in  Roma,
via dei Tre Orologi n. 14-A, presso l'Avv.  Prof.  Agostino  Gambino,
che, con l'Avv.  Prof.  Giovanni  Emanuele  Colombo  e  l'Avv.  Prof.
Vittorio Dotti, la difende per procura a margine del ricorso;
Ricorrente
contro
ANGELO  LO  PORTO,  MARCO  BERNASCONI,  S.R.L.  PALGA,   in   persona
dell'amministratore unico Dott. Paolo Barzaghi,  ENRICO  CANZI,  ENZO
LAMANUZZI e Ferruccio  BUSINI,  elettivamente  domiciliati  in  Roma,
lungotevere Michelangelo n. 9, presso l'Avv. Filippo  Biamonti,  che,
con l'Avv. Giulio Macrì e l'Avv. Prof. Ugo Carnevali, li difende per
procure speciali notarili in atti;
Resistenti
ed inoltre
contro
PAOLO SAVINI, ROBERTO GAMBERINI, MARCO GAMBERINI, PAOLA NAVA,  SERGIO
CARNEVALI, GIANFRANCO BIANCHI, CARLO GALLI,  AMEDEO  EMILIO  GIUSEPPE
ROMANÒ,  DOMENICO  SIRO  BROCCHETTA,  CRISTIANO   SEBASTIANO   NAVA,
GIANANGELO  CANU,  LUIGI   MALGRATI,   GIANFRANCO   ANGELI,   ANTONIO
BELLOCCHIO, DIEGO PROSPERO, ANGELO INTRONA, GIAN CARLO LUINI, ANTONIO
VILLA, LUIGI  CORTESE,  MARIO  SIORI,  CLAUDIO  FERDINANDO  POGLIANI,
AUGUSTO  MICHELE  MATTEUCCI,  ANTONELLA  MARIA  MATTEUCCI,  GIANCARLO
DEVECCHI, PIETRO LADIÈ, MARIO CASCETTA, ANGELO BOMBELLI, LUIGI CARLO
MATTEUCCI, ATTILIO ZANARDI, ANITA  PARENZO,  GIORGIO  LAGUZZI,  CARLO
ENRICO FERRARI, ANDREA AUGUSTO UMBERTO  LAGUZZI,  MARCELLO  VISCONTI,
RENATO BELLATO, LUCIANO BOCCARDI, ENRICO VESCIA, PAOLO PIETRO  PRADA,
MARIO GIONFINI, GIANCARLO  CAMOZZI,  GENNARO  CINO,  NICOLA  AMORUSO,
ARTURO SCHIRINZI, GIUSEPPE  DE  NOTARPIETRO,  LUIGIA  GATTI,  LEANDRO
PILONI, SALVATORE ROCCO BRUZZESE, ALBERTO  ENRICO  PESCALI,  GEROLAMO
LOPEZ, FRANCESCO FERRERO,  SERGIO  MARINONI,  S.P.A.  IGM,  FERRUCCIO
GILBERTI, GIOVANNI  BATTISTA  GILBERTI,  FRANCESCO  FACCHI,  OLIVIERO
LUZZARA,  GAVINO  SANNA,  FABIO  LORENZO  CONTE,  ENZO  BASSI,  CARLO
RUGGIERI, EDMONDO MONETTI, MARIO BONANNI, GIUSEPPE DE GAETANO, FRANCO
BONETTI, COSIMO RACONA, ENRICO  GIOVANNI  RIGAMONTI,  LUIGI  MEZZERA,
RENATO GROPPELLI, GIUSEPPE  REGINE,  ANTONIO  REDAELLI,  MOISÈ  RAUL
SERVI, SERGIO  RUFFINI,  GINO  NOCCIOLI,  MAURIZIO  CANTONI,  GAETANO
CANTONI, ROBERTO CANTONI, PAOLO ZAFFUTO ed ERMETE MOSINI;
intimati
ed inoltre sul ricorso incidentale
proposto da
ANGELO  LO  PORTO,  MARCO  BERNASCONI,  S.R.L.  PALGA,   in   persona
dell'amministratore unico Dott. Paolo Barzaghi,  ENRICO  CANZI,  ENZO
LAMANUZZI e FERRUCCIO BUSINI, come sopra domiciliati e difesi;
Ricorrenti
contro
S.P.A. MILAN  ASSOCIAZIONE  CALCIO,  in  persona  dell'amministratore
delegato Adriano Galliani, come sopra domiciliata e difesa;
Resistente
per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di  Milano  n.
759 depositata il 14 giugno 1991;
sentito il Cons. Graziadei, che ha svolto la relazione  della  causa,
gli Avv.ti Gambino e Biamonti,  nonché  il  Pubblico  ministero,  in
persona  del  sostituto  Procuratore  generale  Mario  Lupi,  che  ha
concluso per il rigetto del ricorso principale e del primo motivo del
ricorso  incidentale,  con  accoglimento  del   secondo   motivo   di
quest'ultimo.

Fatto

Angelo Lo Porto, Paolo Savini, Enzo Lamanuzzi, Enrico Canzi, Roberto Gamberini, Marco Gamberini, Paola Nava e Marco Bernasconi, adducendo la qualità di soci della S.p.a. Milan AC, citavano questa, con atto notificato il 4 novembre 1986, davanti al Tribunale di Milano, per sentire dichiarare la nullità o pronunciare l'annullamento delle deliberazioni che l'assemblea degli azionisti, al fine di superare una situazione patrimoniale con perdite per oltre 15 miliardi di lire a fronte di un capitale di 10 miliardi, aveva adottato il 18 giugno 1986; deliberazioni concernenti, con riferimento al punto n. 1 dell'ordine del giorno, l'approvazione di detto stato patrimoniale, e, con riferimento ai punti nn. 3, 4, 5 e 6, l'azzeramento del capitale, la sua ricostituzione in lire 10 miliardi, la sua ulteriore riduzione fino a coprire le passività ancora residuanti, ed infine il suo nuovo aumento fino a lire 25 miliardi.
Il Tribunale, pronunciando in contraddittorio anche degli altri settantacinque azionisti in epigrafe elencati, intervenuti in adesione a dette domande, le respingeva.
Proponevano gravame i soccombenti ed anche
la S.r.l. Palga.
La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 14 giugno 1991, dichiarava il difetto di legittimazione attiva della Società Palga, considerando che l'allegata veste di cointestataria delle azioni del Bernasconi nell'ottobre 1989 avrebbe potuto risalire ad atto di cessione anteriore all'instaurazione della controversia, e che, quindi, in difetto di prova circa il verificarsi di successione a titolo particolare in corso di causa, non era invocabile, per giustificare la partecipazione di detta Società al giudizio di secondo grado, l'applicazione dell'art. 111 cod. proc. civ.; accoglieva poi l'impugnazione degli altri azionisti, annullando tutte le deliberazioni concernenti il capitale.
Nel motivare tale annullamento,
la Corte di Milano osservava:
- che l'interesse ad agire degli appellanti non era venuto meno in dipendenza di offerta effettuata nel marzo 1987 dal socio di maggioranza Retitalia, per il trasferimento in loro favore di azioni della Società Milan in numero proporzionato alla partecipazione posseduta alla data del 18 giugno 1986 e dietro un prezzo inferiore a quello che avrebbero dovuto sborsare per esercitare l'opzione in sede di aumento del capitale, dato che l'offerta stessa era successiva all'apertura della controversia, non era idonea alla piena reintegrazione dei vecchi soci nella situazione che avrebbero goduto in caso di conservazione del diritto d'opzione, e, comunque, non era tale da superare le contestazioni dai medesimi avanzate circa la necessità di ripianare le perdite sociali;
- che detto interesse sussisteva anche con riferimento al secondo aumento di capitale (punto n. 6 dell'ordine del giorno), perché strettamente collegato alle altre decisioni assembleari che ne costituivano il presupposto;
- che l'assemblea del 18 giugno 1986, apertasi alle ore 18, era viziata dall'inosservanza dell'art. 2446 primo comma cod. civ., nella parte in cui prescrive il deposito presso la sede sociale, durante gli otto giorni precedenti, di copia della relazione degli amministratori con le notazioni del collegio sindacale, in quanto tale deposito era stato effettuato alle ore 11 del 10 giugno 1986, di modo che non aveva rispettato quel termine "a ritroso", da computarsi con l'esclusione del "dies a quo";
- che questa inosservanza, incidendo sulla regolarità dell'informazione dei soci, e conseguenzialmente sul consapevole esercizio del loro potere decisionale, si traduceva nell'illegittimità delle deliberazioni sul capitale, la quale era stata dedotta da soci assenti o dissenzienti, ai sensi dell'art. 2377 cod. civ., con domanda notificata entro tre mesi (tenendosi conto della sospensione durante il periodo feriale).
La Società Milan ha chiesto la cassazione di detta sentenza, sulla base di quattro motivi, mediante atto notificato il 26 luglio 1991.
Il Lo Porto, il Bernasconi, il Canzi, il Lamanuzzi, il Busini e
la Società Palga hanno replicato con controricorso, ed hanno contestualmente proposto ricorso incidentale, con due censure.
La Società Milan ha presentato controricorso in risposta al ricorso incidentale.
Tutte le parti hanno depositato memorie.

Diritto

I ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ..
Con il primo motivo del ricorso principale si sostiene che
la Corte d'appello avrebbe dovuto rilevare la tardività della domanda di annullamento sulla base di vizi riguardanti il deposito della relazione degli amministratori, poiché tali vizi erano stati denunciati per la prima volta nel corso del giudizio dinanzi al Tribunale, dopo la scadenza del trimestre di cui all'art. 2377 secondo comma cod. civ..
Il motivo è infondato.
La predetta disposizione, nel fissare il termine perentorio entro il quale deve essere esercitata la facoltà di opporre la non conformità alla legge od all'atto costitutivo della delibera dell'assemblea, fa riferimemto alla "impugnazione" di essa, vale a dire all'iniziativa giudiziale con cui se ne chiede l'annullamento; l'obiettivo è quello di rendere inattaccabile ed eseguibile la delibera medesima, e quindi di assicurare il fisiologico svolgimento delle attività societarie, dopo il decorso di tre mesi senza che sia stata notificata alla società domanda di annullamento.
L'art. 2377 cod. civ. non si occupa (nè avrebbe ragione di occuparsi alla luce dell'esigenza perseguita) dei requisiti di forma e di contenuto dell'atto introduttivo del giudizio d'annullamento; questi restano disciplinati dalle comuni regole processuali.
Ne discende che, in presenza di domanda di annullamento tempestivamente proposta nel rispetto del termine in discorso, la successiva allegazione di fatti invalidanti diversi, rispetto a quelli evidenziati con la citazione, potrà implicare, ove sconfini in "mutatio libelli", una preclusione all'esaminabilità di tali ulteriori deduzioni, e quindi il rigetto della domanda stessa se non sorretta "ab origine" da ragioni idonee a giustificare la reclamata pronuncia, ma non potrà rendere tardivo l'atto posto in essere entro la prescritta scadenza.
Correlativamente, qualora quelle successive allegazioni, ancorché qualificabili come "mutatio libelli", siano acquisite al dibattito, per effetto di accettazione del contraddittorio (caso pacificamente verificatosi nella specie), si deve ritenere consentito l'accoglimento della domanda dl annullamento sulla base delle nuove tesi, per la loro attitudine, secondo i canoni del processo, ad integrare la citazione introduttiva tempestivamente notificata (v.
Cass. n. 3486 del 1 dicembre 1959).
Con il secondo motivo del ricorso della Società Milan si insiste nel sostenere la carenza d'interesse delle controparti all'impugnazione.
Tale interesse, si assume, era escluso dalla menzionata offerta di Retitalia, che era rivolta a consentire ai soci, rimasti fuori dalla Società per la mancata adesione all'aumento di capitale, di rientrarvi a condizioni favorevoli; i soci stessi, del resto, non avrebbero potuto ottenere il pieno ripristino dello stato pregresso, perché tecnicamente irrealizzabile ed inoltre impedito dall'intangibilità dei diritti acquistati dai terzi in buona fede.
L'interesse era comunque da escludersi con riferimento al secondo aumento del capitale, poiché privo di incidenza rispetto a soci ormai usciti dalla Società.
Il motivo è infondato.
La domanda proposta ed accolta dalla sentenza impugnata è quella di annullamento di tutte le decisioni attinenti al capitale sociale, per vizi presenti nella fase procedimentale prodromica alla riunione dell'assemblea.
Questo annullamento, alla stregua della sua piena operatività nei confronti della Società e di tutti i soci (art. 2377 terzo comma cod. civ.), pone le parti nella situazione che preesisteva al 18 giugno 1986.
Sull'interesse a tale annullamento, pertanto, non interferiscono le osservazioni della ricorrente sulla portata della citata offerta transattiva, e sulla scindibilità del secondo aumento di capitale, rispetto alle precedenti decisioni prese dall'assemblea in detta data; le une e le altre deduzioni muovono dal presupposto della validità ed efficacia della prima operazione sul capitale, e, quindi, trascurano il diverso risultato conseguibile (e conseguito) con l'impugnazione anche di tale operazione.
Detto interesse, poi, non è contestabile facendo leva sulle limitazioni al ripristino della precorsa situazione discendenti dalla salvezza dei diritti eventualmente acquistati dai terzi in buona fede (in caso di esecuzione "medio tempore" delle decisioni assembleari); tale evenienza, ove verificatasi, non eliderebbe quel ripristino, nè il connesso recupero delle posizioni inerenti all'assetto sociale anteriore, ma imporrebbe esclusivamente il loro coordinamento con i diritti dei terzi, e, quindi, per quanto potrebbe comprimere il peso economico dei diritti dei soci istanti, approderebbe ad un risultato giuridico non comparabile con quello offerto a transazione della contesa (sulla premessa della conservazione di alcune delle delibere assembleari).
Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale investono la sentenza impugnata nelle parti in cui ha ritenuto non rispettato l'art. 2446 primo comma cod. civ. ed ha poi desunto dalla sua inosservanza l'invalidità delle decisioni dell'assemblea.
La ricorrente assume che la prima affermazione è infirmata dall'erronea applicazione, nel calcolo del termine "a ritroso" di otto giorni posto dalla citata norma, della regola della non computabilità del "dies a quo" (artt. 2963 secondo comma cod. civ. e 155 primo comma cod. proc. civ.); si traduce poi nell'anomala assegnazione di decisività alla mancanza del deposito della relazione degli amministratori soltanto per poche ore, e, comunque, implica l'illegittima introduzione di un termine "libero", in carenza di espressa previsione di legge.
La seconda affermazione, aggiunge
la Società, dimentica che la pretesa violazione del suddetto termine non era sanzionabile nella fattispecie, in quanto nessuno degli istanti si era doluto dell'impossibilità di esprimere in assemblea un voto consapevole, nè aveva sostenuto di essersi recato presso la sede sociale, per prendere visione di quel documento proprio nelle ore in cui sarebbe mancato il suo deposito.
Entrambe le riportate tesi sono infondate.
Con riguardo all'una va rilevato che l'art. 2446 cod. civ. dispone che la relazione degli amministratori "deve restare depositata in copia nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l'assemblea", e, quindi, non stabilisce direttamente un termine, dal momento del deposito a quello dell'assemblea, o viceversa, ma fissa la durata minima della permanenza del deposito stesso.
La determinazione di tale arco temporale in otto giorni e la mancanza di previsioni che autorizzino il passaggio ad un calcolo ad ore, ovvero consentano di assegnare influenza alla frazione di giorno, impongono di ritenere che detto deposito non può ricadere nell'ottavo giorno antecedente a quello dell'assemblea, quali che siano i rispettivi orari, ma deve essere eseguito non oltre lo spirare del nono giorno anteriore, perché solo in questo modo il giorno dell'assemblea risulta "preceduto" da otto giorni di deposito.
Peraltro, ove si voglia riscontrare l'osservanza della norma sotto il diverso profilo del termine minimo che deve intercorrere fra i due eventi, non può non cogliersi nella norma stessa la previsione, inequivoca, anche se implicita, del carattere "libero" di tale termine, quale presupposto indefettibile per assicurare che la relazione degli amministratori sia consultabile durante tutti gli otto giorni (interi) che vengono prima del giorno dell'assemblea.
Con riguardo all'altra tesi, va osservato, per disattenderla, che la legittimazione del socio all'impugnazione della delibera assembleare discende dalla sua assenza alla relativa adunanza, ovvero dalla partecipazione ad essa con voto opposto a quello espresso dalla maggioranza; la pretesa di individuare, come ulteriore requisito per insorgere contro la delibera che non rispetti la legge o l'atto costitutivo, il verificarsi di un effettivo pregiudizio, a causa della relativa violazione, non trova aggancio nelle disposizioni dell'art. 2377 cod. civ., e, in riferimento alla concreta vicenda, non si armonizza con la "ratio" dell'art. 2446 cod. civ., il quale, nel richiedere il preventivo deposito della relazione degli amministratori per almeno otto giorni, muove dal presupposto dell'indispensabilità dell'adempimento per l'espressione di un voto consapevole da parte di tutti i soci, o quantomeno dei soci che hanno formato la maggioranza, di modo che necessariamente prescinde, per la denuncia della sua inosservanza ad opera del socio assente o contrario, dall'eventualità che il suo voto (non determinante) sia stato assistito da piena contezza della situazione.
Il ricorso incidentale, con il primo motivo, rinnova l'assunto della legittimazione della Società Palga ad intervenire in fase d'appello, sul rilievo che la sua qualità di successore a titolo particolare, agli effetti degli artt. 111 e 344 cod. proc. civ., derivava dall'acclarata cointestazione, nel settembre 1989, dei certificati azionari di Marco Bernasconi (parte attrice in primo grado).
Il motivo è infondato.
Detta cointestazione, come puntualmente osservato dalla Corte di Milano, evidenzia la cessione "pro quota" dei diritti dell'originario azionista, ma non è in sè idonea a dimostrare che la cessione stessa ricada in epoca posteriore all'instaurazione della presente controversia; in carenza di tale prova
la Società Palga non può invocare l'applicazione delle citate norme, le quali ineriscono al caso di successione (in tutto od in parte) nel diritto conteso sopraggiunta in corso di causa.
Il secondo motivo del ricorso incidentale critica la sentenza impugnata per non aver reso pronuncia di annullamento anche della delibera attinente al punto n. 1 dell'ordine del giorno, quella cioè di approvazione della situazione patrimoniale della Società Milan al 31 marzo 1986; tale annullamento, si deduce, era conseguenziale all'accertamento di un vizio che inficiava "in radice" il potere decisorio dell'assemblea.
Il motivo è infondato.
L'approvazione dello stato patrimoniale non rientra fra le operazioni sul capitale e non è legata ad esse da vincolo di dipendenza (ravvisabile per le seconde rispetto alla prima, in quanto le variazioni del capitale postulano, come logico antecedente, la definitività della situazione economica su cui vanno ad incidere); tale approvazione, quindi, non è soggetta alle prescrizioni dell'art. 2446 cod. civ. in tema di riduzione del capitale.
Alla Corte d'appello, pertanto, non può addebitarsi la mancata estensione alla suddetta approvazione della invalidità prodotta dalla violazione di norma ad essa non applicabile.
In conclusione tanto il ricorso principale quanto quello incidentale devono essere respinti.
La reciprocità della soccombenza, la natura e la novità di alcune delle questioni affrontate rendono equa l'integrale compensazione fra le parti delle spese di questa fase processuale.

P.Q.M

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese del presente giudizio.
Roma, 7 dicembre 1994.