Adriana Leotta - Biancavilla Ct
Classe V L - Liceo Classico "G. Verga" - Adrano Ct
Prof.ssa Carmela Russo

Il grido della notte

Sembrava quasi che ormai si entrasse in quell’aula grigia solo per essere il primo o la prima a poter dire “Maestra, Natasha sta tremando”. Con la stessa voracità con cui i nostri nonni in fuga scrutando l’orizzonte da sopra le barche affollate di stranieri gridavano”L’America, l’America!”, così in quella classe gremite d’occhi curiosi c’era sempre qualcuno che per primo si alzava di scatto, e buttando la sedia a terra gridava “Maestra, Natasha sta tremando!”. Non penso fosse tanto importante il significato di quella frase quanto il valore magico che essa conteneva. Chi l’annunciava era un eroe, attento al mondo circostante e pronto a salvar gli altri.
Io non l’ho mai pronunciata quella frase che, rispetto all’euforia in cui trascinava i miei compagni, a me gelava il sangue nelle vene.
Che quella bambina era particolare l’avevo capito sin dal primo giorno, quando entrando in classe con gli occhi bassi si era aggrappata con tutte le sue forze alla mano della maestra ed era stata un’impresa farle poggiare lo zaino a terra e farla sedere in una sedia.
Ci dissero solo che veniva dalla Cecenia e che col nostro aiuto avrebbe imparato perfettamente l’italiano. Ma qualcosa non quadrava… a parte il fatto che nessuno sapeva dove fosse quel paese dal nome strano, si vedeva chiaramente che Natasha aveva paura. Teneva gli occhi bassi e qualsiasi rumore maldestro le faceva vibrare forte l’anima e le facevano lacrimare gli occhi. Ma come possono dei bambini di quinta elementare capire il peso di una goccia di pianto?
Agli altri non interessava il motivo per cui improvvisamente l’equilibrio interno di quella bambina si spezzava, loro compito era pronunciare la frase e iniziar a far baldoria non appena la maestra usciva dalla classe stringendo tra le braccia quello scricciolo di bambina dagli occhi neri. Io rimanevo seduto a fissare la porta cercando nel mio cervello un aiuto per quella bambina troppo fragile. Ma le idee vanno e vengono nei momenti più assurdi; e così un giorno mentre giocavo a scappar via dai miei compagni una lampadina mi si accese nel cervello. Rimasi fermo nel centro del cortile della scuola e gli altri non poterono far altro che guardarmi con un enorme punto interrogativo in faccia, stupiti dal mio gesto. Io allora risposi: “ Perché non le facciamo un regalo? Che ne so… un libro!”. Tutti avevano capito che mi riferivo alla nostra strana straniera che durante l’intervallo rimaneva in classe a guardar fuori dalla finestra, quasi che fosse una sentinella impaurita che dalla sua torre cerca di scovare il nemico.
Tutti mostrarono un sorriso d’approvazione e mentre lei probabilmente pensava alla sua lontana terra, noi immaginavamo come potesse essere il sorriso di una bimba straniera. Ben presto ci accorgemmo che tutti i bambini del mondo sorridono allo stesso modo.
Indecisi tra “Le mille e una notte” e il nostro ”Pinocchio”, preferimmo far un mix di culture e li comprammo entrambi. Lei entrò in classe e li vide sul suo banco, improvvisamente i suoi occhi brillarono come per magia.
Alzò gli occhi e ci mostrò un sorriso splendido e tremendamente uguale al nostro. Ci accorgemmo anche che tutta l’intera essenza della lingua italiana era racchiusa in un timido e sussurrato “Grazie”.
 Fu un giorno di festa, giocammo e la sentimmo cantare col suo accento strano ”Nella peppia fapporia”…
Sono passati 25 anni da quel giorno… ed io sto qui a pensare a quelle sue lontane paure, mentre lei dorme sdraiata vicino a me. Qualche volta la sento tremare e in quei momenti capisco quanto una donna riesca ad essere forte.
 So cosa sente quando nel letto durante la notte l’anima le inizia a vibrare… pensa a quell’inferno, a quelle grida che nel silenzio squarciano l’aria…pensa alla sua scuola e a sua madre che saltano in aria insieme accompagnate da un gran botto. Quel giorno la sua vita volò via lontano insieme a quella di sua madre.
L’altro giorno abbiamo accompagnato Nikolay al suo primo giorno di scuola. Io ero lì per lei piuttosto che per nostro figlio. Alla vista di tutta quella gente nei suoi occhi rividi la stessa paura di una volta. E quando il piccolo folletto era già entrato in classe la strinsi forte per impedire che lei entrasse a riprenderlo, terrorizzata dall’idea di veder volar in cielo il suo angelo… proprio come avevano fatto sua madre, sua sorella e tanti, troppi suoi compagni di classe quella mattina del tre settembre del 2004 a Beslan.
Ieri c’è stata una commemorazione a scuola di quel tragico giorno. Le ha fatto una strana impressione pensare che in un paese cosi lontano dal suo qualcuno riesca ancora a sentire le grida di quei bambini. L’avevan invitata come ospite e lei è andata all’incontro a scuola tenendo stretta la mano di Nikolay e cercando di cancellare ogni ricordo di quel giorno dalla sua mente. Il suo intervento breve ha colpito chiunque in quel momento la stesse guardando negli occhi: ”Non è umano colpire degli angeli che corrono e rimanere insensibili di fronte alle loro ali spezzate e alla loro fame di giustizia”. Detto questo è scesa dal palco e stringendo il suo bambino fra le braccia è uscita da quella scuola.
Ritornando a casa Nikolay canticchiava: ”Nella peppia fapporia”…proprio come aveva fatto sua madre venticinque anni fà. Solo che lui canta cosi perché gli son caduti gli incisivi. Scendendo dalla macchina con un’aria pensierosa domandò : ” Perché Anuar parla come me, ma ha tutti i denti interi?”
Sorrise nel sentirlo parlare cosi. Lui dal conto suo era più stupito del fatto che nonostante il suo nuovo amico Anuar avesse tutti i denti, anche quelli ”davanti”, nonostante tutto nella sua bocca fosse in regola il suo amico parlava con un accento strambo che lo divertiva e affascinava…infondo non penso gli importi più di tanto che Anuar abbia la pelle di un altro colore…
Quando la sera lei lo addormenta con le sue fiabe prova a immaginare quanto sia bello per Nikolay
vivere in una classe che somiglia ad una di quelle immense piazze d’Europa dove colori e sapori si confondono e dove i grandi monumenti sono sostituiti da enormi cartelloni su cui è disegnata la scritta pace circondata da tanti bambini diversi, ma in fondo uguali che si tengono per mano.
E cosi dopo aver baciato il suo bambino sulla fronte si sdraia accanto a me. Delle volte quando dorme riesce a sognare ed è in quei momenti che recupera tutto quello che ha perso. La immagino volar via dal letto, attraversare il tempo e lo spazio fino a diventare l’anima di tutti quei bambini che da una fabbrica, da una città bombardata, da un letto estraneo al loro nel profondo silenzio non smettono mai di gridare. E forse è questo il motivo per cui tutti vogliamo dormire la notte…forse nel nostro sonno speriamo di sfuggire a quel penetrante eco che simile ad un eco di sirene proviene dal mare e da tutte quelle terre lontane in cui i bambini imparano a piangere ridendo. Ma capiterà che qualche notte svegliandoci con la scusa di bere un bicchiere d’acqua sentiremo qualcuno gridare e allora andremo ad abbracciare i nostri bambini nella speranza che la loro forza allontani via da noi quel grido nella notte.