Giulia Desideri
Classe II B - Liceo Scientifico "A. Cecchi" - Fucecchio Fi
Prof.ssa Nella Frediani

Lo zainetto con i Puffi

La mamma stamani mi ha messo la maglietta rosa, quella che a me piace tanto. E poi mi ha pettinato a lungo, accarezzandomi, e acconciandomi i capelli con le forcine rosa profumate alla fragola. Poi mi ha preso per mano e siamo salite sul Maggiolone, non senza –però- che io avessi preso il mio zainetto con i puffi, con dentro Bunny, il coniglio di peluche che mi ha regalato la nonna. La mamma aveva gli occhi lucidi, chissà perché, e mi guardava sempre con una dolcezza che di solito riserva ai momenti più intimi, come quando mi mette a letto, alla sera, e mi racconta le favole. Guidava nervosamente la mamma, con degli scatti improvvisi. Al solito semaforo del viale vicino casa, quello che porta alla scuola, c’era la mia amica Mascia. O meglio, la bambina più o meno della mia età che ogni volta che ci fermiamo al semaforo perché è rosso si avvicina al finestrino e ci chiede qualche spicciolo. E’ sempre Mascia. So come si chiama perché una volta gliel’ho chiesto. Lei non voleva dirmelo, mi ha domandato perché. E io: “Per diventare amiche”, ho risposto. Lei ha pronunciato a mezza voce il suo nome, con qualche altra parola un po’ stentata, perché –mi ha spiegato la mamma- Mascia non è nata nel nostro paese, viene da una terra lontana dove parlano una lingua diversa, e poi è scappata via, con la lunga sottana che le sbatteva sulle gambe magre e stringendo nel piccolo pugno, come un tesoro, la moneta ricevuta nella mano tesa. Oggi, però, non ci siamo fermate a lungo. Mamma è passata quando ancora non era scattato il verde, e non in direzione della scuola, ma da un’altra parte, più lontano, verso un grande edificio bianco con tante persone, dentro, vestite con vestaglie buffe dello stesso colore. Camici si chiamano. Me l’ha detto uno di quelli con cui la mamma ha parlato a lungo. Mi guardavano dei signori più anziani del mio papà, e altri più giovani. E delle ragazze, anche, pure loro vestite in modo buffo, come delle suore. Mi hanno spogliata, mi hanno detto di passare sotto delle macchine strane, con dei fili elettrici, mi hanno fatto anche un po’ male con una puntura che invece di iniettarmi nel braccio la medicina mi ha tolto del sangue. Abbiamo aspettato tanto. E la mamma si a messa anche a piangere quando uno di quei signori ha pronunciato una parola che non ho capito: “trapianto”, mi pare. Poi è arrivato anche papà e si sono messi tutti a parlare. “Ci vorrebbe un donatore, della stessa età. Ma non è facile” ha detto il più vecchio di quelli col “camice” bianco. E poi mi ha fatto tante domande, specie su come mi sento quando comincio a vedere una nebbia e poi cado a terra, a volte sbattendo contro qualcosa e facendomi ancora più male. Al ritorno, al solito semaforo, Mascia si è avvicinata e ha guardato il mio zainetto. “Ti piace?” le ho chiesto. E così, per diventare amiche davvero, ho tolto il mio Bunny e gliel’ho passato, dal finestrino abbassato, insieme al mio più bel sorriso. Mentre il Maggiolone ripartiva le ho fatto “ciao” con la mano e ho visto che Mascia accarezzava quei puffi che spiccavano, variopinti, sulla tela dello zainetto. Papà e mamma parlavano piano, fra loro, e non se ne sono neppure accorti. Meglio: vuol dire che questo regalo sari un segreto fra noi due sole. Sono trascorsi tanti giorni. A scuola sono andata solo di rado, perché ogni tanto vedevo quella nebbia davanti agli occhi e non capivo più nulla. La nonna mi ha spiegato che sono malata. Ma solo un poco. è che presto guarirò, anche se dovrò andare in quell’edificio bianco –si chiama ospedale?- con tutte quelle persone vestite in maniera buffa. “Dobbiamo solo aspettare ancora, ma non molto. Vedrai”. Oggi, o forse ieri, non ho ben capito quanto tempo è passato, mi hanno portato via di casa in fretta, mentre stavo andando a letto, dopo che i miei genitori avevano ricevuto una telefonata. Mi hanno fatto una puntura. Poi non ricordo più nulla. Mi sono appena svegliata. Strano: non posso muovermi da questo letto con le sponde di metallo, mi sento diversa, sono come immobilizzata da tanti fili che sembrano legati al mio corpo. Chissà perché… La mamma e la nonna si danno il cambio qui vicino a me. Mi bagnano le labbra. “Il peggio è passato, sai, amore? Prestissimo torneremo a casa e là potrai di nuovo andare a scuola, giocare con i tuoi amici…”. E’ entrato uno di quei signori col “camice”. Si è messo a parlottare con i miei. Ho sentito che diceva: “No, non sappiamo molto della piccola dalla quale sono stati presi gli organi necessari al trapianto. Solo che era una piccola rom. L’ha investita un’auto che poi si è allontanata senza soccorrerla. Non aveva niente che potesse far risalire alla famiglia. O al campo nomadi da cui doveva essersi allontanata per andare a chiedere l’elemosina. Solo un piccolo zainetto con i puffi. Doveva esserle caro, perché glielo hanno trovato stretto stretto al cuore”.