Elisa Iscandri - Treviglio Bg
Istituto di istruzione superiore Weil

Menzione speciale per la particolare sensibilità ai problemi concernenti l'integrazione sociale e, in generale, la condizione globale del lavoratore extra- comunitario immigrato in Italia.

Casa

Elmehdi si svegliò verso le cinque, aprì gli occhi lentamente, quasi temesse ciò che stava per vedere. Si ritrovò a fissare il soffitto della sua stanza illuminata dalla luna che, con il suo maligno sguardo, lo scrutava attraverso le tende candide.
Le pareti grigie e fatiscenti e l'intonaco scrostato opprimevano la sua anima.
Dal piano superiore giungevano rumori di passi e di voci.
Restò supino ancora un poco, serrò con forza gli occhi per qualche secondo, come se sperasse che riaprendoli si sarebbe ritrovato tra volti amici: quei passi così lontani gli sarebbero parsi allora più famigliari e quelle voci le avrebbe riconosciute e amate.
Ma non accadde.
La luna lo scrutava ancora insistente e la realtà era ancora lì, immutata e immutabile.
Scosse la testa e si alzò stiracchiandosi e sbadigliando, si diresse verso la cucina separata dalla sua stanza da letto solo da un logoro paravento.
Non potendo mangiare cibi cotti poiché il gas e la corrente elettrica gli erano stati tagliati a causa della sua impossibilità di pagare le bollette, bevve solo un bicchiere d'acqua, si rinchiuse per qualche secondo nello squallido bagno che aveva in comune con altri inquilini del condominio, si vestì e uscì di casa.
Mentre attraversava il cortile inspirò profondamente e i suoi polmoni si colmarono della fredda e pungente aria mattutina, non ancora del tutto soffocata dallo smog. Il gelo lo fece rabbrividire. Si strinse nel suo giaccone mentre dal cielo oscuro, spruzzato qua e là da nuvole plumbee, cadeva una pioggia simile a tanti spilli appuntiti.
Un sentimento di nostalgia misto a rimpianto si impossessò della sua mente; il suo sguardo vacuo oltrepassò le vie larghe di cemento e i palazzoni alla periferia di Firenze….
Gli parve allora di sentir spirare i venti dell'oriente; l'asfalto scomparve sotto i suoi piedi tramutandosi in terra rossa e il cielo, e il tempo uggioso scomparvero, lasciando il posto ad un cielo azzurro e al tramonto incandescente… improvvisamente sentì l'oceano urlare con potenza e percepì lo stormire delle spighe di grano e sentì profumo d'incenso e passioni sepolte. L'uomo camminò in silenzio contemplando la pace di questo suo mondo…
Il latrare convulso di alcuni cani mordaci rinchiusi dietro ottocenteschi cancelli di ferro battuto che circondavano alcune case che dovevano appartenere a gente di un certo livello, lo riportarono alla realtà.
Un clacson disfò definitivamente le sue fantasie: doveva sbrigarsi, o avrebbe perso il bus.
Arrivò alla fermata appena in tempo.
Quando salì sull'autobus si ripeté la solita storia: due anziane signore sedute nei posti più vicini all'autista lo squadrarono boriose, il loro sguardo tentava però, anche se in modo troppo esplicito, di mascherare le loro fisime e i loro pregiudizi.
A Elmehdi venne in mente un aforisma che aveva letto su un qualche libro quando ancora era tranquillo e calmo nella sua terra : "Le menti mediocri condannano abitualmente tutto ciò che oltrepassa le loro capacità ".
Rise tra sé e si avviò verso il fondo del bus.
Quando il controllore arrivò davanti a lui scandì bene le parole "B I G L I E T T OPPP E RPPF A V O R E" , come se si rivolgesse a uno stupido o a un ubriaco.
Gli mostrò la tessera. L'uomo in divisa analizzò il biglietto meticolosamente.
Elmehdi era ormai abituato al fatto che la sua pelle scura, come l'ebano di un'icona, scatenasse la paura e la diffidenza tra gli italiani.
Ahmed gli aveva detto come si chiamava…. Ma come ? qualcosa di simile ad aracnofobia, forse…. Già, che sciocco, xenofobia !!
Ahmed aveva tredici anni, aveva insegnato molte cose a Elmehdi: aveva studiato in Italia.
Elmehdi era arrivato in Italia all' età di trentatré anni; aveva lasciato nel Benin una moglie, Fatima, e due figli: Amina, Boukar. In realtà ce n'era anche un terzo, Dahomey, che lui non aveva visto nascere, ma che ora avrebbe avuto due anni se non fosse morto di tubercolosi a nove settimane.
Ogni mese spediva quasi tutto il suo stipendio alla moglie; accudire i figli e sfamarsi nel Benin non era affatto facile.
Fatima ricamava vesti tradizionali con la tecnica tipica dell'etnia fon; poi andava a venderle al mercato di Oki o di Abomey con le altre donne del villaggio.
Lui aveva lavorato per un poco in una piantagione di miglio, ma i soldi non bastavano.
Così, seguendo il consiglio di suo cognato Ihmad, pur essendo scettico, aveva deciso di partire per l' Italia.
Aveva salutato la sua casa di fango e mattoni e i tetti di paglia del villaggio, le strade polverose, i pozzi, la chiesa, il cimitero e il fiume grigio. Se n'era andato. Era salito sul primo aereo per Palermo, da lì si era poi spostato prima verso Roma e, in seguito, era giunto a Firenze dove aveva finalmente trovato casa e lavoro.
Ora era lì, e lavorava fino a nove ore al giorno, guadagnando molto più che nel Benin.
Ma a quale prezzo?
Gli mancava casa…
Elmehdi fu ben felice di lasciare il bus appena questo si fermò in via Kennedy: si precipitò giù dal mezzo come un prigioniero che, avendo atteso per lungo tempo un' occasione per evadere dalla sua prigione, si ritrova senza catene davanti ad una porta aperta.
Mentre scendeva, le due vecchie gli lanciarono occhiatacce proterve.
Una volta con i piedi per terra si guardò intorno e ripensò alla sua famiglia….moriva dalla voglia di rivedere la donna che amava, di scoprire quanto la sua bambina fosse diventata bella, e di giocare con quell' ometto che un giorno, tanto tempo fa, gli aveva chiesto di andare a pescare. Camminò a passo spedito verso il suo posto di lavoro.
Alle sette e trenta era all'ingresso del cantiere.
Il geometra D'Arecchi se ne stava fermo al cancello con una sigaretta di infima qualità tra le dita: "Bella giornata oggi no? Chissà che tempo fa in Africa!" disse pimpante con un tono misto tra unto e melenso, più pomposo di un cantante lirico.
" Già, chissà…." ripeté tra sé Elmehdi mentre si allontanava respirando calce e nostalgia
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