Francesca Canapa - 15 anni - Osimo An
Istituto Superiore Corridoni Campana - Prof.ssa Donata Chiorrini

Menzione speciale per la particolare sensibilità ai problemi concernenti la quotidianità scolastica e famigliare di un diciassettenne tormentato che "si fa" con tormento (e consapevolezza).

Mi chiamo Leo. Cioè, veramente il mio nome è Leonardo, però non credo che diventerò mai un Da Vinci e
così ho preferito abbreviare. Credo di essere un ragazzo a posto, cioè, intendo dire un ragazzo normale, cioè,
come tutti, che va a scuola come tutti, gioca a pallone come tutti e ha degli amici come tutti.
Sono un ragazzo come tutti che però da sabato sera ha un'emicrania che gli spacca in due la testa e che gli fa prendere un 4 di matematica di lunedì mattina. Splendido. E stasera con Marta (la cotta della mia vita) non ci posso uscire. Oh, magnifico.
Quel maledetto sabato in discoteca. Ho anche preso una pillola per il mal di testa. Cioè, non era proprio una pillola per il mal di testa, ma giuro che non lo faccio più; lo sto a sentire il telegiornale, non sono stupido, lo so che tante persone ci muoiono, di overdose. Ma per una volta non si muore. Non per una sola.
Maledizione, questo mal di testa mi sta uccidendo.
Ancora. L' ho fatto ancora. Ma non l'ho fatto apposta, è più forte di me. E poi quell'uomo ne aveva tanta e buona. Ma per due volte non si muore- No, non per due volte.
Ho ancora mal di testa. Mamma mi dice che è meglio che vada a letto. Seguo prontamente il suo consiglio. Non sono mica scemo, io.
Bene, Leo. E' tutto apposto. Hai affrontato altre interrogazioni di storia e te la sei sempre cavata.
Te la sei sempre cavata quando avevi ancora la testa tutta intera! C' è un' odiosa vocina nella mia testa che mi dice delle cose che mi fanno sentire male.
Avanti Leo che ce la puoi fare! Ce la puoi fare un corno! Sei malato, non lo senti? Hai una febbre che metterebbe a terra un toro!
Ce la faccio.
Sei malato, non ce la fai a sostenere un' interrogazione su Napoleone Bonaparte e la battaglia di Waterloo!
Ce la faccio, ho detto!
No che non ce la fai!
Zitto!!!
La voce alla fine si è zittita, ma io ho preso 5 Io stesso.
La mia mente si sta spaccando.
Sono con Matteo in discoteca. Mi sto divertendo parecchio stasera. E e' è anche Marta. Voglio ballare con
lei. Solo che ora non posso, non ce la faccio, è quasi mezzanotte e ho delle occhiaie mostruose e un sonno
terribile.
Ma so io cosa fare. L'uomo coi sacchetti è sempre allo stesso posto, non mi posso sbagliare.
I rimorsi. La domenica mattina presto, appena ti svegli e senti I'emicrania che cresce come un' eco in un' arena, allora sì, allora vengono i rimorsi. Sento un continuo battito pulsare nella mia testa, un battito che assomiglia vagamente a quella musica della discoteca che il sabato sera ti esalta tanto, che ti fa sentire non uno qualunque, ma il più bello, il più forte, il migliore di tutti. Che strano che una cosa così piccola, che sia in pillola o in polvere, ti possa far sentire così grande. Tanto grande. Comunque, i rimorsi vengono dopo.
Mamma dice che questi giorni sono strano, che ho gli occhi cerchiati, che ho un colorito smorto. In effetti mi sono guardato allo specchio e sono un vero orrore, uno zombie. Mamma pensa di risolvere tutto con le vitamine e la camomilla prima di andare a dormire. Pensa di potermi ancora accudire come faceva quando ero bambino. Ma tanto a mamma non glielo dico. Il dottore ha detto che è debole di cuore, come lo era il nonno; non sarò di certo io a farle prendere un infarto. E' stato solo quattro o cinque volte. Per quattro o cinque volte non si muore. Ne sei sicuro, Leo? Tu stai zitto.
C'è l'interrogazione di Antologia. Il Pascoli non mi è mai piaciuto granché, come poeta. Soprattutto non mi piace ora che mi urla in testa la sua complicata "Poetica del fanciullino" proprio quando ho il cranio a pezzi.
E' un mese ormai che non dormo più. Come se non bastasse, poi, è tutta la mattina che ho in testa quella noiosissima musica lirica, che mio padre ascolta in auto quando mi porta a scuola.
Dai, Leo, questa volta ce la fai...
A condizione che la professoressa non ti chieda di ripeterle a memoria il "X agosto".

Sta zitto, tu.
Oh, ti prego, ti prego, fa. che non mi chieda Pascoli, tutto ma non Pascoli, ti prego...
"Allora, Leonardo... Perché non mi ripeti il "X agosto" di Pascoli?
Io ODIO questa scuola.
Comunque questa volta non ho preso 5.
Questa volta ho preso 4.
Mia madre comincia a preoccuparsi sul serio Ha notato che con queste occhiaie sembro uno di quegli zombie dei film horror che danno il sabato alla TV. Diavoli, mi sono ridotto anche a mettermi la cipria di mia sorella per non farglielo notare. Ma tanto lei lo nota lo stesso. Non è stupida, mia madre. Purtroppo per me, non lo è.
Interrogazione di Scienze (ma perché in questi ultimi giorni gli insegnanti interrogano sempre me?). Avanti, Leo. Avanti, ce la fai. Non sei cretino come dicono tutti, gli altri non capiscono niente, sei tu il migliore.
"Allora, Leonardo, parlami del funzionamento di fissione e fusione nucleare".
Ok, Leo. Questo argomento lo sai.
"Ehm, allora... mmh...".
Concentrati, Leo! Se prendi ancora un 4 va a finire che ti bocciano! Avanti, scandisci bene ogni parola!
Forza!
"La fissione e la fusione nucleare avvengono per mezzo dell' uranio".
Come inizio non e' era male. Per il resto, però, ho fatto proprio pena. La professoressa però ha avuto pietà di me. Invece di quel 5 che mi meritavo, mi ha rifilato un 6-.
Oggi il tempo è uggioso. Il ciclo è nero. E' mezzogiorno, ma sembra quasi mezzanotte. Il vento soffia veramente forte. Fuori dalla finestra sembra che ci sia il diluvio universale. Ugualmente accade dentro la mia testa. Ma mi sono documentato. Non sono scemo, io. Un giorno ho preso il secondo dei due volumi dell' enciclopedia e ho cercato la parola "tossicologia". Quando finalmente l'ho trovata ho cominciato a leggere. Non è che ci abbia compreso granché, però la parte che riguardava i sintomi l'ho capita. Niente forte mal di testa. I sintomi che io provo sono diversi da quelli che ha un normale tossicodipendente. E non dipendono dalla droga. Dipendono da quella vocina piccola piccola che mi dice che se continuo così vado sulla brutta strada, che cerca di distogliermi da quella polverina bianca che mi piace tanto. Ma questo alla vocina dentro la mia testa non va bene. Io ho capito chi è la vocina, non sono stupido. E' una cosa che ogni uomo ha dentro di sé quando nasce, o almeno così ho sempre creduto. Non le piace farsi conoscere in giro, è riservata e parla solo con te. E' una cosa che si chiama coscienza. Io sono stato sempre un bravo ragazzo (almeno fino a qualche mese fa): mai bevuto, mai fumato, mai avuto brutte storie con altra gente, studiavo abbastanza, non ero un Leonardo da Vinci per intelligenza, né un Leonardo di Caprio per bellezza, ma solo e semplicemente io, Leonardo Marini, un ragazzo di 17 anni come qualunque altro, normale, anche se qualcuno diceva, per prendermi in giro, che ero più stupido della norma (ma non credo che l'abbiano mai detto sul serio). Finché ero un bravo ragazzo, alla mia coscienza andava tutto bene. Se ne stava felice e contenta dentro la mia testa e io neanche sapevo di avere lei come inquilina. Però ora non va più bene. Ora la mia coscienza si mette ad urlare come una bestia ogni volta che ho una crisi d' astinenza e si copre il viso con le mani quando faccio quella cosa che a lei non piace. E la sua voce diventa più intensa e ancora più intensa, così forte che cancella tutto il resto e spezza il filo dei miei pensieri.
Non la sopporto più. D'altra parte però, penso che senza di lei sarei completamente perduto. E per questo sto male il doppio.
Io devo evadere da questa brutta situazione. Sì, è come se stessi in prigione. Cioè, non una prigione vera e propria, con le sbarre e tutto il resto.
Mi immagino disteso supino, con i polsi e le caviglie incatenati, agitandomi a più non posso, cercando di liberarmi dalla stretta morsa di quelle cinghie di pelle che mi fanno un male terribile... E sento quella vocina tanto odiata della mia coscienza, che senza pietà infierisce su di me e piange e dice: "Oh, Leo, io te l'avevo detto, te l'avevo detto...!". E poi comincia a parlarmi per aforismi, a dettarmi norme che io non capisco e che mi accecano il cervello, al punto che io non sento altro che il pentimento e la vergogna di me stesso, finché non scoppio in lacrime per il dolore.

A volte penso che questo rimorso che ho dentro mi abbia fatto diventare tin poco più adulto di quello che ero poco meno di un mese fa. Cioè, insomma: faccio dei pensieri più complessi, che non avrei mai creduto potessi formulare. Ma questa mia boriosa considerazione diventa fumo quando penso che sono diventato solo uno stupido protervo e che, malgrado tutto, continuo a fare quella cosa. E il peggio è che una volta ho provato anche una siringa. E ancora peggio è il fatto che mi è piaciuta. Oh, sì, mi è piaciuta parecchio.
Fatalismo. Era l'argomento della lezione che ci è venuta a fare oggi a scuola una sociologa... o forse una psicologa... Bah! Per quello che sono stato a sentirla poteva anche essere una studiosa di astrofisica nucleare! Però qualche cosa l'ho capita. Questa studiosa ha accennato al fatto che gli antichi credevano che tutto dipendesse da questo fatalismo (ha parlato anche di una. certa Moira che non ho mai sentito nominare). Nessuno può farsi un futuro da sé, dipende tutto dal fatalismo. Il fatalismo può portarti alla gloria... ma il fatalismo può anche gettarti nella polvere. Il fatalismo... Il fatalismo è diventato un po' il mio fisima, la mia fissazione perpetua. Non riesco a togliermela dalla testa. A proposito, non ho più mal di testa. Ma a volte mi capita qualcosa di peggio. Cioè, una specie di blocco mentale. Stop, fermo, finito. Fino a che qualcuno non viene a darmi una scrollata e io mi risveglio tutto intontito, la testa che mi pulsa ovunque., come una specie di ritorno alla realtà. Ma brusco. Molto, molto brusco.
E' pomeriggio. Sto seduto in cucina, con i gomiti sul tavolo e le mani appiccicate alle guance. Un qualunque sconosciuto deficiente, vedendomi, direbbe che sto fissando la mia tazza dì camomilla . Ma mia madre no . E' sveglia, mia madre. Si accorge che ho uno di quei miei vuoti, che ultimamente ho sempre più spesso. Si avvicina a me tutta piena di apprensione, mi afferra per le spalle e mi da una scrollata. Io però non reagisco come al solito. Oh, no, non come al solito. Stavolta sono floscio, inerme, sembro uno dì quei pupazzi tutti snodati che vanno a ruba in questo periodo nei negozi per bambini. "Leo!" fa mia madre. <<Leo, ma... ma che cos' hai?". La sua voce mi risuona lontana lontana, come se mi stesse chiamando dal monte Everest e mi arrivasse intatta solo l'eco della sua voce. Non riesco a tenermi seduto. Scivolo giù dalla sedia, mi si chiudono gli occhi e non vedo più niente.
E' tutto bianco intorno a me. Penso per un meraviglioso attimo di essere in paradiso, ma quando dottori con i loro odiosi camici bianchicci capisco che evidentemente non ci sono ancora arrivato. Uno di loro si accorge che i miei occhi si sono schiusi in una fessura piccola piccola e mi molla un buffetto sulla guancia. "Tranquillo" mi dice, "non è niente di grave. Fra un po' ti sveglierai e sarà tutto finito". Io non sono mai stato scettico in vita mia, ho sempre creduto in tutto quello che la gente mi diceva: ma in questo momento penso proprio che questa sia la più grande bugia mai uscita dalla bocca di questo fesso qua davanti. Preferisco richiudere gli occhi e fingere di aver creduto a quello che mi ha detto.
Riapro gli occhi e ho un mal di testa di proporzioni gigantesche. Non e' è nessuno. No, aspetta... Sì, c'è qualcuno. Sono due persone. Quella è mia mamma... sì, sì, è lei. E... quell'uomo..:? Chi è quello? Accidenti: non ci credo! Quello li... Ma quello lì è mio padre!!! Io pensavo che lui e mia madre si fossero separati come si deve, cioè, voglio dire, pensavo che si fossero detti "addio", ma ''addio" sul serio) Fa piacere vedere che ci hanno ripensato.
Li osservo: stanno dormendo.., e hanno anche un' aria molto stanca, direi. Mia madre è seduta su una piccola seggiola verde chiaro, con la testa appoggiata alla parete. Porta in mano un cartoncino: dai colori forti riesco a distinguere l'icona con la figurina di S. Francesco d' Assisi che troneggia al centro, con le braccia aperte e la testa leggermente inclinata, non porta i calzari e mostra un sorriso leggero sulle labbra. Non è che io possa vedere tutte queste cose, sono troppo intontito; però quell'immagine l'ho vista così tante volte che è un gioco da ragazzi per me ricordarla con tutù i suoi minuscoli particolari. Mio padre invece sta seduto a terra (è sempre stato piuttosto pratico, lui), la testa appoggiata al muro, le gambe leggermente piegate e le mani incrociate sul suo ventre magro. Mi fa ridere perché dorme a bocca aperta e, a quanto sento, non ha perso l' abitudine di russare. Mi piace, mio padre. Meno male che c'è anche lui.
Accidenti, quanto mi costa ammetterlo. Però lo devo dire. Ho paura. Oh, porca miseria, se ho paura. Credo che tutti ce l'avrebbero, al posto mio. Credo che sia una cosa normale. Non ci avevo mai pensato alla morte, io. E perché diavolo dovevo pensarci? Leonardo Marini, un bravo ragazzo come tanti altri, perché deve pensare alla morte? Sono un tipo ottimista, io. Ma ora, accidenti, mi tocca pensare a queste cose, che di ceno non sono ottimistiche. C'è qualcosa di più pessimistico del pensiero della morte, forse? No, credo proprio di no. Mia madre scoppierebbe in lacrime se sapesse quello che suo figlio sta pensando in questo momento. Ma sono sicuro che mia madre piange lo stesso anche senza sapere che pensieri ho per la testa, in questi giorni. Credo che mia madre soffra parecchio. Insomma, lei è più ottimista di me, vede tutto quanto rosa. Da piccolo dicevo sempre ai miei amichetti che avevo una mamma tutta pimpante. Ma ora le sue guance di solito sempre arrossate sono del colorito di un cadavere e sulla sua bocca non vedo mai un sorriso. E così sono anch'io.
Ogni giorno mia sorella Manuela mi viene a trovare. Veramente non dovrebbe, lei è infermiera qui all'ospedale solo da qualche mese; però si è conquistata la fiducia dei suoi colleghi e anche dei suoi superiori, così può andare dove vuole in giro per l' ospedale senza che nessuno la ostacoli, perché tutti si fidano dì lei. Quanto la invidio... Chi è che ha mai avuto fiducia in me, oltre a mia madre? Nessuno, immagino.
L'ospedale è deprimente quanto un cimitero, Tutto il giorno non vedo altro che il mio piccolo quadratino di soffitto bianco cadaverico; ogni tanto arriva qualcuno della mia famiglia e ogni tanto sonnecchio. Al mio risveglio spesso c'è un mazzo di fiori freschi sul comodino. E ogni volta che questo accade, è inevitabile che io non faccia il paragone tra il portare i fiorì ad un malato e il portare i fiori a un morto. E allora comincio a odiare tutto e tutti, anche se tatto e tutti in questo momento mi stanno vicini.
Questi giorni penso molto. E immagino.
Mi immagino maggiorenne, andare in giro per le strade con la mia ragazza, magari con Marta, mangiare una pizza, tenermi per mano con lei... E poi mi immagino con mio figlio, un piccoletto magro magro e nero di capelli, la mia fotocopia in miniatura, al parco giochi, o al cinema a vedere un cartone animato... Ci penso, io, a queste cose. Sarò sdolcinato, ma a me piace fare questo genere di pensieri. Però ora nella mia testa non è più niente di niente, solo vuoto. Vuoto, sì: un vuoto perenne che però mi riempie il cuore e mi soffoca, fino a che non riesco più a reprimere il nodo che ho alla gola e scoppio in singhiozzi. E non è più Marta, non è più quel bambino tale e quale a me. Solo vuoto. Un enorme, affamato, stramaledetto vuoto.
È passato qualche giorno dal mio arrivo in ospedale, anche se ogni giorno mi è sembrato lungo una vita. E ora mi sono rassegnato. Devo soffrire? OK, soffro. Devo morire? OK, muoio. Questa è la mia lezione, il mio castigo. L'ho capita, io, la lezione. Peccato solo che questa lezione non mi possa servire in futuro.