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 Il “paradigma” delle competenze. Dove nasce? Cosa comporta?

Il concetto di competenza va di moda.
 
Con esso si indica spesso quello che viene definito un “nuovo paradigma” per la progettazione didattica e per la valutazione. Se poi, però, si va a ben vedere, ci si accorge che questo “paradigma” non è così “nuovo”. Esso affonda le proprie radici storiche nella cosiddetta “scuola di Chicago” (autori come Tyler e Bloom), già attiva prima della Seconda Guerra Mondiale, ed è la base della cosiddetta Evidence Based Education.
 
Cosa significa costruire l’istruzione sulle evidenze?

Significa individuare degli standard di comportamento che la scuola deve adeguare. Le competenze aiutano a descrivere questi standard, consentendo al sistema l’analisi comparativa dei risultati: se tutte le scuole europee concordano gli standard, diventano comparabili – è quanto avviene per le analisi OCSE-PISA). La teoria del capitale umano, il Mastery Learning, il modello della Qualità Totale nascono da qui.
 
Dunque il paradigma non è nuovo. Ma al di là di questo cosa significa e cosa comporta?
 
Si può definire sinteticamente la competenza come un “sapere di azione”.
Saper agire è più che saper fare, o semplicemente sapere. Saper agire implica di essersi appropriati di un sapere (dimensione oggettiva della competenza), di disporre di tutta una serie di disposizioni personali (analisi, sintesi, metacognizione, ecc. – è la dimensione soggettiva della competenza) e di saperle giocare in contesti reali, con i loro vincoli di situazione e le loro dinamiche sociali (dimensione intersoggettiva della competenza).
Quindi la competenza è ciò che ci consente di saperci rapportare a contesti problematici complessi, ovvero tutti quei casi in cui la semplice applicazione di schemi procedurali non basta.
 
In altre parole, sono competente quando riesco a utilizzare tutto quello che ho imparato per risolvere situazioni problematiche che non necessariamente già conosco.
 
Se questa idea viene assunta con serietà nella scuola, cambia radicalmente il modo di fare progettazione didattica e di valutare.
 
Cambia il modo di fare progettazione, perché il punto di partenza non sono più gli obiettivi, ma proprio le competenze che voglio i miei studenti sviluppino in uscita da una certa classe. Su queste competenze occorre concentrarsi, individuandone le dimensioni, traducendole in traguardi formativi, trovando gli indicatori che devo poter osservare se voglio dire che quei traguardi sono stati raggiunti.
 
E cambia il modo di fare valutazione. Perché valutare le competenze implica di concentrarsi sui processi, sui meccanismi di azione e di decisione: le prove tradizionali non sono sufficienti, occorre immaginarne altre che appartengono a quella che viene definita “Nuova Valutazione”. Una valutazione di performance, che “fotografa” le competenze al lavoro, è basata sull’osservazione sistematica, si serve di rubriche.
 
Ne vale la spesa?
Lavorare per competenze consente di migliorare gli apprendimenti degli studenti? O non è più semplice continuare a lavorare come si è sempre fatto, ponendosi il problema delle competenze solo al momento in cui le si deve certificare (e allora una semplice tabella che ci consenta di “abbinare” al voto numerico la competenza basta e avanza)?
 
Sono alcune delle domande che vorremmo lanciare e dibattere in questo blog. La discussione è aperta.

10 commenti su “Il “paradigma” delle competenze. Dove nasce? Cosa comporta?

  1. Lavorare per competenze significa, per i docenti, rivoluzionare la propria forma-mentis, compito difficile se pensiamo alla formazione degli insegnanti,  dalla cui laurea sono esclusi esami riguardanti la didattica, la psicologia, elementi di pedagogia, ecc., ecc.. 
    Tutto è demandato alla buona volontà del singolo che, il più delle volte, limita qualsiasi  innovazione alla sola sostituzione  linguistica dei termini: il termine obiettivo è sostituito dal termine competenza, il termine programmazione dal termine unità di apprendimento, ma la sostanza rimane  la stessa!
    Sicuramente lavorare per competenze permette di migliorare l' apprendimento, ma nell' attesa che i docenti maturino quella rivoluzione di pensiero richiesta per poter sostituire gli obiettivi con  le competenze, come è possibile contenere i "danni" e quale strada far seguire quella tradizionale o sperimentarne nuove?  

  2. Ravviso la necessità di dare una svolta ai sistemi tradizionali di insegnamento se si vuole che i nostri alunni siano competenti in ciò
    che si insegna loro ad apprendere già alla fine di ogni unità di progettazione basata sulla esaltazione di funzioni significative e realmente utili e utilizzabili nella realtà degli alunni stessi. Suppongo che attraverso la scelta dei contenuti e delle attività che realmente si svolgono quotidianamente nella società si possano dapprima esercitare gli alunni e poi verificare e quindi valutare le acquisite competenze.
    E' necessario immettere l'alunno in situazioni reali perchè vere e stimolanti e richiedono uno sforzo che sarebbe di per sè motivante e gratificante poi per l'alunno che si scopre competente. Occorrono disponibilità, assunzione di responsabilità a vari livelli, strumenti e  investimenti che ai giorni nostri pare non siano disponibili per la scuola. Forse il mio è un commento è inutile ma è ciò che penso.
    Sta a voi trovare il modo di concretizzare, se già non l'avete trovato!     Anna Maria.

  3. luigi scrive:

    Ho partecipato a diversi convegni, corsi di aggiornamento ed altro intorno a questo argomento e sempre sono rimasto col dubbio se il meccanismo delle competenze stia funzionando realmente o meno. Alla mia domanda se fossero stati fatti dei riscontri non ho mai avuto risposte chiare perciò ho l'impressione che in molti casi si stia procedendo con delle dichiarazioni d'intenti a cui non sempre fanno seguito fatti concreti, trasformando così semplicemente il voto in competenza (ma ciò non è corretto, non è così che, secondo me, si valutano le competenze). Allo scopo ho proposto ad una classe un corso-progetto articolato in varie fasi ed attività ciascuna delle quali prevede indicatori utili alla valutazione delle competenze da ciascuno dei singoli studenti sia nel lavoro individuale che di gruppo ( a fine anno saprò se ha funzionato o meno e perchè).
    Luigi C.

  4. Noi possiamo esser precisi e dettagliati quanto vogliamo qui. Purtroppo nella vita scolastica quotidiana capita non poco frequentemente di scontrarsi con altre mentalità, altri modi di vedere l'insegnamento e l'apprendimento, paradigmi etici corrispondenti ciascuno in sé ma articolati su scale non sempre coincidenti. Lo scenario risultante è che spesso si usano sì gli stessi termini, ma per ciascuno di noi essi assumono accezioni diverse, talvolta addirittura interi significati diversi. E quindi ci può esser tutto il dialogo che vogliamo, ma non cambia nulla. Alla fine vince il carisma attivo o passivo di questo o quel collega.

  5. marina scrive:

    Sono in insegnante che ha avuto la possibilità di lavorare per più di 20anni alle Elementari e da circa 8 alla secondaria di primo grado e ho dovuto recedere in alcuni casi sul percorso di apprendimento degli allievi alla scuola Media, dove i colleghi professori svolgono spesso lavori settoriali e strettamente valutati per il loro raggiungimento precipuo dell'obiettivo. Il costruire competenze resta spesso Sintesi difficile e ardua del singolo alunno, soprattutto negli ambiti che si sviluppano in poche ore di lezione…lingua, tecnologia,ecc. senza aderire ad un piano integrato che sommi i vari percorsi dello studente nel tempo e quindi approdi ad una reale certificazione delle competenze in uscita dal triennio (che a mio avviso andrebbe riformato decisamente in modo più ampio e rispettoso delle tappe di crescita dei ragazzi, proporrei 4 anni,anzichè 3 e successive scelte affrettate).
    Condividere la "costruzione e individuazione" delle competenze degli alunni è fondamentale… quali figure suggerite per la formazione? Eventualmente anche o solo on-line?
    Grazie, arrivederci
    Marina

  6. Vera scrive:

    Più di una volta durante  i vari incontri con colleghi da tutta Italia, appena  si comincia
    a parlare di competenze, ci si accorge che non c'è un lessico condiviso su tanti
    aspetti della valutazione. Per questo credo che la prima cosa da fare sarebbe stilare un
    glossario  comune e condiviso, che comunicasse a tutti cosa si deve intendere
    per conoscenze, capacità e competenze. Detto questo, credo che veramente,
    se riuscissimo a  far capire agli studenti che le conoscenze sono solo il primo gradino 
    ed è possibile dimenticarle, mentre le competenze  corrispondono a saper andare in bicicletta,
    e quando si è imparato, anche se non  lo si  fa di continuo, non per questo ci
    dimentichiamo come si fa….

  7. anche con i glossari di termini semanticamente univoci (1 termine / 1 significato), non si risolve nulla, se poi ognuno, in cuor suo, la intende a modo proprio. e quindi tutto sta nella sensibilità del singolo che più o meno gli permette di avvicinarsi alla univocità di questo o quel termine non soltanto in teoria, ma anche all'atto pratico. purtroppo però, la cosa all'atto pratico funziona se e solo se il significato teorico e pratico di questo termine coincide con il "sentire" dei colleghi. in questi casi, e forse non solo, il sentire prevale sul significare.

  8. Sono un'insegnante di inglese. Insegno da più di 28 anni (10 nella media inferiore ed i rimanenti al Liceo Scientifico e Classico). Noi abbiamo sempre lavorato per competenze (lo sviluppo di una adeguata competenza comunicativa attraverso le quattro abilità di base è stato sempre il nostro obiettivo principale). Nel mio Liceo, in sede di  programmazione di dipartimento, siamo sempre partiti dal Framework Europeo per l'Apprendimento delle Lingue Straniere – lo facevamo anche quando questo schema di riferimento non era citato nei programmi ministeriali. Sono rimasta esterefatta quando, con la riforma, al Liceo Scientifico le ore di inglese, invece di aumentare, sono diminuite (in seconda ed in quinta erano 4 ed ora sono 3 in tutte le classi). Eppure tutti continuano a parlare di adeguamento ai parametri europei, quando in altri paesi europei a questa disciplina vengono dedicate molte più energie e risorse. E quando la riforma è partita, nessuno ha fatto nulla. Intanto però si dice che i nostri alunni devono raggiungere almeno il livello B2 e che dobbiamo realizzare il CLIL (non si sa quando)!!!
    Buon lavoro

  9. C'è ancora un problema da risolvere. Un docente universitario alla conclusione di una sua conferenza, si scusava con la platea di adulti perch&eacuto; aveva sforato di 6 minuti il tempo di 45 minuti che si concede sempre nel presentare la sua conferenza: c'è la questione "fisiologica" dei tempi cognitivi per gli adulti, figuriamoci per ragazzi che hanno 5-6 ore davanti. Le competenze vanno cadenzate come l'intervento dei vari strumenti musicali in una sinfonia? O anche più semplicemente basta non riguardare la scuola con ritmi rigidi, ovvero distinguere intervalli di tempo in cui si opera con la dovuta concentrazione, da altri ludici?

  10. marilena scrive:

    Sono insegnante di inglese in una scuola secondaria 1° grado. Ritengo che, come già qualcuno ha affermato, sia importante  innanzitutto condividere il significato di competenza perch&eacuto; c'è tanta confusione. Il processo di programmazione deve cambiare: 1) stabilisco cosa l'alunno, alla fine del triennio o di un corso di studi, deve saper fare e saper essere; 2) definisco gli obiettivi per raggiungere quelle competenze in uscita, utilizzo di rubriche; 3) stesura della progettazione. E' esattamente il contrario di ciò che molti ancora fanno. L'argomento è vasto e interessante, è difficile sintetizzare, ma spero di essere stata chiara. Buon lavoro!
    Un'ultima cosa : forse per noi docenti di lingue è più facile insegnare per competenze perch&eacuto; siamo abituati al Framework.