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 Forum A – Unità A3

L’IMPRENDITORE COMMERCIALE,IL PICCOLO IMPRENDITORE E L’IMPRENDITORE AGRICOLO

► Riepiloghi

 

► Approfondimenti

Quando l’incapace di agire può esercitare un’attività imprenditoriale?

Di regola chi vuole svolgere un’attività imprenditoriale deve possedere la piena capacità di agire. In via eccezionale, tuttavia, possono essere titolari d’impresa anche:

– il minore, l’interdetto (art. 320 c.c) e l’inabilitato (art. 425 c.c) se l’impresa è pervenuta loro per eredità o per donazione e abbiano ottenuto dal tribunale, su parere favorevole del giudice tutelare, l’autorizzazione a continuarne (non ad iniziare) l’esercizio per mezzo di un rappresentante legale (genitore o tutore) oppure, nel caso dell’inabilitato, con l’assistenza del curatore.

– il minore emancipato il quale abbia ottenuto dal tribunale l’autorizzazione a continuare un’attività già esistente o ad iniziarne una nuova (art. 397). L’autorizzazione data dal tribunale può essere ritirata qualora l’attività si riveli dannosa per gli interessi dell’incapace.

L’incapace che sia stato autorizzato dal tribunale all’esercizio dell’impresa assume il ruolo di imprenditore e quindi si espone all’eventuale dichiarazione di fallimento.

Le scritture contabili come prova a favore o contro l’imprenditore

Immaginiamo di vantare un credito nei confronti di un imprenditore e supponiamo di non disporre di alcuna prova che confermi in giudizio la nostra pretesa. Che fare?

Una soluzione potrebbe consistere nel chiedere all’imprenditore di mostrare al giudice i suoi libri contabili. Se questi sono stati tenuti regolarmente dovrà sicuramente risultarvi annotato il nostro credito e noi avremo così trovato la prova che ci mancava.

Non sarà sfuggito che con questa procedura si utilizzano i libri contabili dell’imprenditore per ricavarne una prova contro di lui.

Modifichiamo ora l’esempio e immaginiamo che un imprenditore pretenda di vantare un credito nei nostri confronti. In mancanza di altre prove esibisce in giudizio i suoi libri contabili dai quali risulta che gli dobbiamo la somma da lui richiesta. È accettabile questa
prova? Certamente no perché chiunque può scrivere sui propri libri che Tizio, Caio o Sempronio gli devono del denaro.

In generale, pertanto:

Le scritture contabili possono essere invocate come prova contro l’imprenditore e non dall’imprenditore stesso come prova a suo favore (art. 2709c.c.).

Possono valere come prova a favore di chi le ha predisposte, stabilisce l’art. 2710 c.c., solo se anche la controparte è un imprenditore.

Perché? Perché in tal caso questi ha la possibilità di presentare a confutazione le proprie scritture. Per esempio, immaginiamo di portare in Tribunale i nostri libri contabili dai quali risulta un credito a nostro favore per una fornitura di merce fatta all’impresa Alfa. Se i nostri libri fossero stati contraffatti l’impresa Alfa avrebbe buon gioco a presentare in giudizio i suoi mostrando che in essi non risulta alcuna merce in entrata oppure che il debito è stato estinto. Se non esibisce i
suoi libri, significa che le nostre scritture sono inconfutabili e pertanto il giudice può assumerle come prova a nostro favore.

Come sono regolati i contratti agrari?

L’imprenditore agricolo può essere proprietario del fondo oppure può averne acquistato la disponibilità stipulando con il proprietario un contratto di affitto o un contratto di tipo associativo.

L’affitto del fondo rustico è il contratto con il quale il proprietario concede il godimento di un fondo all’imprenditore agricolo il quale si obbliga a corrispondergli un canone periodico in denaro.

Previsto dall’art. 1628 c.c, questo contratto è stato successivamente modificato con leggi speciali volte ad offrire migliori garanzie all’agricoltore affittuario che sul fondo investe le proprie energie.

In particolare la legge n. 203 del 3 maggio 1982 ha fissato la durata minima del rapporto in 15 anni e ha introdotto un equo canone che viene aggiornato ogni tre anni da apposite commissioni tecniche provinciali sulla base del reddito catastale del terreno.
Il reddito catastale è il reddito che l’ufficio del catasto presume si possa ricavare da quel certo tipo di terreno.

Contratti associativi sono la mezzadria, la colonia parziaria e la soccida.

La mezzadria (art. 2141 c.c.) è il contratto con cui il proprietario terriero, detto concedente conferisce un podere (cioè un fondo dotato di casa e attrezzature) e il mezzadro conferisce il lavoro proprio e della propria famiglia al fine di svolgere attività agricola e dividere prodotti e utili.

La colonia parziaria (art. 2164 c.c.) differisce dalla mezzadria perché il proprietario non mette a disposizione un podere ma solo un fondo, cioè un terreno, e il coltivatore si impegna a fornire il lavoro proprio e non anche quello dei familiari.

La soccida (art. 2170 c.c.) è un contratto che ha per oggetto l’allevamento e lo sfruttamento del bestiame e nel quale le parti mettono insieme, secondo diverse combinazioni, la terra, il bestiame e il lavoro al fine di ripartire prodotti e utili che ne derivano.

I contratti di tipo associativo hanno segnato la dolorosa storia del mondo contadino per il grande potere che la legge assegnava ai proprietari terrieri. Per avere un’idea di quanto fosse impari questo rapporto, basti pensare che, nonostante il mezzadro consumasse sui
campi l’esistenza propria e dei propri figli, il codice civile (art. 2145 c.c ) assegnava la direzione dell’impresa al proprietario della terra e senza il consenso di questi (art. 2142 c.c.) il mezzadro non poteva neppure cambiare la composizione della propria famiglia, considerata
come forza lavoro contrattualmente vincolata.

Solo nel 1964, la legge n. 756 del 15 settembre ha vietato la  stipulazione di nuovi contratti associativi e nel 1982 la legge n. 203 ha offerto alle parti la facoltà di convertire in affitto i contratti associativi ancora in corso.