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 La concentrazione in quattro passi

Molti pensano che sia sufficiente ascoltare, leggere o guardare delle immagini su uno schermo per memorizzare e imparare. Non è così. Se la mente non «lavora» gli stimoli non vengono elaborati. Oggi i giovani possono avere l’impressione di sapere molte cose perché vedono sceneggiati, film, navigano in rete e ricevono informazioni in campi diversi; parecchi di questi apprendimenti però sono superficiali. Se manca una griglia interpretativa, le informazioni scivolano via, non lasciano traccia e non sono utilizzabili come base per futuri apprendimenti. Un esempio? Chi non possiede delle nozioni fondamentali di economia può ascoltare tutti i giorni le notizie economiche dei telegiornali senza trattenere nulla di ciò che sente.

Ma che cos’è l’apprendimento? È un’attività più complessa di quello che sembra: comprende degli «ingranaggi» che, per fare un buon lavoro, devono funzionare tutti e a pieno ritmo; per esempio, se imparassimo senza memorizzare, dovremmo ripartire ogni volta da zero. Bisogna prima di tutto essere capaci di «captare» ciò che merita di essere preso in considerazione e tralasciare ciò che non è rilevante. Osservando con attenzione e riflettendo si colgono i significati, si notano somiglianze e differenze e si stabiliscono delle relazioni con ciò che già si conosce. Si tratta poi di memorizzare per potere utilizzare in seguito ciò che si è imparato. In sequenza: prestare attenzione, capire, riflettere e attivare la memoria. Ognuna di queste attività mentali prepara quella successiva e consente di tornare alla precedente: l’attenzione apre alla comprensione, ma la memorizzazione consente di rintracciare la comprensione per applicarla a un nuovo contesto.

Prestare attenzione. Poiché l’attenzione è il primo passo che bisogna compiere, dal tipo di attenzione dipende tutto il resto. Focalizzare l’attenzione è fondamentale in ogni tipo di esperienza: centinaia di stimoli e di messaggi competono tra loro e possono distrarci dall’argomento su cui dobbiamo concentrarci. Dire al nostro alunno «fai attenzione!» a volte è sufficiente, a volte no: potrebbe fissare il foglio senza leggere, potrebbe leggere senza concentrarsi, potrebbe fingere di essere attento ma intanto seguire altri pensieri o, con la coda dell’occhio, guardare un programma televisivo. L’attenzione è una capacità limitata e selettiva: a volte è sufficiente un solo elemento di disturbo per distrarci. Alcuni ragazzi riescono a concentrarsi su un compito ascoltando una musica di sottofondo, è difficile però inviare sms e al tempo stesso applicarsi a un problema di matematica. Prima di iniziare i compiti bisogna creare le condizioni affinché non ci siano fattori di disturbo.

Se il nostro alunno è dispersivo, ha l’abitudine di passare da una cosa all’altra, è necessario, prima di tutto, insegnargli a fissare l’attenzione. Come? Gli si fa notare che non è sufficiente percepire, ascoltare, guardare o leggere se non si cerca di trattenere qualcosa di quelle esperienze «nella testa». Ci deve essere da parte sua l’intenzione esplicita e consapevole di rappresentarsi nella mente ciò a cui si sta applicando. Per esempio, guardare un triangolo e fissare nella mente la sua caratteristica principale (isoscele? scaleno? rettangolo?). Questo lavoro mentale è preliminare a tutto il resto. Chi non è abituato a farlo deve esercitarsi. Queste prime «tracce» interiori (un’immagine, alcune parole, uno schema …) consentono di passare alla fase immediatamente successiva.

Aprirsi alla comprensione
. Bisogna capire. Non è sufficiente prendersi la testa tra le mani, leggere o rileggere lo stesso passaggio dieci volte, bisogna comprendere il testo. Dare senso all’argomento che si affronta. A seconda di ciò che si studia può essere utile commentare, ripetere con parole proprie, chiarire il significato di termini sconosciuti, disegnare uno schema, collegarsi ad apprendimenti precedenti eccetera. A volte basta qualche secondo, altre volte servono svariati minuti. Qualcuno traduce una regola, un pensiero, un calcolo, in termini verbali. Qualcun altro riformula quegli stessi contenuti in immagini. C’è chi si chiede il «perché» e chi invece cerca di intravedere dei risvolti applicativi. In ogni caso, la mente entra in azione. C’è uno sforzo interiore che, nell’età evolutiva, è funzionale allo sviluppo dell’intelligenza. La genetica fornisce delle potenzialità intellettive, queste però si sviluppano se la mente lavora: il pensiero si muove dal conosciuto verso lo sconosciuto, collega nozioni e concetti di varia natura e provenienza, individua gli elementi più significativi…

Riflettere. Riflessione significa concentrarsi su un problema per trovare una soluzione, oppure approfondire una questione cogliendone annessi e connessi; vuoI dire anche esprimere un pensiero rispettando le regole della grammatica e della sintassi, sforzarsi di capire se un meccanismo può funzionare oppure no, mettere a confronto punti di vista diversi, prevedere le mosse dell’avversario eccetera. I percorsi della riflessione sono infiniti, cosicché di fronte allo stesso compito due persone possono seguire tragitti differenti. Lo si può vedere anche in un’operazione semplice come 7 x 8 da eseguire a mente; chi conosce a memoria le tabelline del 7 e dell’8 produrrà immediatamente il risultato «senza pensare», chi invece non le conosce bene cercherà di arrivare al risulto battendo altre strade:

– so che 6 per 8 fa 48, poi aggiungo un altro 8;
– li sommo: 8, 16, 24, 32, 40, 48, 56;
– dieci 7 sono 70, tolgo due volte 7, cioè 14, e viene 56;
– due 7 sono 14; due 14 sono 28; due 28 sono 56;
– so che 8 per 5 è uguale a 40, perché è la metà di 80 (8 x 10), poi aggiungo 16, cioè due 8…

Se si domanda a una persona perché ha selezionato quel particolare metodo di calcolo risponderà che gli è «venuto in mente». È quello il tipo di procedimento che è abituato a usare. Venire a sapere che esistono anche altri percorsi può essere una rivelazione. Questa scoperta rappresenta un punto di partenza per rendere più flessibili le proprie riflessioni, capire che esistono punti di osservazione diversi, che si possono fare varie ipotesi e che restare legati o «affezionarsi» a un unico procedimento non è sempre una buona strategia.

Memorizzare. Contrariamente a ciò che si crede, la memoria non è rivolta al passato, bensì al futuro. Si memorizza per ricordare a distanza di tempo e in altri contesti. Nel momento in cui si fa lo sforzo di mettere a fuoco e fissare nella mente una nozione, un viso, un’immagine o un numero telefonico, è verso l’avvenire che ci si rivolge: le conoscenze o i fatti che ci si sforza di ricordare devono essere disponibili più tardi. Perché lo studio sia efficace, bisogna pensare che ciò che si impara non deve servire soltanto nell’immediato ma soprattutto nel futuro. Chi vuole ricordare una barzelletta per poi raccontarla agli amici, non si limita ad ascoltarla o a leggerla, ma cerca di formarsi nella propria mente una rappresentazione in sequenza degli elementi critici della storiella in modo da poterla poi facilmente evocare e raccontare.

Per dare significato agli apprendimenti, serve anche, qualche volta, prefigurarsi il luogo o il contesto in cui questi dovranno essere rievocati o utilizzati. Per un alunno il contesto è la classe, dove ci sono i compagni e l’insegnante. Se un bambino impara una lezione con l’intenzione di recitarla a sua madre può, effettivamente, incontrare difficoltà nel ripeterla oralmente davanti alla classe, così come nell’utilizzarla all’interno di un compito scritto; se non immagina anche le domande che gli potrà fare l’insegnante, interrompendolo, o le possibili applicazioni che potranno venirgli richieste, quell’apprendimento potrà risultare rigido e non spendibile in situazioni diverse.

La prima regola della memorizzazione è dunque quella che, per ricordare, bisogna proiettarsi nella situazione in cui quell’apprendimento dovrà essere impiegato, immaginarne cioè l’utilizzo e la resa in un determinato contesto.

Una seconda regola, per quanto riguarda gli apprendimenti scolastici, è quella di ripassare rapidamente al mattino ciò che si è imparato il pomeriggio precedente. Due sono i fattori che aiutano la memorizzazione in questo caso: l’idea di ritornarci su la mattina successiva crea una tensione che è produttiva per il funzionamento della memoria; lo sforzo di rievocare e recitare di nuovo la lezione, dopo un intervallo di tempo né troppo lungo né troppo breve, ha un effetto positivo per il consolidamento del ricordo.

Tratto da: A. Oliverio Ferraris Arrivano i nonni!, Rizzoli 2005