Iraq

Scheda

La lunga occupazione dell’Iraq

Dopo l’occupazione americana del 2003, l’Iraq precipitò rapidamente nel caos, alimentato anche dai conflitti fra le varie confessioni religiose. Sotto Saddam, la minoranza sunnita aveva detenuto il potere attraverso il partito Baath. Era prevedibile che con la caduta del regime la forza della maggioranza sciita sarebbe cresciuta. Gli Usa fin dall’inizio mirarono a smantellare il Baath e, erroneamente, lo associarono all’intera comunità sunnita, che venne a lungo considerata nemica. Fra gli stessi sunniti nacquero gruppi che organizzarono la guerriglia contro gli occupanti, mentre s’inasprivano i contrasti fra le confessioni religiose. Nacque un clima di caos e di guerra civile che né gli Usa, né il governo iracheno (scarsamente legittimato, debole e diviso) riuscirono a evitare. Nei fatti, fra il 2004 e il 2008, si svolse una resistenza organizzata contro gli occupanti, che ben presto s’intrecciò con una cruenta guerra civile fra sciiti e sunniti.

Per affrontare la situazione gli Usa presero due provvedimenti: affidare al governo iracheno la responsabilità dell’ordine pubblico e, per contro, aumentare le forze militari da dispiegare nella capitale per proteggere i centri del potere. In questo periodo si rafforzò sul campo la vittoria degli sciiti: molti sunniti abbandonarono il centro della capitale, si spostarono verso le periferie o le campagne, oppure emigrarono in Siria e in Giordania.

In tempi più recenti – grazie anche all’indebolimento della rete terroristica di al-Qaeda – la situazione sembrò migliorare: i gruppi armati sunniti ottennero dal governo l’integrazione di parte dei loro effettivi nelle forze governative, mentre le milizie sciite venivano represse dal governo di Nouri al Maliki, perché minacciavano l’autorità centrale. Di fatto, conclusa la guerra civile, era ormai sancito il predominio sciita nel territorio e nel potere politico.  Gli sciiti dispongono della superiorità numerica, di peso crescente nell’apparato statale, dell’appoggio degli Usa.