Manlio Dinucci
Il sistema globale seconda edizione - Geografia del sistema globale
Zanichelli Editore

  L’ineguale distribuzione del reddito globale (dicembre 2005)

modulo D: Questioni sociali (Il sistema globale seconda edizione)
modulo B: Economia e società (Geografia del sistema globale)

La distribuzione del reddito globale, ossia della ricchezza prodotta annualmente con le risorse umane e materiali di tutto il mondo, continua a essere caratterizzata da forti ineguaglianze.

Ciò emerge dallo Human Development Report 2005, l’ultimo rapporto sullo sviluppo umano pubblicato dallo Undp (Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo).

Lo Undp usa in questo rapporto un modello statistico basato sul reddito delle famiglie: si dividono gli abitanti del mondo (indipendentemente dal paese in cui vivono) in cinque fasce di reddito, comprendenti ciascuna il 20% (un quinto) della popolazione mondiale, e si calcola quale percentuale del reddito globale appartiene a ciascuna fascia.

Rappresentata graficamente, la distribuzione del reddito globale assume la forma di un calice dalla coppa molto larga e lo stelo molto sottile: la fascia più alta (il 20% più ricco della popolazione mondiale) detiene infatti oltre il 75% del reddito globale, mentre la fascia più bassa (il 20% più povero) ne detiene appena l’1,5%.

Il 20% più ricco della popolazione mondiale è composto in grande maggioranza (per i nove decimi) da abitanti dei paesi economicamente sviluppati: principalmente Stati uniti, Canada, paesi della Ue e altri dell’Europa, Giappone, Australia, Nuova Zelanda.

Il 20% più povero della popolazione mondiale è composto quasi interamente da abitanti dell’Africa subsahariana, dell’Asia orientale e meridionale.

In seguito a questa ineguale distribuzione del reddito globale, il reddito pro capite del 20% più ricco della popolazione mondiale è circa 50 volte superiore a quello del 20% più povero.

Ancora più accentuato è il divario tra i due estremi comprendenti ciascuno un 10% della popolazione mondiale: il reddito pro capite del 10% più ricco è oltre 100 volte superiore a quello del 10% più povero.

I divari sono nella realtà molto più accentuati di quanto indichino queste medie statistiche.

Nella fascia più alta vi sono le 500 persone più ricche del mondo il cui reddito complessivo supera, secondo una stima per difetto, quello di 416 milioni di persone appartenenti alla fascia più povera.

Nelle due fasce più basse – comprendenti il 40% della popolazione mondiale che detiene appena il 5% del reddito globale – vi sono 2,5 miliardi di persone che vivono in condizioni di forte indigenza e povertà, tra cui oltre un miliardo in condizioni di povertà estrema.

La povertà non può comunque essere misurata solo in termini di reddito, in quanto ha molteplici dimensioni.

Vivere in povertà significa essere in una condizione sociale caratterizzata da sottoalimentazione cronica, situazione abitativa e igienica disastrosa, forte esposizione alle malattie infettive e parassitarie, analfabetismo, mancanza di potere decisionale, dipendenza, emarginazione, vulnerabilità e insicurezza.

A causa della povertà muoiono ogni ora oltre 1.200 bambini di età inferiore ai cinque anni: quasi 30 mila al giorno, 900 mila al mese. Ciò equivale al triplo delle vittime provocate dal catastrofico tsunami (onda di maremoto) che si abbatté nel dicembre dell’anno scorso sulle coste dell’Oceano Indiano. E’ come se sui bambini più poveri del mondo si abbattessero tre tsunami al mese.

Che la povertà sia la causa prima della morte di questi bambini è confermato dal fatto che, all’interno di ciascun paese, la percentuale dei decessi è molto maggiore negli strati sociali poveri che in quelli ricchi.

Tutto ciò, sottolinea il rapporto dello Undp, potrebbe essere in gran parte evitato: basterebbero 300 miliardi di dollari annui, equivalenti ad appena l’1,6% del reddito del 10% più ricco della popolazione mondiale, a far uscire oltre un miliardo di persone dalla condizione di povertà estrema.

Per dotare di acqua potabile i 2,6 miliardi di abitanti che ne sono privi, basterebbe investire nel prossimo decennio 7 miliardi di dollari annui. Tale investimento, che permetterebbe di salvare 4 mila vite ogni giorno, equivale a meno di quanto gli europei spendono ogni anno in profumi.

L’aiuto allo sviluppo, fornito dai paesi ricchi a quelli poveri, è invece fortemente calato nello scorso decennio, scendendo in media allo 0,25% del loro reddito nazionale lordo. Quello destinato all’Africa subsahariana è diminuito di un terzo.

Per di più l’aiuto allo sviluppo viene spesso vincolato a una pesante condizione: il paese beneficiario deve acquistare beni e servizi non da chi glieli fornisce a minor prezzo sui mercati internazionali ma, obbligatoriamente, dal paese donatore. Ciò equivale a una sorta di tassa che costa ai paesi poveri complessivamente 5-7 miliardi di dollari annui.

Oltre a un maggiore aiuto allo sviluppo, fornito a condizioni eque, occorrono nuove regole nel commercio internazionale soprattutto dei prodotti agricoli.

La vita delle popolazioni povere dipende infatti in gran parte dall’agricoltura, in particolare dai prezzi dei prodotti agricoli esportati da cui deriva direttamente o indirettamente il loro reddito.

Tali prodotti non possono invece reggere la concorrenza di quelli provenienti dai paesi ricchi: in questi paesi, infatti, i coltivatori usufruiscono di forti sussidi statali all’agricoltura.

Ad esempio, i coltivatori di cotone del Burkina Faso (paese dell’Africa occidentale) non possono competere con quelli statunitensi che ricevono dallo Stato sussidi per 4 miliardi annui di dollari, una somma equivalente all’intero reddito nazionale lordo del Burkina Faso.

I paesi ricchi forniscono ai paesi poveri, come aiuto all’agricoltura, complessivamente un miliardo di dollari all’anno, ma spendono sotto forma di sussidi alle proprie agricolture circa un miliardo di dollari al giorno, danneggiando i coltivatori dei paesi poveri i cui prodotti non possono reggere la concorrenza di quelli dei paesi ricchi sui mercati internazionali e, spesso, anche su quelli interni.

Da questi meccanismi e dal fatto che i mercati internazionali sono largamente dominati dai gruppi multinazionali dei paesi ricchi, deriva il calo dei prezzi internazionali delle materie prime agricole esportate dai paesi poveri.

Emblematico è il caso dell’Etiopia, dove la vita di un quarto della popolazione dipende dalla produzione di caffè, che fornisce oltre il 60% del valore delle esportazioni. Nonostante che l’esportazione etiopica di caffè sia aumentata tra il 1985 e il 2003, il reddito ricavato da tale esportazione è sceso da 494 a 178 milioni di dollari.

Pesantissime sono state le ricadute sulla popolazione, in particolare su quella rurale: le famiglie contadine produttrici di caffè hanno visto il loro reddito diminuire di una somma equivalente a 200 dollari annui. Una perdita enorme in un paese il cui reddito pro capite è di soli 90 dollari annui.

 

 

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Il testo dello Human Development Report 2005 si trova nel sito dello Undp.

Trovare il sito dello Undp (estensione .org)
Aprire la pagina contenente i rapporti sullo sviluppo umano.
Andare nel sito web dello Human Development Report 2005.
Scaricare la Overview, ossia la visione d’insieme del rapporto 2005.
Vedi parte relativa allo stato dello sviluppo umano: perché si paragona lo Zambia all’Inghilterra del 1840 e lo Zimbabwe alla Francia della Prima guerra mondiale?
Vedi parte relativa all’aiuto internazionale: di quanto è aumentato dal 1990 il reddito pro capite dei paesi ricchi e di quanto è variato su base pro capite l’aiuto fornito ai paesi poveri?
Vedi parte relativa al commercio e allo sviluppo umano: l’Africa Subsahariana detiene una quota delle esportazioni mondiali inferiore a quella di quale paese? Quanti abitanti ha questo paese in rapporto a quelli dell’Africa Subsahariana?

 
 


 

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