Manlio Dinucci
Zanichelli Editore |
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La discriminazione della donna (dicembre 2006)
Quello della discriminazione della donna è un problema che attraversa ogni paese e ogni aspetto della realtà, dalla sfera economica a quella sociale e culturale. Esso si presenta però in gradi e forme diverse da paese a paese e da settore a settore della popolazione.
La condizione di gran lunga peggiore è quella delle donne degli strati sociali più poveri, nelle regioni economicamente meno sviluppate e, in particolare, nelle zone rurali.
Lo conferma il rapporto dell’Unicef «La condizione dell’infanzia nel mondo 2007», dedicato al tema «Donne e bambini: il doppio vantaggio dell’uguaglianza di genere».
Come ha affermato il Direttore generale dell’Unicef presentando il rapporto nel dicembre 2006, l'uguaglianza di genere e il benessere dei bambini sono inestricabilmente legati: quando si rafforza il ruolo delle donne, in modo che possano condurre una vita piena e produttiva, i bambini e le famiglie prosperano.
Il rapporto però dimostra che, nonostante i progressi nella condizione delle donne nel corso degli ultimi decenni, sulla vita di milioni di donne e bambine continuano a gravare discriminazione, mancanza di potere e povertà.
Nelle regioni meno sviluppate, la discriminazione di genere comincia prima della nascita. Poiché in molti paesi, tra cui Cina e India, esiste una chiara preferenza economica e culturale per i figli maschi, se nei primi mesi della gravidanza risulta dagli esami diagnostici che si tratta di una femmina, viene in diversi casi procurato l’aborto.
Nelle famiglie, soprattutto in quelle più povere, la posizione delle bambine e adolescenti è in genere subordinata a quella dei fratelli: esse hanno un maggiore carico di lavoro, sia domestico che esterno, e minore possibilità di frequentare la scuola.
Per ogni 100 maschi che non frequentano la scuola, vi sono 115 femmine nella stessa situazione. Per di più, quasi una bambina su cinque che si iscrive alla scuola primaria non riesce a completarla, quasi sempre a causa della povertà della famiglia.
Di conseguenza, il tasso di alfabetismo femminile è in genere inferiore a quello maschile.
Svantaggiate sono le femmine anche nell’accesso alla scuola secondaria: nelle regioni meno sviluppate, essa viene frequentata in media da appena il 43% delle bambine di età corrispondente. I motivi sono diversi: o perché non ci sono nella zona scuole secondarie, o perché i genitori non hanno i mezzi economici per mandare la figlia a scuola, o perché ritengono che il matrimonio debba rappresentare il massimo delle sue ambizioni.
La mancanza di istruzione aumenta la possibilità che le bambine e adolescenti siano vittime di abusi e violenze sessuali, praticate spesso per costringerle alla prostituzione. Aumenta anche la possibilità che esse contraggano malattie trasmesse sessualmente.
La mancanza di istruzione aumenta anche la possibilità che le bambine e adolescenti siano costrette dalle famiglie a un matrimonio infantile o precoce, usanza diffusa soprattutto nell’Asia meridionale e nell’Africa subsahariana.
La bambina o adolescente non solo diviene spesso schiava di un marito molto più anziano di lei, ma viene anche esposta a gravi rischi per la propria vita: le femmine sotto i 15 anni hanno, infatti, 5 volte più probabilità di morire durante la gravidanza o il parto, rispetto a quelle tra i 20 e i 29 anni. Per di più, se una madre ha meno di 18 anni, la probabilità che il suo bambino muoia nei primi anni di vita è maggiore del 60%.
La mancanza di istruzione contribuisce anche a privare la donna della possibilità di avere voce nelle decisioni familiari. In venti dei trenta paesi in via di sviluppo presi in esame nel rapporto, oltre il 50% delle donne non ha potere decisionale sulle principali questioni.
La possibilità delle donne di partecipare alle decisioni riguardanti la famiglia influisce sulla nutrizione, la salute e l'istruzione dei figli. Nelle famiglie in cui le donne possono decidere, la quota di risorse destinata ai bambini è di gran lunga maggiore rispetto a quella delle famiglie in cui le donne hanno minore potere decisionale o non ne hanno affatto.
Un altro problema, rilevato nel rapporto, riguarda la retribuzione delle donne nei luoghi di lavoro: in genere esse ricevono, a parità di prestazioni, una paga più bassa di quella degli uomini.
Le donne possiedono in genere minori beni degli uomini a causa di salari inferiori, della mancanza di controllo sul reddito familiare, di pregiudizi di genere nelle leggi sul diritto di proprietà e di successione, e perfino nei programmi statali di distribuzione delle terra. Tali fattori espongono donne e bambini a un maggiore rischio di povertà.
A causa di ciò, il reddito delle donne risulta circa il 30% di quello degli uomini in Medio Oriente e Nord Africa; il 40% in America latina e Asia meridionale; il 50% nell'Africa subsahariana; circa il 60% in Europa centro-orientale e in Asia orientale.
Ai dati forniti dal rapporto si deve aggiungere che nelle regioni meno sviluppate, soprattutto nelle zone rurali, la donna lavora in genere più dell'uomo, ma ciò non appare dalle statistiche in quanto la maggior parte delle lavoratrici non viene censita come facente parte degli occupati.
In realtà, la maggior parte del lavoro agricolo viene svolto dalle donne, che producono oltre la metà delle derrate alimentari. In molti paesi africani, le donne costituiscono il 60% della forza lavoro agricola e producono fino all'80% delle derrate.
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Va tenuto presente, inoltre, che la maggior parte del lavoro svolto dalle donne nelle aree rurali non è retribuito.
Per di più, sono quasi esclusivamente le donne che si occupano del nutrimento della famiglia e della cura dei figli.
Pur in scala minore, varie forme di discriminazione della donna esistono anche nelle regioni economicamente più sviluppate, compresa l’Unione europea: lo conferma il fatto che le donne rivevono in molti casi, a parità di lavoro, un salario inferiore a quello degli uomini.
Lo conferma anche il fatto che la percentuale di donne occupate o in cerca di occupazione è generalmente inferiore a quella degli uomini: gran parte delle donne, infatti, è costretta a rinunciare al lavoro fuori casa poiché grava su di loro il peso maggiore nella cura dei figli e nel lavoro domestico.
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