Manlio Dinucci
Il sistema globale seconda edizione - Geografia del sistema globale Zanichelli Editore |
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modulo B: Dinamiche economiche (Il sistema globale seconda edizione)
La crisi economica e sociale che ha colpito l'Argentina nel 2001-2002, si inserisce in una serie mondiale di crisi finanziarie e monetarie, iniziata nel 1997 in Asia e diffusasi quindi in Russia e America latina.
Essa ha travolto il paese con il più alto prodotto nazionale lordo pro capite in America latina – 7550 dollari nel 1999 – e una bilancia commerciale che, nel 2001, registrava un attivo di 4,5 miliardi di dollari.
All'origine della crisi vi è la politica economica messa in atto negli anni Novanta: il governo ha attuato la "dollarizzazione" dell'economia, agganciando la moneta nazionale (il peso) al dollaro in termini di parità (1 peso = 1 dollaro).
Contemporaneamente, adottando appieno la formula liberista, ha attuato una radicale privatizzazione del patrimonio economico nazionale nei settori dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi.
Tra il 1990 e il 1996 sono state privatizzate oltre 60 grosse imprese pubbliche, che sono state acquistate, a prezzi molto inferiori al valore reale, soprattutto da gruppi transnazionali. Al primo posto quelli statunitensi (con un terzo del totale degli investimenti diretti esteri effettuati in Argentina), seguiti da quelli spagnoli, francesi, cileni, italiani e britannici.
Gli investimenti diretti esteri nell'economia argentina sono più che decuplicati tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, aumentando da 5,8 a 67,6 miliardi di dollari, equivalenti nel 1999 a quasi un quarto del prodotto nazionale lordo argentino.
Essi sono stati effettuati in tutte le principali branche dell'economia: l'industria manifatturiera (dove è affluito oltre il 30% del totale degli investimenti diretti esteri in Argentina); i settori dell'elettricità, del gas e dell'acqua; le banche; le industrie petrolifera e mineraria; l'industria chimica e quelle del cuoio e della plastica; l'industria alimentare e quella del tabacco; l'industria automobilistica e quella dei trasporti; il commercio; le telecomunicazioni.
I più importanti settori dell'economia argentina sono così passati, interamente o in parte, nelle mani di gruppi transnazionali e altre imprese straniere, che non si sono però addossati gli oneri dei debiti delle aziende argentine da loro acquistate.
Ad esempio, una holding internazionale – nella quale l'italiana Stet e la francese France Télécom posseggono complessivamente il 60% delle azioni – ha assunto il controllo di Telecom Argentina, non assumendo alcun impegno riguardo ai debiti di tale azienda.
Contemporaneamente, il governo ha finanziato la spesa pubblica con crescenti prestiti dall'estero, pagando, negli anni Novanta, tassi di interesse del 10-15% in confronto al 3-5% pagato dai paesi industrializzati per i crediti internazionali. In tal modo il debito estero statale è fortemente aumentato.
Gli introiti realizzati con le privatizzazioni hanno permesso inizialmente al governo argentino di pagare gli interessi del debito pubblico. Ma, una volta esauriti i fondi delle privatizzazioni, il debito pubblico ha ripreso ad aumentare, raggiungendo nel 1998 i 110 miliardi di dollari.
Contemporaneamente il debito privato si è decuplicato. Ciò provocava un indebitamento estero sempre maggiore, poiché l'Argentina era costretta a chiedere a prestito altri capitali con cui pagare gli interessi del debito.
Il debito estero argentino ha così superato nel 2001 i 150 miliardi di dollari come debito statale, cui si sono aggiunti circa 60 miliardi di debito privato.
La situazione economica è stata ulteriormente aggravata dal fatto che ristretti gruppi interni - dopo aver realizzato, grazie a complicità istituzionali, grossi guadagni con la svendita del patrimonio pubblico - hanno portato all'estero oltre 150 miliardi di dollari, una somma equivalente al debito estero statale.
I prestiti del Fondo monetario internazionale, in base a un "pacchetto di salvataggio" di 40 miliardi di dollari deciso alla fine del 2000, non hanno fatto che aggravare la situazione, accrescendo l'indebitamento estero dell'Argentina.
Le condizioni annesse a tali prestiti – tagli alle spese sociali, ribasso dei salari e delle pensioni – hanno ulteriormente peggiorato le condizioni di vita e di lavoro della grande maggioranza della popolazione.
Quando la crisi è esplosa – anche per effetto della crisi economica mondiale e, in particolare, del rallentamento dell'economia statunitense – e il peso è stato svalutato, la maggioranza della popolazione ha visto crollare il proprio reddito.
Oltre il 30% della popolazione attiva è rimasto disoccupato o sottoccupato, in seguito al calo produttivo.
Ha contribuito a tale calo anche la decisione, presa dal gruppo Fiat nel dicembre 2001 nel quadro di un ampio piano di ristrutturazione industriale, di ridimensionare drasticamente la presenza industriale di Fiat Auto in Argentina, mantenendovi una capacità produttiva minima, e di trasferire interamente dall'Argentina al Brasile le produzioni dell'Iveco (veicoli industriali).
In seguito all'aumento della disoccupazione e della sottoccupazione, al calo dei salari reali e alla perdita di gran parte dei risparmi a causa della svalutazione, oltre il 40% della popolazione argentina è sprofondato sotto la soglia di povertà. Ciò ha provocato forti tensioni sociali.
Ad essere colpiti dalla crisi argentina sono stati anche 150-200 mila risparmiatori italiani, che, attirati da rendimenti che superavano anche il 10%, avevano acquistato titoli pubblici argentini per l'ammontare di circa 10 miliardi di euro.
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Nel sito de Il Sole-24 Ore, http://www.ilsole24ore.com, sono reperibili dati aggiornati sulla crisi argentina, cui si può accedere attraverso il motore di ricerca interno. Vi sono inoltre due schede: una sulla storia dell'Argentina, nella pagina http://www.ilsole24ore.com/art.jhtml?codid=22.0.589884088; l'altra sulla cronologia della crisi nel 2001, nella pagina http://www.ilsole24ore.com/art.jhtml?codid=22.0.589883950.
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