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Manlio Dinucci
Zanichelli Editore |
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Gli effetti dell’allevamento industriale (febbraio 2006)
modulo D: Questioni sociali (Il sistema globale seconda edizione)
L’influenza aviaria è una infezione dei volatili causata da virus influenzali del tipo A: può colpire sia uccelli selvatici sia pollame da allevamento (polli, tacchini, anatre), causando spesso la morte degli animali. L’uomo può infettarsi con tali virus in seguito a contatti diretti con animali infetti e/o con i loro escrementi.
Essa non costituisce una nuova malattia: da secoli è presente negli allevamenti. Se oggi si diffonde da paese a paese, trasmettendosi in certi casi all’uomo, ciò è dovuto soprattutto alle tecniche usate negli allevamenti industriali e alla crescente esportazione di carne proveniente da tali allevamenti.
La diffusione di questa e altre malattie, come l’Encefalopatia spongiforme bovina («morbo della mucca pazza»), costituisce uno dei tanti effetti dello sviluppo di quella che viene definita «industria globale della carne».
E’ di conseguenza in continuo aumento la produzione mondiale di carne: dagli anni Settanta è più che raddoppiata, superando i 260 milioni di tonnellate annue. La maggior parte è costituita da carne di maiale, seguita da quelle di pollo e manzo.
Secondo le stime, il numero di quadrupedi da allevamento è aumentato dal 1961 ad oggi, su scala mondiale, da 3 a oltre 4 miliardi; il numero di volatili di allevamento, da 4 a circa 18 miliardi.
Allo stesso tempo è avvenuta, a partire dai paesi economicamente sviluppati, una crescente industrializzazione della produzione di carne, basata su allevamenti intensivi e grandi mattatoi.
Motori della industrializzazione sono le grandi società che dominano tale settore: negli Stati Uniti, quattro società controllano oltre l’80% del mercato di carne di manzo; altre quattro, oltre il 55% del mercato di polli da arrostire.
Negli allevamenti industriali intensivi gli animali vengono tenuti in spazi ristrettissimi che impediscono loro di muoversi. Vengono contemporaneamente supernutriti così da accelerarne la crescita.
L’allevamento industriale comporta quindi un grosso consumo di prodotti agricoli. Basti pensare che negli Stati Uniti viene destinato a tale scopo il 70% della produzione di mais e, su scala mondiale, l’80% di quella di soia.
Comporta di conseguenza anche un grosso consumo di acqua: si calcola che, per produrre 2 etti di carne di manzo, ne occorrano 25 mila litri.
Viene destinata al nutrimento degli animali negli allevamenti industriali anche una grossa quantità di pesce: circa un terzo di quello pescato nei mari del mondo viene usato per produrre mangimi per polli, maiali e altri animali.
Inoltre, per accelerare la crescita degli animali, vengono dati loro ormoni e, per impedire che si ammalino, anche antibiotici. Si calcola che negli Stati Uniti venga destinata agli animali da allevamento una quantità di antibiotici otto volte superiore a quella consumata dalla popolazione.
Ciò provoca conseguenze per la salute umana: le persone a contatto con questi animali possono infatti contrarre malattie infettive (come la salmonella) divenute resistenti agli antibiotici e quindi non reagire alle normali cure a base di antibiotici.
Ulteriori pericoli derivano dal modo in cui questi animali vengono macellati: in grandi mattatoi, dove ciascun addetto alla catena di produzione deve sventrare un maiale (o altro animale) al minuto, può avvenire che il contenuto dell’intestino entri a contatto con la carne contaminandola. Ciò provoca nell’uomo varie infezioni, come quelle da escherichia coli e salmonella.
Per impedire la diffusione di tali malattie, diverse società proprietarie di allevamenti industriali hanno proposto di irradiare la carne macellata. Gli studi condotti su tale metodo hanno però dimostrato che la carne irradiata è meno nutriente e potrebbe inoltre provocare tumori.
A questo punto alcuni paesi, tra cui quelli dell’Unione europea, hanno proibito le pratiche più pericolose, come l’uso di antibiotici e proteine animali negli allevamenti industriali.
Tali norme restrittive hanno però avuto un relativo risultato: diverse società hanno infatti trasferito i loro allevamenti industriali dal Nord America e dall’Europa in paesi dell’America Latina, Asia e Africa, dove tali regolamenti non sono in vigore. Possono in tal modo produrre carne in gran parte destinata all’esportazione.
Gli allevamenti industriali si sono quindi ulteriormente diffusi: oggi essi producono, su scala mondiale, circa il 74% del pollame, il 53% dei suini e il 43% dei manzi destinati all’alimentazione umana.
Nei paesi in via di sviluppo, gli allevamenti industriali si sono diffusi soprattutto in Brasile, Messico, Cina, Thailandia, Vietnam e Filippine. Le esportazioni di carne di questi paesi sono di conseguenza fortemente aumentate. Sono però cresciuti allo stesso tempo anche i problemi ambientali e sanitari.
In Brasile, da cui l’Europa importa il 75% della carne di manzo lavorata, le esportazioni sono salite a un valore annuo di 1,5 miliardi di dollari. Ma per far posto ai grandi allevamenti, concentrati per l’80% nella regione amazzonica, si stanno deforestando aree sempre più vaste: oltre 25000 km2 in un anno. Si aggiungono a questi oltre 16000 km2 annui deforestati per coltivarvi soia per i grandi allevamenti di pollame e suini, destinati anch’essi per la maggior parte all’esportazione.
Gli allevamenti industriali producono enormi quantità di escrementi che, essendo gli allevamenti lontani dalle terre coltivate, sono utilizzati solo in parte come concime organico. Su scala globale ne viene utilizzata a tale scopo solo la metà. Il resto finisce in gran parte con l’inquinare l’aria, l’acqua e il suolo.
A causa di ciò gli allevamenti di suini e pollame concentrati nelle zone costiere della Cina, del Vietnam e della Thailandia stanno divenendo la fonte principale di inquinamento da nutrienti del Mare Cinese meridionale: si stima che la produzione suina sia la fonte di circa il 42% dell’azoto e del 90% del fosforo che fluisce nel Mare Cinese Meridionale.
Questi allevamenti asiatici, costruiti nei pressi di popolose città, creano allo stesso tempo le condizioni più adatte al diffondersi di malattie infettive come l’influenza aviaria.
L’alternativa ai grandi allevamenti industriali, dannosi sia per l’ambiente che per la salute, è costituita dallo sviluppo della produzione zootecnica tradizionale su piccola scala, con la quale si alleva bestiame e pollame e, al tempo stesso, si coltiva la terra riciclando i rifiuti degli allevamenti in fertilizzanti naturali.
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Nella pagina della Fao http://www.fao.org/newsroom/it/index.html si trovano aggiornate notizie (in italiano) sull’influenza aviaria e le sue cause.
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Manlio
Dinucci - Il sistema globale seconda edizione - Geografia del sistema globale:
http://www.zanichelli.it/materiali/dinucci
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