Manlio Dinucci
Zanichelli Editore |
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Il maremoto nell'Oceano Indiano (gennaio 2005) modulo G: Impatto ambientale (Il sistema globale seconda edizione)
Il 26 dicembre 2004, alle 07:58:53 ora locale (00:58:53 tempo medio di Greenwich), è avvenuto un terremoto con epicentro a 10 km di profondità all'interno della crosta terrestre al largo dell'isola indonesiana di Sumatra.
E' stato provocato dalla pressione della placca indiana sulla piccola placca birmana, spinta verso nord contro quella euroasiatica.
Il terremoto, il quarto più forte verificatosi nel mondo dal 1900, ha raggiunto il nono grado della scala Richter, il massimo.
In seguito al sisma, la placca birmana si è spostata di 20 metri verso sud-ovest e il fondo marino di circa 2 metri verso l'alto.
Si è spostata di conseguenza tutta la massa d'acqua sovrastante, creando una serie di onde di maremoto che hanno cominciato a propagarsi nell'Oceano Indiano.
In mare aperto, dove le acque sono profonde, le onde si sono propagate a una velocità di 700-800 km/h.
Esse non sono state percepite da chi navigava nell'oceano perchè, in acque profonde, le creste delle onde di maremoto sono molto distanti l'una dall'altra (oltre 100 km) e sono alte meno di un metro.
Ma, avvicinandosi alle coste dove le acque sono poco profonde, la velocità delle onde di maremoto è scesa a 50-60 km/h.
Mentre le prime onde rallentavano la loro corsa, le altre, continuando a propagarsi ad alta velocità, si sono avvicinate alle prime.
Contemporaneamente, essendo l'energia delle onde compressa in un volume d'acqua minore, la loro altezza è aumentata fino a oltre 9 metri.
Si sono così formate enormi onde di maremoto: gli tsunami (dalle parole giapponesi "onde del porto"). ![]()
Esse si sono abbattute in successione sulle coste dell'Indonesia (soprattutto Sumatra), della Thailandia, della Malaysia, di Myanmar, del Bangladesh, dello Sri Lanka, dell'India, delle Maldive, della Somalia, della Tanzania, del Kenya.
Gli effetti sono stati disastrosi: le onde di maremoto sono penetrate per centinaia di metri sulla terraferma, provocando distruzione e morte.
Secondo un bilancio approssimativo, il numero di morti ha superato i 150 mila: oltre 100 mila in Indonesia, 30 mila nello Sri Lanka, 10 mila in India, 5 mila in Thailandia. Negli altri paesi, il maggior numero di vittime, circa 300, si è registrato in Somalia. Le vittime, tra i turisti stranieri, ammontano ad alcune migliaia.
Almeno 5 milioni di persone sono rimaste senza casa ed esposte, a causa delle disastrose condizioni igieniche, a malattie infettive e parassitarie. Quelle rimaste nelle peggiori condizioni sono le popolazioni povere che, quando gli tsunami hanno spazzato via interi villaggi e quartieri, hanno perso anche quel poco che avevano.
L'alto numero di vittime è dovuto al fatto che gli abitanti, e con loro i turisti stranieri, sono stati colti di sorpresa dalle onde di maremoto.
Molti, vedendo il mare ritirarsi (fenomeno che spesso precede gli tsunami), sono andati incuriositi sulla riva e non hanno fatto in tempo a fuggire quando sono arrivate le onde.
Il numero di morti avrebbe potuto essere molto minore se nell'Oceano Indiano vi fosse stato un sistema di monitoraggio degli tsunami, come quello esistente nel Pacifico.
Tale sistema - costituito da una agenzia governativa statunitense (Pacific Tsunami Warning Center) con sede nelle Hawaii - si basa su una serie di speciali boe che, ancorate in mare aperto, registrano il passaggio delle onde di maremoto trasmettendo automaticamente i dati via satellite al centro, che può così lanciare l'allarme.
Se nell'Oceano Indiano vi fosse stato un sistema analogo, una volta lanciato l'allarme via radio e televisione, gli abitanti (e con loro i turisti stranieri) avrebbero avuto nella maggior parte dei casi tutto il tempo per allontanarsi dalla costa.
Mentre nelle zone più vicine all'epicentro, le onde di maremoto sono arrivate poche decine di minuti dopo il terremoto, in quelle più distanti sono arrivate ore dopo.
Il numero di vittime avrebbe potuto essere ridotto anche in Indonesia se fosse stato precedentemente attuato un programma di protezione civile, avvertendo gli abitanti di allontanarsi immediatamente dalla costa in caso di terremoto.
Significativo è il caso di una bambina inglese di dieci anni, che il 26 dicembre si trovava in vacanza con i genitori nell'isola thailandese di Phuket. Vedendo il mare ritirarsi, si è ricordata di una lezione di geografia nella quale le era stato spiegato che tale fenomeno precede spesso l'arrivo degli tsunami e che, dal momento in cui il mare si ritira, passano circa dieci minuti prima che le onde si abbattano sulla costa. Ha quindi avvertito i genitori, i quali, credendole, hanno lanciato l'allarme permettendo a oltre cento persone di mettersi in salvo.
Il numero di vittime avrebbe potuto comunque essere ridotto se le competenti autorità si fossero comportate in modo più responsabile.
Era infatti noto, sin dai primi minuti, che un violentissimo terremoto si era verificato sul fondo marino al largo di Sumatra e che c'era dunque la possibilità di un maremoto.
Nessuno invece si è preso la responsabilità di lanciare un allarme via radio e televisione, neppure quando, nei paesi non ancora raggiunti dalle onde di maremoto, sono giunte le prime drammatiche notizie dalle zone già colpite.
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Nel sito dello International Tsunami International Center, http://www.prh.noaa.gov/itic/, si trovano le informazioni fondamentali sugli tsunami.
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Manlio
Dinucci - Il sistema globale seconda edizione - Geografia del sistema globale:
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