Manlio Dinucci
Il sistema globale seconda edizione - Geografia del sistema globale
Zanichelli Editore

  Le materie prime dell’Africa subsahariana (marzo 2006)

modulo B: Dinamiche economiche (Il sistema globale seconda edizione)
modulo A: Dinamiche geoeconomiche (Geografia del sistema globale)

L’Africa subsahariana, con i suoi 47 paesi e circa 700 milioni di abitanti, costituisce la regione con il più alto tasso di povertà: qui si trovano 34 dei 48 paesi col più basso grado di sviluppo economico.

Circa il 50% della popolazione totale vive in povertà estrema (con un reddito procapite inferiore a 1 dollaro al giorno, secondo la stima della Banca mondiale). In seguito all’incremento demografico, il numero di persone che si trovano in tale condizione è aumentato da 241 milioni nel 1990 a 323 milioni nel 2000.

Si aggiunge a questa un’altra parte della popolazione, circa il 26,5%, che si trova in forte indigenza (con un reddito procapite compreso tra meno di 2 dollari e 1 dollaro al giorno). Ciò significa che complessivamente il 76,5% della popolazione dell’Africa subsahariana vive in povertà. Il numero di persone che si trovano in tale condizione è aumentato da 386 milioni nel 1990 a 504 milioni nel 2000.

La grande maggioranza delle persone in povertà vive nelle zone rurali, dove si concentrano oltre i due terzi della popolazione economicamente attiva.

Qui i piccoli contadini, costretti a lavorare le terre peggiori senza mezzi adeguati, non riescono spesso a produrre neppure il cibo di cui hanno bisogno. E, quando producono colture commerciali per l’esportazione (caffè, cacao e altre), non riescono spesso a ricavarne un reddito sufficiente.

I prezzi delle materie prime agricole esportate dall’Africa subsahariana hanno subìto un forte calo sui mercati internazionale, sia perché tali mercati sono controllati da pochi gruppi multinazionali, sia perché i paesi produttori si fanno concorrenza l’un con l’altro nell’esportazione delle materie prime (per la maggior parte non lavorate).

Ad esempio, il prezzo internazionale del caffè si è più che dimezzato dagli anni ’80 ad oggi, passando da circa 120 a 50 centesimi di dollaro alla libbra, il livello più basso in termini reali degli ultimi cento anni.

Emblematiche sono le conseguenze economiche e sociali che il crollo del prezzo internazionale ha provocato in Etiopia, principale esportatore africano di caffè: nel periodo 1985-2003, nonostante che il volume delle sue esportazioni sia raddoppiato, il reddito che ne ha ricavato è sceso da 494 a 178 milioni di dollari annui.

Dalla produzione ed esportazione del caffè dipende circa un quarto degli oltre 70 milioni di abitanti dell’Etiopia, tra cui un milione e 200 mila famiglie contadine.

Sono state queste famiglie di piccoli produttori agricoli ad essere maggiormente colpite dal crollo del prezzo internazionale del caffè: molte sono state ridotte in povertà estrema, tanto da non avere abbastanza da mangiare né denaro per mandare i figli a scuola o acquistare i medicinali di base.

Non potendo più vivere del lavoro della terra, molte famiglie contadine sono andate a ingrossare la massa dei poveri nelle città. Ciò ha provocato gravi effetti non solo sociali ma ambientali: l’abbandono dei campi ha infatti accelerato il processo di desertificazione.

Neppure l’accresciuta esportazione di altre materie prime, come il petrolio, è servita a ridurre la povertà nell’Africa subsahariana.

Lo dimostra il caso del Ciad, paese dell’Africa centro-settentrionale ricco di petrolio. Esso ne esporta crescenti quantità soprattutto da quando è stato aperto nel 2003 un oleodotto, lungo oltre 1000 km, che collega i suoi circa 300 pozzi petroliferi alla costa atlantica del Camerun.

La produzione ed esportazione del petrolio del Ciad, per l’ammontare previsto di un miliardo di barili nel prossimi 25 anni, sono controllate da un consorzio diretto dalla maggiore compagnia petrolifera del mondo, la statunitense ExxonMobil, del quale fanno parte anche la statunitense Chevron e la malese Petronas Malaysia.

I governi del Ciad e del Camerun posseggono complessivamente solo il 3% delle azioni (in confronto al 40% della ExxonMobil) e, per acquistare tale quota, hanno dovuto contrarre un debito con la Banca mondiale.

La crescente esportazione di petrolio, mentre procura grossi profitti alle compagnie petrolifere multinazionali e all’élite locale, non ha portato finora alcun sostanziale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione.

La maggioranza della popolazione del Ciad (l’85%) basa la propria vita sulla piccola agricoltura di sussistenza. Circa i due terzi sono in condizioni di povertà estrema. La durata media della vita è di circa 50 anni.

Stessa situazione negli altri paesi subsahariani esportatori di petrolio: Nigeria, Angola, Gabon, Congo (Repubblica), Camerun.

La Nigeria (paese dell’Africa centro-occidentale) è il maggiore produttore petrolifero dell’Africa, con oltre 2,5 milioni di barili giornalieri.

Il 95% del greggio, destinato per la maggior parte ai mercati statunitense ed europeo, è prodotto in Nigeria da joint venture, formate dalle maggiori compagnie petrolifere multinazionali con società locali. La joint venture diretta dalla statunitense Shell ne produce circa il 50%.

Un’altra compagnia statunitense, la ExxonMobil, ha in programma di aumentare la propria produzione petrolifera in Nigeria dagli odierni 570 mila barili giornalieri a 1,2 milioni entro il 2011.

Nonostante che il valore delle esportazioni petrolifere nigeriane ammonti a 27 miliardi di dollari annui, il paese resta fortemente indebitato con l’estero. Il suo debito estero supera i 35 miliardi di dollari, anche se dalla fine degli anni ’60 ad oggi la Nigeria ha pagato oltre 40 miliardi di dollari sotto forma di interessi e ammortamenti sul debito.

Come documenta la stessa Banca mondiale in un rapporto dell’ottobre 2004, l’80% di ciò che la Nigeria ricava dalla produzione ed esportazione di petrolio va a vantaggio dell’1% della popolazione.

La grande maggioranza degli oltre 140 milioni di abitanti della Nigeria non solo resta in povertà ma, soprattutto nel delta del Niger, ha visto peggiorare le proprie condizioni di vita anche a causa dei danni ambientali provocati dallo sfruttamento petrolifero.

A causa di tali meccanismi, l’Africa subsahariana, nonostante abbia aumentato l’esportazione di materie prime (comprese quelle come il petrolio più quotate sui mercati internazionali), ne ha ricavato un reddito proporzionalmente sempre più basso: si calcola che questo calo di valore ammonti a circa 70 miliardi di dollari annui, cinque volte l’ammontare dell’aiuto internazionale allo sviluppo fornito all’Africa subsahariana.

Si aggiunge a questo il fatto che, all’interno dei singoli paesi, la distribuzione del reddito ricavato dalle esportazioni di materie prime è caratterizzata da una distribuzione estremamente ineguale, che avvantaggia una esigua minoranza ed esclude la grande maggioranza.

Per ridurre la povertà nell’Africa subsahariana non servono dunque ulteriori investimenti internazionali per accrescere l’esportazione di materie prime. Occorrono investimenti molto maggiori, sia interni che internazionali, diretti a migliorare le condizioni di vita e di lavoro della maggioranza della popolazione soprattutto nelle zone rurali.

 

 

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Trovare la parte relativa alla crisi del caffè e, in specifico, all’impatto di tale crisi sulla povertà nei paesi produttori.
Quale impatto ha avuto la crisi del caffè, oltre che in Etiopia, in Camerun, Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio e Ghana?

 
 


 

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