Cassazione civile , sez. I, 16 aprile 2008, n. 10071

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE PRIMA CIVILE 
                       
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
                           
Dott. CARNEVALE  Corrado                          -  Presidente   -  

Dott. FIORETTI   Francesco Maria                  -  Consigliere  - 

Dott. RORDORF    Renato                           -  Consigliere  - 
Dott. GILARDI    Gianfranco                       -  Consigliere  -  
Dott. RAGONESI   Vittorio                    -  rel. Consigliere  -  
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da:                                             
HAVANA CLUB HOLDING S.A., HAVANA CLUB INTERNATIONAL S.A., DISTILLERIE
F.LLI   RAMAZZOTTI   S.P.A.,  in  persona   dei   rispettivi   legali 
rappresentanti  pro tempore, elettivamente domiciliate  in  ROMA  VIA 
ENNIO  QUIRINO  VISCONTI  90,  presso l'avvocato  FRANCESCO  SAMPERI, 
rappresentate e difese dagli avvocati SENA GIUSEPPE, PAOLA  TARCHINI, 
GIANCARLO  DEL  CORNO,  giusta procura speciale rispettivamente,  per 
Notaio  ALPHONSE  LENTZ  di  REMICH  (LUXEMBOURG)  n.  24058A103  del 
04.12.03, Notaio CARMEN ALICIA PEREZ DIAZ dell'AMBASCIATA D'ITALIA  - 
2008  L'AVANA  del 01.12.03, Notaio dotto GIUSEPPE CALAFIORI  630  di 
MILANO - Rep. n. 46.254 del 16.09.03;                                
                                                       - ricorrenti - 
contro                                                               
DISTILLERIE  BAGNOLI DI BAGNOLI GIOVANNI & C. S.N.C., in persona  
del                                                                  
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in  ROMA 
VIA  G.  FERRARI  35,  presso  l'avvocato  VINCENTI  MARCO,  che   lo 
rappresenta  e  difende  unitamente all'avvocato  GIANFRANCO  GOLLIN, 
giusta procura a margine del controricorso;                          
                                                 - controricorrente - 
contro                                                               
ENOTECA CENTRO BERE S.N.C. DI CALABRO' & C.;                     
                                                         - intimata - 
avverso  la  sentenza  n. 1656/02 della Corte  d'Appello  di  TORINO, 
depositata il 27/11/02;                                       
udita  la  relazione  della causa svolta nella Pubblica  udienza  del 
14/03/2008 dal Consigliere Dott. Vittorio RAGONESI;                  
uditi, per le Società ricorrenti, gli Avvocati GIUSEPPE SENA e PAOLA 
TARCHINI che hanno chiesto l'accoglimento del ricorso;               
udito,  per  la resistente, l'Avvocato MARCO VINCENTI che ha  chiesto 
l'inammissibilità o il rigetto del ricorso;                     
udito  il  P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.           
                 

 

Fatto

Con citazione notificata il 19-21/7/99, le società Havana Club Holding s.a., Havana Club International s.a. e Distillerie Ramazzotti s.p.a. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Torino la s.n.c. Distillerie Bagnoli e la s.n.c. Enoteca Centro Bere.
Le attrici, premesso di essere rispettivamente: titolare del marchio "Havana Club" (registrato in Italia nel 1966 e successivamente rinnovato) che contraddistingueva uno dei più apprezzati e diffusi rum cubani, licenziataria di tale marchio, distributrice in Italia del prodotto, riferivano che la convenuta s.n.c. Bagnoli produceva da qualche tempo un rum con il marchio "Havana Carribean rum", di cui un certo quantitativo era stato commercializzato dalla Enoteca Centro Bere, nel quale marchio l'espressione "Havana" era riprodotta con preminenza rispetto alle altre parole.
Secondo esse attrici tale marchio costituiva contraffazione di quello "Havana Club" (da ritenersi a suo tempo validamente registrato sotto il vigore del R.D. n. 929 del 1942, art. 20, stante la notorietà di esso per uso pluriennale con acquisita capacità distintiva); il comportamento delle convenute costituiva inoltre, a loro giudizio, concorrenza sleale per confusione ai sensi dell'art. 2958 c.c., stante anche la forma delle bottiglie e delle etichette usate, nonchè concorrenza sleale ai sensi del D.P.R. 19 marzo 1996, n. 198, art. 31, per uso di indicazioni geografiche (Havana) sulla provenienza del prodotto non corrispondenti alla realtà.
Chiedevano pertanto che, previo accertamento della contraffazione del marchio e degli atti di concorrenza sleale di cui sopra, fosse pronunciata condanna dei convenuti alla soppressione di esso, con imposizione di penale per ogni eventuale ulteriore uso e pubblicazione della sentenza, nonchè condanna al risarcimento dei danni.
Si costituivano in giudizio le parti convenute eccependo preliminarmente incompetenza territoriale del Tribunale adito e, nel merito, sostenendo l'invalidità del marchio geografico delle controparti, o quanto meno il carattere debole di esso e la sufficiente differenziazione del marchio concorrente, l'inesistenza di idoneità confusoria del proprio prodotto stanti gli elementi di differenziazione riscontrabili, nonchè l'inesistenza di indicazioni decettive sulla origine del liquore in oggetto, indicato come proveniente da Cuba e da altre isole dei Carabi ("Carribean"), circostanza questa asseritamente rispondente alla realtà. La sola s.n.c. Enoteca Centro Bere proponeva in subordine domanda di manleva nei confronti della s.n.c. Distillerie Bagnoli.
Il Tribunale di Torino, con sentenza del 17/7/01, respingeva l'eccezione di incompetenza territoriale, rilevando essere in Torino il luogo di non occasionale commercializzazione del prodotto da parte della Enoteca Centro Bere. Nel merito, il giudice di primo grado rigettava integralmente le domande delle società attrici.
In particolare, il Tribunale, pur ritenendo incidentalmente la validità del loro marchio (pur in presenza della dizione geografica "Havana" in quanto marchio complesso - comprensivo anche della dizione "Club", qualificava, peraltro, lo stesso come marchio debole ed escludeva altresì che nell'anno 1997 (in cui era stato registrato il concorrente marchio "Havana Carribean rum") il primo avesse acquisito in Italia una rilevante capacità distintiva si da integrare il c.d. uso secondario.
Il Tribunale rilevava poi come, stante la natura debole del marchio in questione, quello usato dalle convenute fosse sufficientemente differenziato; escludeva inoltre una servile imitazione del prodotto e parimenti negava la ricorrenza di decettive indicazioni sulla provenienza geografica di esso ritenendo provato che il rum commercializzato dalle convenute fosse una miscela di rum cubano e di rum di altre isole delle Antille (costituenti nel loro complesso la regione dei Caraibi), così come fedelmente attestava la dizione "Havana Carribean rum" nonchè la rappresentazione geografica dell'arcipelago sita sull'etichetta retrostante delle bottiglie.
La decisione veniva impugnata dalle parti soccombenti che ne chiedevano la integrale riforma.
Le appellate costituitesi in giudizio insistevano invece per la integrale conferma della decisione del Tribunale.
La Corte d'Appello di Tonino, con l'impugnata sentenza, confermava la decisione di primo grado sulla base sostanzialmente delle stesse argomentazioni.
Contro tale decisione le società Havana Club Holding s.a., Havana Club International s.a. e Distillerie F.lli Ramazzotti s.p.a.
propongono ricorso per cassazione sulla base di sette motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la Distillerie Bagnoli di Bagnoli Giovanni & C snc.

Diritto

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano, sotto il profilo del vizio motivazionale, che la sentenza impugnata abbia erroneamente ritenuto che il marchio Havana Club fosse un marchio d'insieme, anzichè un marchio complesso.
Con il secondo motivo si dolgono che la sentenza d'appello non abbia riconosciuto il carattere distintivo della parola Havana anche perchè l'art. 20 della Legge Marchi, vigente all'epoca della registrazione del marchio (1966-67), consentiva la registrazione dei nomi geografici per cui, una volta avvenuta questa, il marchio era perfettamente valido e lo stesso non poteva considerarsi debole.
Con il terzo motivo lamentano che la sentenza impugnata abbia escluso il carattere forte del marchio a seguito di acquisizione del "secondary meaning".
Con il quarto motivo censurano il mancato riconoscimento della notorietà in Italia del marchio in questione ai sensi dell'art. 6 bis della convenzione di Parigi in ragione della notorietà acquisita all'estero.
Con il quinto motivo assumono che, trattandosi di marchio complesso, la parola "Havana" era tutelabile di per a prescindere dall'aggiunta "Club".
Con il sesto motivo deducono che erroneamente è stata esclusa la sussistenza di concorrenza sleale, dovendosi ritenere che l'indicazione del nome Havana nel marchio della Distillerie Bagnoli costituisse una falsa indicazione dell'origine del prodotto, non essendo il rum distribuito dalla predetta società interamente proveniente da Cuba.
Con il settimo motivo lamentano la ritenuta inammissibilità del documento prodotto all'udienza del 25.6.02.
Il primo, il secondo ed il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente ponendo in parte una medesima questione relativa al marchio complesso.
Appare anzitutto inammissibile la censura contenuta nel primo motivo che si riferisce alla motivazione in base alla quale la Corte d'appello ha ritenuto non pertinenti per carenza di interesse i motivi di appello con cui si disquisiva sulla legittimità e tutelabilità della denominazione Havana, dal momento che il Tribunale aveva comunque ritenuto incidentalmente la validità di detto marchio.
In relazione a detta motivazione di inammissibilità dei motivi per carenza di interesse, nessuna censura viene proposta dai ricorrenti che pongono, invece, una diversa questione di sussistenza di un marchio complesso non rilevante in ordine alla motivazione di cui sopra.
Quanto al secondo ed al quinto motivo, gli stessi si appalesano infondati.
I ricorrenti si dolgono che la Corte d'appello non abbia accertato la piena validità del marchio complesso e non abbia riconosciuto autonoma rilevanza distintiva all'espressione "Havana" separatamente dalla espressione "Club", effettuando una erronea interpretazione dell'art. 20 L.M., vigente all'epoca del rilascio del marchio in Italia.
A proposito del marchio complesso, premesso che è pacifico, risultando dalla parte narrativa della sentenza impugnata, che il giudice di primo grado aveva riconosciuto la natura complessa del marchio "Havana Club" e che detta affermazione non risulta contraddetta ed anzi viene fatta propria dalla sentenza impugnata, va rammentato che questa Corte ha ripetutamente affermato che il tipo di marchio in esame è riconoscibile nel segno risultante da una composizione di più elementi ciascuno dotato di capacità caratterizzante, il cui esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno di essi, la cui forza distintiva è tuttavia affidata ad uno di essi costituente il c.d. cuore, protetto per la sua originalità. (Cass. 7488/04; Cass. 12860/05).
Il marchio complesso si distingue, come è noto, da quello d'insieme in cui si ha la mancanza di un elemento caratterizzante (il c.d. cuore), essendo i vari elementi tutti singolarmente mancanti di distintività, ed essendo soltanto la combinazione cui tali elementi danno vita, ovvero appunto il loro insieme, che può avere, per come viene percepito dal mercato, un valore distintivo più o meno accentuato. In altri termini, mentre nel caso di marchio complesso ogni singolo segno che lo compone è tutelabile autonomamente come marchio, nel caso del marchio d'insieme i singoli segni che compongono il marchio non sono autonomamente tutelabili come privative ma lo è soltanto il loro insieme.
A questi principi si è attenuta la Corte d'appello che, ritenuta la natura complessa del marchio, ha dato per acquisito che l'espressione Havana costituisse un marchio, così come l'espressione Club, ma, al tempo 'stesso, ha ritenuto che sia il marchio Havana che quello Club fossero deboli e che anche il marchio complesso Havana Club lo fosse di conseguenza.
Tale valutazione appare del tutto corretta.
Va infatti chiarito che il marchio complesso non necessariamente è di per un marchio forte, ma lo è solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione riveste un particolare carattere distintivo in ragione della originalità e della fantasia nell'accostamento dei segni.
Nel caso invece in cui i singoli segni siano dotati di capacità distintiva ma quest'ultima (ovvero la loro combinazione) sia priva di una particolare forza individualizzante, il marchio, ancorchè complesso, non può che essere definito debole.
Tale seconda fattispecie si differenzia dal marchio d'insieme in ragione del fatto che i segni costitutivi di quest'ultimo sono privi di autonoma capacità distintiva essendolo solo la loro combinazione.
La Corte d'appello ha ulteriormente motivato sul punto rilevando che il nome Havana, indicando il luogo di provenienza del rhum, non aveva un particolare carattere di fantasia e, quindi, distintivo, e che lo stesso doveva dirsi per il nome Club in quanto facente riferimento ad uri luogo di abituale consumo del prodotto, di tal che la stessa combinazione dei due segni non produceva un marchio forte.
Tale motivazione è del tutto conforme ai principi stabiliti da questa Corte che ha in più di una occasione affermato che il marchio costituito da un nome geografico può divenire forte se il toponimo adoperato costituisce di per una scelta originale, oppure se corredato da accorgimenti originali o di fantasia, oppure abbia raggiunto, per notorietà, una rilevante forza distintiva, mentre, allorchè tali circostanze non ricorrano, e il toponimo sia meramente indicativo della regione dove il prodotto è realizzato, il marchio non assume una specifica forza distintiva, e, pertanto, deve considerarsi, ai fini della tutela, debole. (Cass 12506/92).
In altri termini, la natura forte di un marchio costituito da un nome geografico sussiste solo se il detto nome non sia indicativo della provenienza del prodotto e se l'idea dell'imprenditore di presentare il prodotto e la località associati all'attenzione del pubblico rivesta carattere di originalità; tale associazione, infatti, non può che appartenere al patrimonio ideale di chi per primo la compie.
(Cass. 8292/94).
Per le ragioni appena evidenziate del tutto privo di fondamento si rivela l'ulteriore argomento secondo cui, essendo "Havana" un marchio geografico registrato, lo stesso per questo solo fatto non poteva considerarsi un marchio debole, la mera registrazione del marchio non comporta infatti alcuna conseguenza circa la sua natura debole o forte.
Anche il terzo motivo si appalesa infondato.
La Corte d'appello ha svolto infatti un approfondito accertamento circa la sussistenza del "secondary meaning", cioè l'acquisizione del carattere forte del marchio per effetto del venire in essere di una spiccata capacità distintiva conseguente all'uso, ed ha escluso tale ipotesi con ampia motivazione del tutto corretta sotto il profilo giuridico e dell'argomentare logico.
In particolare, ha ritenuto che, l'acquisito carattere forte del marchio doveva valutarsi in riferimento al momento in cui è stato registrato il marchio Havana Carribean rhum (novembre-dic 1997) e che nessuna prova adeguata era stata fornita che a tale data il marchio Havana Club avesse acquisito una particolare forza distintiva poichè la gran parte della documentazione riversata in atti si riferiva a iniziative promozionali e rilevazioni di mercato successive al dicembre 1997, mentre dalla documentazione anteriore si evidenziava soltanto la presenza del prodotto sul mercato italiano ma non la particolare capacità distintiva del marchio.
Tale ultima affermazione è altresì basata su un argomento a contrario desunto dal fatto che solo a partire dal 1998 si è evidenziato un forte incremento delle vendite delle bottiglie di rhum delle società ricorrenti.
Le censure che queste ultime muovono a tale motivazione tendono in realtà a proporre una diversa interpretazione delle risultanze processuali, investendo in tal modo inammissibilmente il merito della decisione.
Priva di fondamento è, inoltre, la censura secondo cui, a seguito dell'abrogazione dell'art. 20 L.M. da parte del D.Lgs. n. 480 del 1992 e l'introduzione del nuovo articolo 18 L.M., che esclude la possibilità di registrazione come marchio dei nomi descrittivi della provenienza geografica del prodotto, non poteva parlarsi di legittima acquisizione del marchio rilasciato nel 1997 alla Bagnoli.
E' sufficiente rilevare che nessuna azione di nullità del marchio Havana Carribean rhum è stata proposta dai ricorrenti onde non può mettersi diversamente in discussione l'esistenza e la validità del marchio in questione.
Anche il quarto motivo di ricorso si rivela non meritevole di accoglimento.
I ricorrenti lamentano la violazione dell'art. 6 bis della convenzione di Parigi perchè il "secondary meaning" avrebbe dovuto essere comunque riconosciuto per effetto della notorietà acquisita all'estero dal marchio Havana Club.
Occorre a tale proposito rammentare che l'articolo invocato prevede che uno Stato membro della Convenzione possa prevedere il rifiuto o l'invalidazione della registrazione di un marchio nonchè impedire l'uso di un marchio che costituisca riproduzione, imitazione o traduzione di un marchio che lo Stato competente stima essere ivi notoriamente conosciuto come già appartenente ad una persona ammessa a beneficiare della Convenzione ed usato per prodotti identici o similari.
Ciò comporta, come è noto, che un marchio straniero che rivesta notorietà al livello internazionale possa essere suscettibile di protezione in uno Stato membro della convenzione di Parigi anche se colà non registrato o non usato.
Il presupposto necessario, tuttavia, perchè possa essere accordata la protezione dell'art. 6 bis della convenzione di Parigi, così come lo stesso risulta trasposto nell'art. 17 della Legge Marchi, comma 1, lett. h), successivo alle modifiche operate dal D.Lgs. n. 480 del 1992, è che la notorietà internazionale si riverberi anche nel nostro paese o in una parte significativa di esso. Ciò si desume con tutta evidenza dal testo della Convenzione in esame che prevede che presupposto perchè il marchio che costituisce riproduzione, imitazione etc. di un marchio internazionalmente notorio è che lo Stato ritenga che quest'ultimo sia "ivi già notoriamente conosciuto" come marchio appartenente ad una persona ammessa al beneficio della Convenzione; il che sta inequivocabilmente ad indicare che il marchio internazionalmente notorio lo debba essere anche nel territorio del paese ove si invoca la protezione.
E' appena il caso di aggiungere, a titolo di riprova, che l'art. 16 comma 2 dell'accordo Trips, che richiama "mutatis mutandis" l'applicazione dell'art. 6 bis della Convenzione di Parigi, specifica a tal fine che "nel determinare la rinomanza di un marchio, gli Stati membri tengono conto della notorietà del marchio presso il pubblico interessato, ivi compresa la notorietà nello Stato membro in questione conseguente alla promozione del marchio". Anche secondo tale norma, quindi, è necessario, per potersi applicare l'art. 6 bis conv. Parigi, che la notorietà del :marchio acquisita a livello internazionale si sia diffusa anche al livello nazionale nello Stato interessato.
Ciò è del resto confermato per il nostro Paese dall'art. 17 della Legge Marchi, comma 1, lett. h) successiva alle modifiche del D.Lgs. n. 480 del 1992 (applicabile ratione temporis al caso di specie) che specifica che sono privi di novità quei marchi identici o simili ad uno già notoriamente conosciuto ai sensi dell'art. 6 bis della Convenzione di Parigi purchè ricorrano le condizioni di cui al precedente punto g).
Tale ultima norma esclude - per quel che qui interessa - la novità di un marchio che sia identico o simile ad altro anteriore che goda nello Stato di rinomanza. Tale ultima condizione deve quindi necessariamente aggiungersi a quella della notorietà internazionale del marchio perchè possa invocarsi la protezione ai sensi dell'art. 6 bis della Convenzione di Parigi.
Chiariti questi aspetti, va osservato che l'impugnata sentenza ha rilevato come i ricorrenti abbiano condiviso e prestato acquiescenza al fatto che l'accertamento del "secondary meaning" dovesse farsi in riferimento alla diffusione, e notorietà in Italia del marchio, invocando, tuttavia, come elemento presuntivo, la notorietà del prodotto al livello mondiale. Su tale punto ha, peraltro rilevato che l'invocata presunzione non era univoca poichè i sintomi di successo del prodotto deducibili dal notevole incremento delle vendite iniziavano a decorrere dal 1998 per cui in precedenza doveva desumersi che la scarsa diffusione dello stesso fosse necessariamente indice di scarsa notorietà.
Tale motivazione appare del tutto coerente sotto il piano logico argomentativo e corretta in punto di diritto alla luce dei principi dianzi esposti. La stessa risulta solo genericamente censurata con riferimento ad una mancata applicazione dell'art. 6 bis della Convenzione di Parigi, ma senza alcuna contestazione circa l'avvenuta acquiescenza al fatto che la notorietà internazionale dovesse trovare comunque un riscontro in una acquisita notorietà a livello nazionale e senza confutazione delle argomentazioni in punto di fatto in base alle quali il giudice di seconde cure ha escluso la sussistenza di quest'ultima notorietà alla data del dicembre 1997.
Anche il sesto motivo appare infondato.
La Corte d'appello ha escluso l'esistenza di una ipotesi di concorrenza sleale per violazione del D.P.R. n. 198 del 1996, art. 31, per ingannevoli indicazioni sulla provenienza geografica del prodotto, rilevando che, in base alla documentazione prodotta in atti, il rhum utilizzato dalla Bagnoli era di provenienza caraibica ed un quota anche di origine cubana. Sulla base di questa premessa, ha osservato che la denominazione Havana Caribean rum era indicativa di una provenienza del liquore dall'intera area caraibica e che l'indicazione Havana non aveva la funzione di indicare la provenienza del prodotto ma semplicemente costituiva elemento individuatore di una area geografica comprendente l'insieme dei Caraibi. Tale circostanza trova conferma nella fascetta apposta sulla parte inferiore dell'etichetta recante l'indicazione "El originale ron del Caribe" che fornisce la chiara indicazione dell'origine del prodotto dall'intera area caraibica, ulteriormente corroborata dalla cartina geografica apposta sul lato posteriore delle bottiglie che raffigura l'intero arcipelago.
In base a ciò ha ritenuto infondata la tesi che potesse considerarsi illecito lo smerciare un prodotto parzialmente anche di altra provenienza proprio perchè le indicazioni geografiche fornite comprendevano l'intera area geografica di cui Cuba era parte.
Le censure che le società ricorrenti muove a tale argomentazione, incentrate sulla considerazione che in realtà il nome Havana, data la sua rinomanza, era particolarmente idoneo ad attrarre l'attenzione del pubblico determinando una falsa impressione circa l'origine del prodotto e che, comunque, non può utilizzarsi una determinata indicazione geografica che contenga solo parzialmente il prodotto originale, prospettano in realtà una diversa interpretazione degli elementi di fatto acquisiti in giudizio e, in tal modo, investono il merito della decisione rendendosi non scrutinabili in questa sede di legittimità.
Anche il settimo motivo di ricorso è infondato.
La Corte d'appello non ha infatti ammesso alcune prove documentali prodotte all'udienza di precisazione delle conclusioni in quanto tardive, dovendo le stesse essere prodotte congiuntamente alla costituzione in giudizio e perchè comunque facenti riferimento a fatti diversi da quelli originariamente azionati ed integranti una inammissibile domanda nuova.
I ricorrenti assumono che nel caso di specie la Corte d'appello avrebbe dovuto concedere la rimessione in termini di cui all'artt. 184 bis e 294 c.p.c..
Tale censura è priva di fondamento.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti definitivamente chiarito che, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l'art. 345 cod. proc. civ., comma 3, va interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova nuovi - la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza - e, quindi, anche delle produzioni documentali, indicando nello stesso tempo le eccezioni a tale regola, con lo stabilire i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame Tali requisiti consistono nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione, purchè peraltro i documenti siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo. (Cass. Sez. un. 8203/05).
Da ciò discende, tra l'altro, che nei giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1995, non trova più applicazione il principio secondo cui l'inosservanza del termine per la produzione di documenti deve ritenersi sanata qualora la controparte non abbia sollevato la relativa eccezione in sede di discussione della causa dinanzi al collegio.
L'art. 184 cod. proc. civ., nel testo novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, non si limita infatti a prevedere l'eventuale assegnazione alle parti di un termine entro cui dedurre prove e produrre documenti, ma stabilisce espressamente il carattere perentorio di detto termine, in tal modo sottraendolo alla disponibilità delle parti (stante il disposto dell'art. 153 cod. proc. civ.), come del resto implicitamente confermato anche dal successivo art. 184 bis, che ammette la rimessione in termini, ma solo ad istanza della parte interessata ed a condizione che questa dimostri di essere incorsa nella decadenza per una causa ad essa non imputabile. (Cass. 24606/06; Cass. 5539/04; zCass. 9120/06).
Ciò posto, in riferimento alla lamentata mancata concessione della rimessione in termini, i ricorrenti non hanno in alcun modo dedotto di averla richiesta, come era loro onere, specificando altresì in quale scritto difensivo avevano avanzato la predetta richiesta, di avere dedotto che la decadenza era intervenuta per causa a loro non imputabile, onde la censura si rivela, prima ancora che infondata, del tutto priva di autosufficienza.
Il conclusione il ricorso va respinto con condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M

Rigetta il ricorso e condanna le società ricorrenti al pagamento in solido delle spese di giudizio liquidate in Euro 7000,00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi nonchè oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2008