Corte appello  Napoli, 28 giugno 2008
                     
CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
C.F., avv. Iannaccone
                                                           APPELLANTE
                               CONTRO
FALLIMENTO della AIROL S.R.L., avv. Moscariello
                                                            APPELLATO
                                  E
                               CONTRO
C.A.
                                                  APPELLATO CONTUMACE

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l'1.3.2005 il Fallimento della Airol s.r.l., dichiarato dal Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi l'11.10.2000, convenne in giudizio dinanzi al medesimo Tribunale C.O. e C.F., che erano stati entrambi Presidenti del C.d.A. della società, il primo dalla sua costituzione sino al 14.1.'98 ed il secondo dal 14.1.'98 al 17.3.1999, nonché C.A., liquidatore della stessa dal 18.3.99 sino alla dichiarazione di fallimento, per sentirli condannare, in via fra loro solidale o secondo le rispettive responsabilità, al risarcimento dei danni subiti dalla società e dai creditori sociali in dipendenza delle illecite condotte da essi tenute in violazione degli obblighi loro imposti dalla legge e dall'atto costitutivo.

In particolare, per ciò che nella presente sede interessa, l'attore imputò a C.F. di aver eseguito, nel corso del '98, pagamenti per lire 8.500.000 in favore della Texipro Italiana s.r.l. e per complessive lire 26.000.000 in favore della Sterauto di C.A. & C. s.n.c. a fronte di prestazioni inesistenti e di aver in tal modo sottratto le somme alle casse sociali ed al soddisfacimento dei creditori.

Si costituì in giudizio soltanto C.F., che eccepì preliminarmente la prescrizione dell'azione, mentre nel merito, contestata la sussistenza di un vincolo di solidarietà con gli altri convenuti ed affermata la liceità della propria condotta, concluse per il rigetto della domanda.

Il processo, dichiarato interrotto con ordinanza del 9.11.2005 per la morte di C.O., fu riassunto nei confronti degli eredi di questi, A.P., M., M.C., N. ed I.O..

La P. e M. O., costituitisi in giudizio, eccepirono preliminarmente l'inesistenza del rapporto processuale col loro dante causa, deceduto anteriormente all'instaurazione della lite.

La causa fu istruita solo documentalmente,

Con sentenza del 18.07.2006, il Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi accolse l'eccezione sollevata in rito dagli eredi costituiti di C.O. e, rilevato che questi era deceduto il 30.04.2004, prima dell'instaurazione del giudizio, dichiarò l'improponibilità della domanda svolta dal Fallimento nei confronti del predetto convenuto e dei suoi aventi causa.

Quanto alle domande proposte nei confronti di C.A. e C.F., rilevò preliminarmente, e d'ufficio, che, nonostante le modifiche introdotte dal d. lgsl. n. 6/2003 alla disciplina dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una s.r.l., doveva ritenersi che l'azione spettante ai creditori sociali non fosse stata abrogata e che il curatore fosse ancora legittimato ad esercitarla unitamente a quella spettante alla società: senza minimamente affrontare tale secondo profilo, osservò, sotto il primo, che esiste nel nostro ordinamento un principio di carattere generale, ricavabile non solo dall'art. 2394 c.c., ma da altre disposizioni (artt. 2485, 2486, 2497 c.c.) ed, in definitiva, fondato sulla clausola generale di cui all'art. 2043 c.c., per il quale anche il diritto di credito può ricevere una tutela di carattere extracontrattuale allorché venga leso l'interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale e che l'interpretazione che sostiene la tesi dell'attuale permanenza dell'azione dei creditori sociali era l'unica che consentiva di evitare la declaratoria di incostituzionalità della novella legislativa ai sensi degli artt. 3 o 77 Cost, per evidente disparità di trattamento fra i creditori di una s.r.l e quelli di una s.p.a. o per eccesso di delega. Il Tribunale respinse poi l'eccezione di prescrizione svolta da C.F., affermando che, poiché l'azione del curatore cumulava in sé sia quella sociale sia quella dei creditori e poiché i fatti contestati al convenuto integravano gli estremi del reato di bancarotta fraudolenta, per il quale il convenuto risultava indagato in sede penale, trovava applicazione nella specie non già il termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 2949 c.c., ma quello più lungo previsto dall'art. 2947 c.c., che non era ancora decorso alla data di notifica della citazione; che peraltro, anche nel caso in cui si fosse ritenuta abrogata l'azione dei creditori sociali e quindi non applicabile l'art. 2947 c.c., l'eccezione avrebbe dovuto essere ugualmente respinta, in quanto il termine di cui all'art. 2949 c.c. era iniziato a decorrere non già dalla data di cessazione del C.F. dalla carica di Presidente del C.d.A, ma da quella di dichiarazione del fallimento, non essendovi prova che l'insufficienza patrimoniale della Ariol si fosse manifestata sin dal momento della sua messa in liquidazione. Nel merito, infine, rilevò che i due convenuti non avevano contestato la commissione delle condotte illecite loro rispettivamente attribuite e che pertanto i fatti storici dedotti in citazione, supportati dagli accertamenti compiuti in sede penale dal consulente del P.M., risultavano adeguatamente provati, mentre il C.F., unico convenuto costituito, non aveva assolto all'onere che gli incombeva di provare l'inimputabilità di tali fatti, ovvero l'assenza di suo dolo o colpa, avendo tardivamente prodotto i documenti che avrebbero asseritamente dovuto dimostrare che egli aveva effettuato i pagamenti a fronte di prestazioni effettivamente eseguite o comunque risultanti dalla contabilità societaria. Pertanto, escluso che il C.A. ed il C.F. potessero rispondere in via fra loro solidale dei danni derivanti dalle rispettive, illecite condotte, ontologicamente e cronologicamente distinte, il Tribunale condannò il primo a pagare al Fallimento la somma di Euro 62.113,36 oltre accessori ed il secondo a pagare la somma di Euro 18.146,32 oltre accessori; condannò inoltre entrambi, in solido, al pagamento delle spese processuali.

La sentenza è stata appellata da C.F. con atto notificato il 28.11.2006.

L'appellante, con un primo motivo, ha sostenuto che il Tribunale ha errato nel ritenere ancora esercitabile nei confronti degli amministratori di una s.r.l. l'azione di responsabilità dei creditori sociali. Ha rilevato in proposito che le norme novellate del c.c., che hanno nettamente distinto la disciplina applicabile alle s.r.l. da quella prevista per le s.p.a., non contengono alcuna previsione che legittimi i creditori sociali ad agire in via risarcitoria e che, proprio per l'autonomia del nuovo corpus normativo, non è possibile ritenere l'immanenza di tale azione applicando in via analogica l'attuale art. 2394 bis c.c. o ritenendola fondata sulla norma generale di cui all'art. 2043 c- Per altro aspetto, ha dedotto che, in ogni caso, quand'anche si dovesse aderire alla tesi del primo giudice, andrebbe esclusa la legittimazione del curatore ad esercitare tale azione in sostituzione dei creditori sociali, in quanto lo spossessamento del fallito, sancito dall'art. 43 L.F., colpisce, nel suo risvolto processuale, la sola azione di responsabilità spettante alla società.

Con un secondo motivo, il C.F. ha criticato la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata l'eccezione di prescrizione da lui svolta. Ha osservato, a tale riguardo, che è sicuramente prescritta l'azione sociale di responsabilità, in quanto l'atto di citazione gli è stato notificato a distanza di oltre un quinquennio dalla commissione del presunto illecito e, comunque, dalla sua cessazione dalla carica di amministratore, e che (nel caso in cui dovesse ritenersi ancora esistente) ugualmente prescritta sarebbe l'azione di responsabilità dei creditori, posto che l'insufficienza del patrimonio della Airol a soddisfarli era emersa, con tutta evidenza, sin dal 17.3.99, data della messa in liquidazione della società. Ha inoltre escluso che possa trovare applicazione nella specie il più lungo termine di prescrizione di cui all'art. 2947 c.c., non avendogli il curatore contestato la commissione di reati.

Con un terzo ed ultimo motivo, l'appellante ha censurato nel merito la decisione, lamentando che il Tribunale abbia ritenuto provati i fatti dedotti a suo carico dal Fallimento sulla scorta della sola relazione del perito nominato dal P.M., che costituisce atto di parte formato al di fuori del processo ed in violazione del principio del contraddittorio, e lo abbia dichiarato decaduto dalla possibilità di produrre i documenti (scritture contabili e fatture) che avrebbero dimostrato come i pagamenti da lui eseguiti fossero stati disposti a fronte di prestazioni regolarmente effettuate in favore della società.

Ha pertanto richiesto che, in riforma della sentenza impugnata, questa Corte respinga la domanda proposta dal Fallimento nei suoi confronti.

Il Fallimento della Ariol si è costituito in giudizio contestando ogni assunto avversario ed ha concluso per il rigetto dell'appello.

Anche nel presente grado è rimasto contumace A.C..

All'udienza dell'8.2.08 le parti costituite hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione, all'esito del decorso dei termini assegnati per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

E' fondato, e va accolto, il primo motivo d'appello, con il quale il C.F. sostiene che, a seguito dell'entrata in vigore del d.lgsl. n. 6/03 di riforma del diritto societario, i creditori di una s.r.l. non sono più legittimati a proporre l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori.

La disciplina codicistica vigente sino al 31.12.2003 prevedeva, nell'ambito delle società di capitali, una regolamentazione uniforme delle azioni di responsabilità esercitabili nei confronti degli amministratori.

Il previgente disposto degli artt. 2392-2395 c.c., espressamente dettati in tema di responsabilità degli amministratori di una s.p.a., si applicava infatti anche agli amministratori della s.r.l in virtù del rinvio contenuto nell'art. 2487 comma 2 c.c.

Con l'entrata in vigore del d.lgsl. n. 6/2003 la disciplina delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori della s.p.a. è rimasta sostanzialmente immutata: continuano infatti ad applicarsi alla società per azioni gli artt. 2392-2395 c.c. e, nell'ambito di tali norme, tuttora permane la distinzione fra azione sociale (regolata dall'art. 2393) ed azione dei creditori sociali (regolata dai successivi artt. 2394 e 2394 bis).

Per quanto attiene, invece, alle società a responsabilità limitata, il disposto degli artt. 2393-2395 c.c. non è più richiamato dall'art. 2476 c.c., che oggi disciplina la responsabilità degli amministratori di tale tipo societario.

Non sembra superfluo sottolineare, a questo punto, che le regole di funzionamento della società a responsabilità limitata sono state interamente riscritte dal legislatore che, in conformità di quanto previsto dall'art. 3 della l. delega 3.10.01 n.366, ha modellato detta società ispirandosi al principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra soci: la nuova legge riconosce alla s.r.l. un'amplissima autonomia statutaria, consentendole, come è stato rilevato da autorevole dottrina, più che di collocarsi in una posizione a metà strada fra una società di persone e la società per azioni, di gettare un ponte fra i due modelli proprio attraverso la scelta del sistema di amministrazione, che, , passando per tutti i sistemi intermedi, può spaziare da quello affidato disgiuntamente a tutti i soci, tipico della s.n.c. a quello, proprio di una s.p.a., in cui il potere di gestione è conferito ad amministratori non soci, eventualmente organizzati secondo il modello del consiglio di amministrazione.

A questa mutata prospettiva corrisponde la mutata disciplina delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori: l'art. 2476 c.c. consente, infatti, a ciascun socio di esercitare l' azione, ma non garantisce più il dovere di conservazione del patrimonio sociale anche nei confronti dei terzi creditori.

Che l'azione esercitabile dal socio ai sensi dell'art. 2476 c.c. sia quella sociale risulta palese sia dalla previsione del comma 1 dell'articolo, che stabilisce la responsabilità degli amministratori verso la società per i danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo, sia dalle previsioni dei commi successivi, che fanno carico alla società di rimborsare al socio vittorioso le spese sostenute per l'accertamento dei fatti (comma 4), attribuiscono alla società (e non al socio) il potere di rinunciare all'azione o di transigerla (comma 5) e fanno salvo il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che siano stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori (comma 6).

La mancata previsione, nell'ambito della nuova disciplina delle s.r.l., di una specifica azione dei creditori sociali non appare, d'altro canto, frutto di una mera dimenticanza del legislatore: da un lato, infatti, nulla si legge a riguardo nella relazione ministeriale che ha accompagnato l'emanazione del d. lgsl. n. 6/2003; dall'altro risulta evidente che, anche nel sistema delineato dalla riforma, l'azione dei creditori sociali conserva una sua tipicità, dimostrata dal suo mantenimento nell'ambito della disciplina della s.p.a.

Ebbene, deve escludersi che, nonostante il silenzio della legge, l'azione possa fondarsi su uno dei canoni ermeneutici individuati dal Tribunale (applicazione in via analogica dell'art. 2394 bis c.c. od applicazione della norma generale di cui all'art. 2043 c.c.) e contestati dall'appellante.

Le profonde differenze che, con l'entrata in vigore del d. lgsl. cit. sono venute a crearsi fra s.r.l. ed s.p.a., non consentono infatti l'aggiramento del dato normativo attraverso il ricorso all'interpretazione analogica e, contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, non rendono percorribile neppure la via dell'impugnazione dinanzi alla Corte Costituzionale di singole disposizioni per la supposta lesione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. che deriverebbe dal contrasto fra le norme che concernono la responsabilità degli amministratori dell'uno e dell'altro tipo societario.

Sotto tale profilo, in particolare, non sembra cogliere nel segno l'opzione interpretativa che - ai fini dell'individuazione di tale lesione - fa leva sul rinvio alle norme in tema di società per azioni previsto dall'art. 2477 c.c. nel caso in cui la s.r.l. debba obbligatoriamente nominare il collegio sindacale: il testo novellato dell'art. 2407 c.c., a differenza di ciò che era stabilito nella sua formulazione ante-riforma, consente infatti l'applicazione all'azione di responsabilità contro i sindaci delle disposizioni di cui agli artt. 2393-2395 c.c. solo "in quanto compatibili", con la conseguenza che, ritenuta non più sussistente l'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di una s.r.l., dovrebbe escludersi, in base al giudizio di compatibilità, che essa possa continuare ad essere esercitata nei confronti dell'organo di controllo della società.

Poiché l'azione individuale del creditore direttamente danneggiato da atti compiuti dagli amministratori ha sicuramente natura extracontrattuale, è poi parimenti da escludere che, in difetto di un'esplicita disposizione normativa, in capo allo stesso residui, ai sensi dell'art. 2043 c.c., un'ulteriore azione risarcitoria nel caso di lesione indiretta del suo diritto di credito, azione della quale, oltretutto, non risulterebbero definiti né i presupposti né i confini. Del resto l'affermazione - già ricorrente in dottrina con riguardo alla società di persone - dell'esistenza di un principio generale, per l'appunto ricavabile dall'art. 2043 c.c., per cui i creditori di un ente collettivo possono agire nei confronti degli amministratori per il risarcimento dei danni subiti a seguito della violazione da parte di costoro del dovere di conservazione del patrimonio sociale, alle condizioni e con le modalità stabilite dall'art. 2394 c.c., non pare tener conto del fatto che, se il legislatore ha volutamente soppresso per le s.r.l. ogni richiamo all'azione dei creditori sociali disciplinata dall'articolo citato, la norma non potrà essere utilmente invocata dai creditori che non possono più soddisfarsi sul patrimonio della società e che intendono agire in giudizio contro i suoi amministratori in via risarcitoria.

A completamento del discorso sinora svolto, deve altresì escludersi il fondamento delle ulteriori tesi avanzate in dottrina per sostenere l'immanenza dell'azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori della s.r.l.

Nel silenzio della legge, la permanenza dell'azione non può infatti trarsi da un'interpretazione estensiva dell'art. 2497 comma 1 c.c., che legittima i creditori di una società a proporre azione risarcitoria nei confronti di altra società che, esercitando attività di direzione e coordinamento sulla prima, ne abbia leso l'integrità patrimoniale: l'azione è in questo caso esperibile contro la società controllante e non contro i suoi amministratori, e dunque non ha ad oggetto l'accertamento della responsabilità di questi ultimi, ancorché chiamati a rispondere in solido con la controllante " per aver preso parte al fatto lesivo" ai sensi del successivo comma 2.

Neppure é sostenibile che l'azione dei creditori sociali sia attualmente compresa nell'ambito dell'azione di responsabilità prevista dall'art. 2476 comma 6 c.c. in favore dei creditori e dei terzi danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori: la norma è infatti corrispondente a quella dettata dall'art. 2395 c.c. in tema di società per azioni e pertanto resterebbe da spiegare perché il legislatore avrebbe inteso tenere distinte le due fattispecie solo con riguardo alla disciplina di tale diverso tipo societario.

Le disposizioni contenute negli artt. 2485 e 2486 c.c. (pacificamente riferite anche alla s.r.l.), che prevedono che gli amministratori rispondono dei danni indiretti subiti dai creditori sociali per il caso in cui ritardino od omettano di accertare il verificarsi di una causa di scioglimento della società e per gli atti e le omissioni compiute nella gestione dalla data del verificarsi della causa di scioglimento sino alla data di consegna ai liquidatori dei libri sociali, non appaiono, infine, suscettibili di un'interpretazione estensiva o costituzionalmente orientata - che consenta di ricavare dalle stesse l'immanenza dell'azione dei creditori sociali anche in relazione agli atti compiuti dagli amministratori delle s.r.l. in violazione del dovere di conservazione del patrimonio sociale prima del verificarsi di una causa di scioglimento della società - sia per la chiarezza del loro contenuto testuale, sia per la loro collocazione nell'ambito del capo intitolato " dello scioglimento e liquidazione delle società di capitali".

E' proprio da tali disposizioni che si ricava, al contrario, che il legislatore della novella ha inteso configurare una responsabilità degli amministratori della s.r.l. verso i creditori sociali, per la mancata osservanza del generale dovere di conservazione del patrimonio sociale, solo nel caso in cui essi abbiano determinato un aggravamento dello stato di incapienza patrimoniale della società dopo il verificarsi di una causa di scioglimento.

Il mantenimento di tale residua ipotesi di responsabilità verso i creditori impedisce, inoltre, che possa porsi una q.l.c della novella ai sensi dell'art. 77 Cost. per il mancato rispetto dell'art. 3 comma 2 lett. i) della l. delega, laddove individua fra i principi generali cui è ispirata la riforma della disciplina delle s.r.l. la previsione di " norme inderogabili in materia di conservazione del capitale sociale nonché in materia di liquidazione che siano idonee a tutelare i creditori sociali".

L'avvenuta abrogazione dell'azione di responsabilità un tempo spettante ai creditori sociali della s.r.l. rende superfluo l'esame dell'ulteriore questione, risolta per il vero in maniera apodittica dal primo giudice, della perdurante legittimazione del curatore ad esercitarla.

L'appellante non contesta, invece, che il curatore sia legittimato ad esercitare l'azione sociale di responsabilità (pur in mancanza, con riguardo alle s.r.l., di una norma analoga all'art. 2394 bis c.c. e pur nella vigenza, alla data di introduzione del presente giudizio del vecchio testo dell'art. 146 L.F., che autorizzava il curatore ad esercitare unicamente le azioni di responsabilità previste dagli artt.2393 e 2394 c.c.) in virtù del disposto degli artt. 42 e 43 L.F., secondo i quali il curatore subentra nell'amministrazione del patrimonio sociale ed è l'unico soggetto preposto a stare in giudizio nelle controversie relative ai rapporti di diritto patrimoniale della fallita compresi nel fallimento.

Tuttavia, con riguardo all'azione sociale (ovvero, si ripete, all'unica azione che il curatore era legittimato ad esercitare) è fondato e va accolto il secondo motivo d'appello, con il quale il C.F. ha riproposto l'eccezione di prescrizione tempestivamente sollevata in primo grado.

Va premesso che il curatore, quando agisce ai sensi dell'art. 146 l.fall, si limita a subentrare nell'esercizio dei diritti che, antecedentemente al fallimento, spettavano alla società (o ai creditori, nell'eventualità, nel caso di specie esclusa, di proposizione anche della diversa azione a costoro spettante).

L'art. 146 L.F., in sostanza, non attribuisce al curatore una nuova azione, ma solo, eventualmente, la possibilità di esercitare in via unitaria due distinte azioni, rimanendo però soggetto alla disciplina prevista dalla legge per ciascuna di esse (cfr. Cass. n. 10488/98 in F.IT. 1999, I, 1967).

Ne consegue che, per ciò che concerne il termine di prescrizione, quello dell'azione sociale inizia a decorrere anche per il curatore dal momento in cui il diritto al risarcimento avrebbe potuto essere fatto valere dalla società (art. 2935 c.c.), e cioè dal momento in cui si è prodotto il danno.

I fatti che il Fallimento imputa al C.F. sono stati, necessariamente, tutti commessi fra il 14.1.'98 ed il 17.3.1999, periodo durante il quale l'appellante ha rivestito la carica di Presidente del C.d.A. della Airol. Il preteso danno derivante da tali fatti (ovvero la perdita di somme di pertinenza della fallita, asseritamente versate indebitamente a terzi non creditori) si è prodotto immediatamente ed avrebbe potuto essere tempestivamente accertato, attraverso l'esame della contabilità sociale, dal liquidatore.

Pertanto, stante il disposto dell'art. 2941 n. 7 c.c., a norma del quale il corso della prescrizione dell'azione di responsabilità fra le persone giuridiche ed i loro amministratori è sospeso finché questi sono in carica, il termine quinquennale di prescrizione, cui l'azione è soggetta ai sensi dell'art. 2949 c.c., decorreva nei confronti del C.F. dal 18.3.98 ed era ampiamente spirato alla data di notifica della citazione (1.3.2005).

Il Fallimento non ha contestato la statuizione della sentenza impugnata attinente all'inapplicabilità all'azione sociale di responsabilità del più lungo termine di prescrizione previsto dall'art. 2947 II comma c.c.. Sul punto, pertanto, la sentenza risulta coperta da giudicato implicito e solo per completezza va osservato che la statuizione va condivisa, in quanto la possibilità di invocare la norma in esame è limitata alle sole ipotesi di azioni per responsabilità extracontrattuale (cfr. Trib. MI 19.9.2003; Cass. n. 2432/96).

L''esame del terzo motivo d'appello, con il quale il C.F. ha censurato nel merito la decisione, risulta assorbito dall' accoglimento dei primi due motivi.

I contrapposti orientamenti giurisprudenziali e dottrinari espressi sulle questioni dibattute giustificano l'integrale compensazione fra le parti delle spese del doppio grado del giudizio.