LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente -
Dott. VELLA Antonio - Presidente di sezione -
Dott. VIDIRI Guido - Consigliere -
Dott. MERONE Antonio - Consigliere -
Dott. SALME' Giuseppe - rel. Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - Consigliere -
Dott. LA TERZA Maura - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
Dott. TIRELLI Francesco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.M., V.S. elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA GREGORIANA 56, presso lo STUDIO GALOPPI, rappresentati e
difesi dagli avvocati GALOPPI GIOVANNI, RAMBALDO ZUCALLI (rinunzia al
mandato dep. 13/06/07), giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
COPHARM S.R.L.;
- intimata -
e sul 2^ ricorso n 11078/04 proposto da:
COPHARM S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MERCEDE 52,
presso lo studio dell'avvocato MENGHINI MARIO, che la rappresenta e
difende unitamente all'avvocato BARBAGELATA BRUNO, giusta delega a
margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
M.M., V.S.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 405/03 della Corte d'Appello di TRIESTE,
depositata il 13/08/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/05/08 dal Consigliere Dott. Giuseppe SALME';
udito l'Avvocato Mario MENGHINI;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. NARDI Vincenzo
che ha concluso, previa riunione, per il rigetto di entrambi i
ricorsi.
Fatto
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con atto di citazione del
2 aprile 1992 la s.r.l. Copharm ha convenuto in giudizio davanti al tribunale
di Trieste gli ex amministratori M.M. e V.S., esercitando nei loro confronti
l'azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. e chiedendo quindi che
fosse accertato che la loro revoca era stata disposta per giusta causa e che
gli stessi fossero condannati al risarcimento dei danni prodotti dalla cattiva
gestione. A fondamento della domanda la società ha dedotto che il M. e
Con ricorso del 15 luglio
1992 al pretore di Trieste, in qualità di giudice del lavoro, il M. e
Con sentenza del 29
gennaio 1996 il pretore ha dichiarato la propria incompetenza e ha rimesso le
parti davanti al tribunale che, riuniti i giudizi, con sentenza del 19 ottobre
Con sentenza del 13 agosto
2003 la corte d'appello di Trieste ha confermato la sentenza di primo grado,
affermando che la revoca degli amministratori era avvenuta per giusta causa,
per avere gli stessi violato l'art. 2389 c.c., comma 1 che, in assenza di
previsione contenuta nel contratto sociale, richiede un'apposita delibera
dell'assemblea per la determinazione dei compensi degli amministratori, non
essendo sufficiente la mera approvazione in bilancio, e ciò
indipendentemente dall'accertamento della corretta appostazione, in relazione
alla quale
La legittimità
della revoca del M. comportava anche la legittima cessazione dell'incarico
particolare di direttore del magazzino farmaceutico allo stesso attribuito, in
quanto amministratore. Peraltro l'incarico era stato affidato dalla moglie
V.S., coamministratrice, senza osservare la prescritta procedura.
Quanto all'appello
incidentale di Copharm, che lamentava il rigetto della domanda relativa al
risarcimento del danno fiscale provocato dagli amministratori alla
società, conseguente alla ripresa a tassazione, avvenuta in corso di
causa, dei compensi prelevati e del pagamento di beni sociali in realtà
in uso privato degli amministratori stessi, la corte territoriale ha confermato
che tale domanda non era stata ritualmente proposta perchè in primo
grado, in sede di precisazione delle conclusioni, erano state richiamate quelle
di cui all'atto introduttivo che tale domanda non conteneva e non poteva
contenere, perchè, appunto, l'accertamento tributario era intervenuto
successivamente alla proposizione della domanda.
Avverso la sentenza della
corte d'appello di Trieste ricorrono per cassazione il M. e
Resiste con controricorso
La prima sezione civile,
alla quale il procedimento è stato assegnato, avendo rilevato che nella
giurisprudenza della corte si sono formati diversi orientamenti, sia in ordine
possibilità di configurare la delibera di approvazione del bilancio come
implicita delibera di determinazione del compenso dell'amministratore, sia,
più in generale, sulla stessa configurabilità di delibere
assembleari implicite, ha rimesso gli atti al primo presidente.
Diritto
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Il ricorso principale e il
ricorso incidentale, proposti nei confronti della stessa sentenza debbono
essere riuniti.
1. Con il primo motivo i
ricorrenti deducono violazione dell'art. 2364 c.c. e art. 2389 c.c., comma 1
nonchè difetto di motivazione, per aver la corte d'appello ritenuto
fondata l'azione di responsabilità della società e infondata
l'azione di danni da essi proposta sulla base del rilievo che sussisteva una
giusta causa di revoca consistente nell'avere percepito compensi indicati
soltanto nella delibera di approvazione del bilancio e non determinati con
apposita delibera dell'assemblea. Osservano i ricorrenti che i compensi (pari a
L. 85.180.000 per il M. e L. 63.180.000 per
2. Premesso che nella
specie viene in considerazione la disciplina societaria anteriore al D.Lgs. n.
6 del 2003, come è stato ampiamente illustrato nell'ordinanza della
prima sezione, sulla questione relativa all'ammissibilità che la
delibera di approvazione del bilancio di società per azioni, contenente
la voce "compensi degli amministratori", valga come implicita
deliberazione ai sensi dell'art. 2389 c.c., comma 1 si sino formati nella
giurisprudenza di questa corte due diversi orientamenti.
Secondo un primo
orientamento, rappresentato dalla sentenza n. 3774 del 1995, pronunciata su un
motivo di ricorso proposto nei confronti di sentenza che aveva dichiarato
l'illegittimità della ratifica, mediante approvazione del bilancio, dei
compensi che gli amministratori di una società per azioni si erano
autodeterminati, senza preventiva delibera dell'assemblea (e pertanto con
affermazioni che ne costituiscono la ratio decidendi e non mero obiter dictum),
il compenso "può essere inserito in bilancio, in quanto sia stato
deliberato dalla assemblea con un'autonoma decisione, che non può essere
implicita nella approvazione del bilancio stesso." Di contro, con sentenza
n. 2832 del 2001 è stato affermato che l'approvazione del bilancio nel
quale figuri iscritta la voce relativa al compenso ha valore giuridico di
approvazione e ratifica dell'operato dell'amministratore che si sia attribuito
tale compenso senza che l'assemblea lo abbia previamente deliberato.
L'approvazione del bilancio, infatti, costituirebbe manifestazione di
volontà specificamente diretta all'approvazione di tale attribuzione,
perchè non costituirebbe una mera presa d'atto di dati contabili, ma
rappresenterebbe un atto di appropriazione del rapporto da parte della
società e pertanto una ratifica. Affermando tale principio la sentenza
richiama Cass. n. 6935/1983 la quale, pronunciando in una fattispecie in cui un
soggetto poi nominato amministratore di una società di capitali, in
epoca antecedente alla costituzione, aveva stipulato un contratto di locazione,
ha ritenuto che la delibera di approvazione del bilancio, in cui sia incluso il
debito per i relativi canoni, non costituendo una mera dichiarazione di
scienza, nè un semplice atto unilaterale ed interno, ma un atto in cui
rileva la volontà che sta alla, base della formazione della
deliberazione stessa, ove sia provata la conoscenza dell'instaurazione del
rapporto locativo da parte dell'assemblea, costituisce un atto di
appropriazione di tale rapporto da parte della società e vale come
ratifica dell'atto posto in essere da chi ha agito in nome della società
stessa senza averne il potere.
Il principio affermato con
la sentenza n. 2832 del 2001, è stato condiviso, in modo espresso e
mediante rinvio esplicito, dalla successiva sentenza n. 28243 del 2005, e
implicitamente da Cass. n. 11490 del 2007, che tuttavia ha negato che, allo
scopo di valutare la possibilità di sanare l'autoattribuzione di
compensi da parte dell'amministratore, non preventivamente deliberata
dall'assemblea, mediante delibera di approvazione di bilancio, sia sufficiente
l'affermazione del principio di diritto astratto di cui alla decisione del 2001,
essendo necessario che in concreto siano indicati gli elementi probatori dai
quali risulti che la specifica spesa era stata acquisita al bagaglio
istruttorio della delibera relativa al bilancio.
La stessa duplicità
di orientamenti evidenziata all'interno della giurisprudenza di
legittimità si registra nella giurisprudenza di merito. La dottrina
prevalente è favorevole all'indirizzo più restrittivo, pur non
mancando autorevoli voci che ritengono che il problema non possa essere risolto
in termini assoluti e astratti, dovendo in concreto verificarsi se, accanto
alla dichiarazione di scienza di approvazione del bilancio, non si ponga anche
una manifestazione di volontà dell'assemblea diretta a convalidare il
comportamento illegittimo degli amministratori, desumibile dalla circostanza
che della determinazione del compenso l'assemblea stessa abbia esplicitamente
discusso e abbia quindi espresso un voto consapevole.
3. Le sezioni unite
ritengono che debba essere preferito l'orientamento che ritiene necessaria l'esplicita
delibera assembleare di determinazione dei compensi e che nega che tale
delibera possa considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio.
E' utile premettere che il
tema delle remunerazioni degli amministratoti delle società di capitali
(che, ai sensi dell'art. 2389 c.c., comma 2 come modificato con il D.Lgs. n. 6
del 2003 possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli
utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato
azioni di futura emissione) è tra i più importanti nell'ambito
delle problematiche del governo societario. Costituiscono conferma di tale
rilievo l'intensa attività sul punto della Commissione europea (che ha
approvato una comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo in data 21
maggio 2003, con la quale, tra l'altro, si sottolinea la necessità
dell'approvazione preventiva della determinazione dei compensi da parte
dell'assemblea e le raccomandazioni del 14 dicembre 2004, sui compensi degli
amministratori delle società quotate e del 15 febbraio 2005, sugli
amministratori non esecutivi e sui consiglieri di sorveglianza) e le recenti
modifiche del Testo Unico sull'intermediazione finanziaria (cfr. D.Lgs. n. 58
del 1998, art. 114 bis, introdotto con
Venendo al merito della
questione rimessa a queste sezioni unite, si deve innanzi tutto rilevare che,
nel sistema normativo anteriore alle modifiche al c.c. introdotte con il D.Lgs
n. 6 del 2003 (che, peraltro, sul tema di cui si tratta hanno avuto portata non
decisiva), applicabile ratione temporis alla presente fattispecie, la
disciplina di cui all'art. 2389 c.c. (dettata in continuità con
l'orientamento legislativo tradizionale, risalente all'art. 154, n. 4 del
codice di commercio del 1882) ha certamente natura imperativa e inderogabile, sia
perchè, in generale, la disciplina della struttura e del funzionamento
delle società regolari sono dettate (anche) nell'interesse pubblico al
regolare svolgimento dell'attività commerciale e industriale del Paese,
sia perchè, in particolare, la loro violazione, in particolare la
percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea, era prevista
dall'art. 2630 c.c., comma 2, n. 1 (abrogato dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61,
art. 1) come delitto che non poteva certo essere scriminato dalla approvazione del
bilancio successiva alla consumazione. E' pertanto evidente che la violazione
dell'art. 2389 c.c., sul piano civilistico, da luogo a nullità degli
atti di autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori per
violazione di norma imperativa, nullità che, per il principio stabilito
dall'art. 1423 c.c., non è suscettibile di convalida, in mancanza di una
norma espressa che disponga diversamente (come, in materia societaria è
invece previsto dagli artt. 23325 e 2379 c.c.).
Peraltro, dall'art. 2364
c.c. emerge con chiarezza che la legge considera le deliberazioni di
approvazioni del bilancio (n. 1) e quelle di determinazioni dei compensi degli
amministratori (n. 3) come aventi oggetti e contenuti diversi e distinti (Cass.
n. 2672/1968), l'una essendo diretta a controllare la legittimità di un
atto di competenza degli amministratori, "approvandolo" o non
"approvandolo", l'altra avendo la funzione di "determinare"
o "stabilire" (art. 2389 c.c.) il compenso. E poichè è
certo che il bilancio in ogni caso contiene la posta relativa al compenso degli
amministratori, a voler ammettere che la delibera di approvazione debba
ritenersi come implicita determinazione del compenso, la norma di cui si tratta
sarebbe del tutto inutile.
Peraltro, anche a voler
ipotizzare l'ammissibilità di una ratifica tacita della
(auto)determinazione del compenso da parte dell'amministratore, sarebbe
necessaria la prova che, approvando il bilancio l'assemblea sia a conoscenza
del vizio e abbia manifestato la volontà di far proprio l'atto posto in
essere dall'organo privo di potere, non essendo invece sufficiente, in quanto
circostanza non univoca, la generica delibera di approvazione.
Inoltre, dall'art. 2434
c.c. (vecchio testo) risulta che l'approvazione del bilancio non implica liberazione
degli amministratori dalla responsabilità incorse nella gestione
sociale, tra le quali può certamente essere compresa quella
dell'autoattribuzione di compensi in mancanza di previa deliberazione
dell'assemblea, fatta salva la possibilità che, con le forme (e quindi
con deliberazione espressa) e le maggioranze previste dall'art. 2393 c.c.,
u.c., sia approvata la rinuncia all'azione di responsabilità.
4. Non appare idoneo a
superare gli argomenti indicati il richiamo alla possibilità, sul piano
generale, di ravvisare in una deliberazione dell'assemblea avente un
determinato oggetto un'implicita approvazione di una deliberazione avente
oggetto diverso.
Infatti, nel caso deciso
dalla sentenza n. 6935/1983, già citata, l'affermazione secondo cui
è possibile ritenere tacitamente ratificato, con l'approvazione del
bilancio tra le cui poste sia compresa quella relativa al pagamento dei canoni,
un contratto di locazione stipulato prima della costituzione della
società da un soggetto nominato successivamente amministratore
dell'ente, la ragione giustificatrice è stata rinvenuta
nell'applicabilità anche in materia di persone giuridiche del principio
secondo cui la ratifica del negozio concluso dal rappresentante senza potere
può risultare anche da una tacita manifestazione di volontà, e
consistere in atti o fatti che implichino necessariamente la volontà
dell'interessato di far proprio il contratto. Peraltro, in dottrina si è
sottolineato che nella specie più che di attribuzione di efficacia a un
atto che, ex art. 1398 c.c., ne sarebbe privo, si dovrebbe parlare di
appropriazione degli effetti di tale atto ai sensi dell'art. 2331 c.c..
Analoghe considerazioni
possono essere fatte per quanto riguarda la sentenza n. 7296 del 1983, con la
quale si è affermato che può essere (anche tacitamente) '
ratificato l'atto posto in essere dal rappresentante di un ente che abbia
ecceduto i limiti delle facoltà conferitegli (nella specie, il
procuratore di una società cooperativa aveva conferito ad un terzo un
mandato eccedente i limiti dei suoi poteri ed estraneo all'oggetto sociale),
con la rilevante specificazione che, tuttavia, per configurare la ratifica
tacita è necessario che la volontà dell'assemblea sia accertata
chiaramente, non essendo sufficiente l'iscrizione dell'obbligazione in bilancio
o il suo pagamento in esecuzione dell'atto illegittimamente compiuto dal
rappresentante (sulla base di quest'ultimo rilevo la corte ha confermato la
sentenza con la quale i giudici di merito avevano escluso che potesse desumersi
una volontà di ratifica dal solo fatto che la cooperativa aveva pagato
parte del compenso al mandatario ed iscritto in bilancio il relativo esborso,
poichè da ciò non risultava che l'assemblea avesse consapevolezza
del contenuto del negozio, bensì esclusivamente di quella singola
attività prestata dal terzo).
Con le sentenze n.
6203/1991 e n. 1292/1991, si è ritenuto, inoltre, che costituisce atto
idoneo ad interrompere la prescrizione l'annotazione di un debito nel bilancio
di una società di capitali, nel caso in cui tale annotazione sia
accompagnata da tutti gli elementi specificativi dell'obbligazione
(entità, causale, soggetto creditore), sulla base del rilievo che il
riconoscimento del diritto non ha natura negoziale, nè carattere
recettizio, ma richiede solo una manifestazione di consapevolezza
dell'esistenza del debito.
Peraltro, poichè,
come è stato osservato in dottrina, dall'art. 2423 bis c.c., n. 1, art.
2424 bis c.c., comma 3 emerge che debbono essere iscritti a bilancio non solo i
debiti certi ma anche quelli probabili, la mera appostazione non può di
per sè assumere valore univoco.
Infine, nel caso deciso
dalla sentenza n. 4662 del 2001, si trattava di valutare se la nomina
dell'amministratore, in sostituzione di quello venuto a mancare nel corso dell'esercizio,
deliberata ai sensi dell'art. 2386 c.c., comma 1 dagli altri amministratori ed
approvata dal collegio sindacale, potesse ritenersi implicitamente ratificata
con una delibera con oggetto diverso ma avente come presupposto il conferimento
della carica sociale. La soluzione positiva, tuttavia, ha valorizzato la
circostanza che, comunque, si era determinato l'inserimento di fatto del
preposto nella organizzazione sociale e ciò, alla stregua del principio
affermato dalla sentenza n. 1925 del 1999 è sufficiente per rendere
applicabile la disciplina dell'attività degli amministratori.
Affermazione di portata
generale è stata fatta invece dalla sentenza n. 10895/2004, secondo la
quale, poichè il bilancio ha la funzione di informare i soci e i terzi
dell'attività svolta dagli amministratori attraverso la rappresentazione
contabile dello stato patrimoniale della società e dei risultati
economici della gestione, la delibera di approvazione non comporta
automaticamente - in difetto di espressa previsione nell'ordine del giorno sul
quale l'assemblea è stata convocata - l'approvazione anche degli atti
gestori menzionati nella relazione che accompagna il progetto di bilancio.
Sulla base di tale
principio è stata cassato la sentenza di merito che aveva annullato la
delibera di approvazione del bilancio ritenendo erroneamente che in tal modo
l'assemblea avesse inteso approvare anche l'atto di gestione (invalidamente
compiuto dall'amministratore, che agendo in conflitto di interessi, aveva
concesso in locazione un immobile appartenente alla società a favore di
altra società di cui il medesimo era socio).
Più in particolare
con la sentenza n. 13019/1995 si è affermato che la delibera con la
quale l'assemblea di una società per azioni autorizza gli amministratori
all'acquisto di azioni proprie non può ritenersi implicita o
consequenziale a quella di approvazione del bilancio e pertanto, essa deve
ritenersi invalida qualora sia stata assunta nonostante la mancata indicazione
nell'ordine del giorno contenuto nell'avviso di convocazione dell'assemblea.
Dall'analisi della
giurisprudenza di questa corte emerge, pertanto, non solo che non sussiste un
orientamento univoco, ma, ancor prima, che non è possibile trarre dalle
soluzioni affermate nelle singole fattispecie una regola o principio generale,
perchè in tali soluzioni assumono rilievo esigenze e contenuti normativi
diversi da quelli coinvolti dalla fattispecie di cui si tratta, nella quale,
come già rilevato, viene in considerazione la violazione di norme imperative
in materia di competenze degli organi sociali e a tutela dei diritti di
informazione dei soci e dei terzi.
Una parte della
giurisprudenza di merito e la prevalente dottrina, infine, hanno rilevato - e
tale rilievo appare decisivo - che l'ammissibilità (di delibere tacite,
nelle quali, cioè, la volontà dell'assemblea si manifesta per
facta concludentia e) di delibere implicite (il cui contenuto presuppone
necessariamente quello di distinte deliberazioni) si pone in diretto contrasto
con le regole di formazione della volontà della società, in
particolare con l'art. 2366 c.c. che afferma la necessità, salvo che la
legge disponga diversamente (cfr. l'art. 2393 c.c., comma
5. Non appare necessario,
al fine di dirimere il contrasto rimesso a queste sezioni unite, accertare se
la deliberazione di approvazione del bilancio, debba considerarsi una
dichiarazione di scienza con la quale l'assemblea constata la corrispondenza a
verità del documento predisposto dagli amministratori ovvero un atto in
cui rileva la volontà di appropriazione dei rapporti giuridici
sottostanti la rappresentazione contabile da parte della società (Cass.
n. 2832/2001, 6935/1983).
Infatti, il bilancio
è certamente (Cass. n. 10895/2004, 23976/2004) un prospetto contabile
rappresentativo dello stato patrimoniale della società e dei risultati
economici della gestione, redatto con la funzione di informare soci e terzi
della attività svolta dagli amministratori - al fine di rendere noto ai
primi la esistenza di utili e perdite e agli altri quale sia la posizione
economica della società, per l'eventuale credito concedibile, e, pertanto,
il fine informativo, interno ed esterno, ne costituisce la funzione essenziale
perseguita dal legislatore nel prescrivere i criteri di redazione del medesimo
(in particolare quello di chiarezza, che non può ritenersi subordinato a
quello di verità: Cass. sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27).
Da ciò deriva, da
un lato, la distinzione tra approvazione del bilancio ed eventuale approvazione
degli atti gestori sottostanti, e dall'altro, che, affinchè l'assemblea
possa deliberare contestualmente in ordine ai due diversi oggetti è
necessario che tali oggetti siano chiaramente indicati nella convocazione e nel
relativo ordine del giorno, ovvero, in caso di assemblea totalitaria, su tali
oggetto vi sia stata apposita discussione e specifica votazione.
Facendo applicazione delle
osservazioni e dei rilievi in precedenza formulati al caso di specie deve
pertanto affermarsi che l'approvazione del bilancio contenente la posta
relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la
specifica delibera di determinazione del compenso richiesta, in caso di omessa
previsione statutaria, dall'art. 2389 c.c., comma 1.
Può tuttavia
ammettersi che accanto (e oltre) all'approvazione del bilancio, avente la
funzione sua propria di accertamento della regolarità della
rappresentazione contabile, l'assemblea possa anche adottare la delibera di
determinazione del - compenso degli amministratori, se sussista la prova che
l'assemblea convocata soltanto per l'esame e l'approvazione del bilancio,
essendo totalitaria, abbia anche espressamente discusso e approvato una
specifica proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.
6. Con il secondo motivo,
il solo M., deduce violazione dell'art. 2389 c.c., comma 2, e art. 2099 c.c..
Il compenso di direttore
di magazzino sarebbe dovuto anche se era stato revocato dalla carica di
amministratore, trattandosi di incarico autonomo. La corte d'appello ha
ritenuto che la revoca dalla carica comportasse il venir meno anche delle
cariche particolari attribuite ai sensi dell'art. 2389 c.c., comma 2, ma il
ragionamento sarebbe errato trattandosi di funzioni del tutto estranee ed
indipendenti da quelle attinenti al rapporto gestorio. La carica di direttore
del magazzino comporta infatti il possesso della laurea in farmacia e la stessa
Copharm, almeno in un'occasione, aveva qualificato il M. come dipendente della
società e non come amministratore. Di qui l'illogicità della
motivazione della sentenza impugnata e la violazione dell'art. 2389 c.c., comma
2, che prevede il diritto ad una rimunerazione per le attività estranee
all'amministrazione svolte da chi ha il ruolo di gestore della società,
e dell'art. 2099 c.c., da cui discende la normale e necessaria onerosità
dello svolgimento di prestazioni lavorative.
Il motivo non è
fondato.
La corte d'appello ha
confermato il rigetto della domanda del M. diretta a ottenere la corresponsione
del compenso per l'attività di direttore del magazzino dell'impresa
farmaceutica sul duplice rilievo che, trattandosi di una carica particolare attribuita
allo stesso in quanto amministratore, ai sensi dell'art. 2389 c.c., comma 2 il
titolo sul quale si basava l'attività svolta è stato travolto
dalla sopravvenuta inefficacia della carica di amministratore, a seguito della
revoca, e che il particolare incarico era stato conferito dal coniuge
coamministratore senza l'osservanza della procedura prescritta dalla legge.
A parte che il ricorrente
non ha censurato questo secondo rilievo, che costituisce un'autonoma ratio
decidendi di per sè idonea a giustificare la decisione impugnata, deve
rilevarsi che la qualificazione giuridica dell'attività di direttore del
magazzino come carica particolare attribuita al M. in quanto amministratore non
ha formato oggetto di specifica critica, essendosi il ricorrente limitato ad affermare
l'estraneità delle funzioni di cui si tratta alle funzioni gestorie (il
che è cosa ovvia, non potendosi, in caso contrario, neppure ipotizzare
un incarico ulteriore rispetto alle funzioni di amministratore) e a
contrapporre la diversa qualificazione secondo la quale si tratterebbe di
attività svolta in quanto dipendente della società.
7. Assorbito dal rigetto
del primo motivo del ricorso principale il primo motivo del ricorso
incidentale, proposto in via subordinata e condizionata, con il quale Copharm
si duole che la corte d'appello abbia omesso di valutare gli ulteriori gravi
elementi di responsabilità degli ex amministratori dedotti con l'atto
introduttivo (in particolare la violazione degli artt. 2446 e 2447 c.c. per non
aver convocato l'assemblea degli azionisti per le delibere conseguenti alle
perdite ed alla riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale e
la dolosa sopravvalutazione del magazzino) deve essere esaminato il secondo
motivo con il quale si lamenta che la corte d'appello abbia respinto l'appello
incidentale, confermando la statuizione del tribunale secondo cui non era
ammissibile la domanda di danni relativa all'accertamento fiscale conseguente
al mancato riconoscimento tra i costi dei compensi percepiti dagli ex amministratori,
in quanto non compresa tra le conclusioni di cui all'atto di citazione,
richiamate in sede di precisazione delle conclusioni definitive. Tale domanda,
sostiene la ricorrente incidentale, era stata oggetto di deduzioni istruttorie
e di produzioni documentali e poi di c.t.u.; era stata diffusamente trattata
sia nella prima che nella seconda comparsa conclusionale di primo grado. La
corte d'appello avrebbe omesso di considerare che l'interpretazione del
contenuto della domanda va effettuato con riferimento all'insieme delle
deduzioni e difese svolte, anche quando tali deduzioni non trovino
corrispondenza nelle conclusioni formalmente proposte.
Il motivo non è
fondato.
La corte d'appello ha
correttamente individuato l'oggetto delle domande avanzate dalla Copharm,
avendo fatto riferimento all'atto introduttivo del giudizio, dal quale esulava
ogni riferimento ai danni conseguenti all'accertamento tributario, e alle
conclusioni definitive, con le quali sono state richiamate esclusivamente le
conclusioni rassegnate con l'atto di citazione, con ciò escludendo
dall'oggetto del giudizio ogni altra voce di danno che pur avesse formato
oggetto di attività assertiva o probatoria svolta in corso di causa.
In conclusione, debbono
essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale. La diversa
rilevanza ed entità della reciproca soccombenza giustifica una
compensazione delle spese limitata alla metà di quelle complessive.
P.Q.M.
P.Q.M.
La corte, riunisce i
ricorsi e li rigetta; compensa fino alla metà le spese di questo
giudizio e condanna i ricorrenti al pagamento della festante metà che si
liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese
generali e agli interessi come per legge.
Così deciso in
Roma, nella Camera di consiglio della sezioni unite, il 20 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria
il 29 agosto 2008