LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONI UNITE CIVILI                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. CARBONE  Vincenzo                      -  Primo Presidente  -  
Dott. VELLA    Antonio                  -  Presidente di sezione  -  
Dott. VIDIRI   Guido                              -  Consigliere  -  
Dott. MERONE   Antonio                            -  Consigliere  -  
Dott. SALME'   Giuseppe                      -  rel. Consigliere  -  
Dott. RORDORF  Renato                             -  Consigliere  -  
Dott. LA TERZA Maura                              -  Consigliere  -  
Dott. AMOROSO  Giovanni                           -  Consigliere  -  
Dott. TIRELLI  Francesco                          -  Consigliere  -  
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
              M.M.,           V.S. elettivamente  domiciliati  in 
ROMA,  VIA  GREGORIANA 56, presso lo STUDIO GALOPPI, rappresentati  e 
difesi dagli avvocati GALOPPI GIOVANNI, RAMBALDO ZUCALLI (rinunzia al 
mandato dep. 13/06/07), giusta delega a margine del ricorso; 
                                                       - ricorrenti - 
                               contro 
COPHARM S.R.L.; 
                                                         - intimata - 
e sul 2^ ricorso n 11078/04 proposto da: 
COPHARM  S.R.L.  IN  LIQUIDAZIONE, in  persona  del  liquidatore  pro 
tempore,  elettivamente domiciliata in ROMA, VIA  DELLA  MERCEDE  52, 
presso  lo studio dell'avvocato MENGHINI MARIO, che la rappresenta  e 
difende  unitamente all'avvocato BARBAGELATA BRUNO, giusta  delega  a 
margine del controricorso e ricorso incidentale; 
                        - controricorrente e ricorrente incidentale - 
                               contro 
             M.M.,           V.S.; 
                                                         - intimati - 
avverso  la  sentenza  n. 405/03 della Corte  d'Appello  di  TRIESTE, 
depositata il 13/08/03; 
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
20/05/08 dal Consigliere Dott. Giuseppe SALME'; 
udito l'Avvocato Mario MENGHINI; 
udito  il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. NARDI Vincenzo 
che  ha  concluso,  previa riunione, per il  rigetto  di  entrambi  i 
ricorsi. 
                 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 2 aprile 1992 la s.r.l. Copharm ha convenuto in giudizio davanti al tribunale di Trieste gli ex amministratori M.M. e V.S., esercitando nei loro confronti l'azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. e chiedendo quindi che fosse accertato che la loro revoca era stata disposta per giusta causa e che gli stessi fossero condannati al risarcimento dei danni prodotti dalla cattiva gestione. A fondamento della domanda la società ha dedotto che il M. e la V., quando rivestivano la carica di amministratori, avevano appostato in bilancio una voce inesistente, avevano occultato perdite e avevano prelevato dalle casse sociali compensi in assenza di apposita deliberazione dell'assemblea.

Con ricorso del 15 luglio 1992 al pretore di Trieste, in qualità di giudice del lavoro, il M. e la V. hanno chiesto che fosse accertato che la revoca era avvenuta senza giusta causa, con conseguente condanna della società al risarcimento dei danni, e, il solo M., ha chiesto anche gli fossero pagate le competenze maturate quale direttore tecnico preposto al magazzino farmaceutico.

Con sentenza del 29 gennaio 1996 il pretore ha dichiarato la propria incompetenza e ha rimesso le parti davanti al tribunale che, riuniti i giudizi, con sentenza del 19 ottobre 2001, ha rigettato le domande proposte dal M. e dalla V. e, accogliendo parzialmente la domanda di Copharm, ha condannato gli ex amministratori al pagamento della somma di L. 100.000.000.

Con sentenza del 13 agosto 2003 la corte d'appello di Trieste ha confermato la sentenza di primo grado, affermando che la revoca degli amministratori era avvenuta per giusta causa, per avere gli stessi violato l'art. 2389 c.c., comma 1 che, in assenza di previsione contenuta nel contratto sociale, richiede un'apposita delibera dell'assemblea per la determinazione dei compensi degli amministratori, non essendo sufficiente la mera approvazione in bilancio, e ciò indipendentemente dall'accertamento della corretta appostazione, in relazione alla quale la Copharm aveva dedotto che si trattava di una voce nella quale erano state riunite una pluralità di imputazioni. A conferma di tale conclusione la corte territoriale ha richiamato la sentenza n. 3774/95 di questa corte e ha contestato che siano invocabili in senso contrario i precedenti relativi al riconoscimento della possibilità che la delibera di approvazione del bilancio possa costituire ratifica dell'operato dei rappresentanti senza potere o riconoscimento di debiti verso terzi, perchè per la determinazione del compenso degli amministratori la legge richiede espressamente un'esplicita deliberazione.

La legittimità della revoca del M. comportava anche la legittima cessazione dell'incarico particolare di direttore del magazzino farmaceutico allo stesso attribuito, in quanto amministratore. Peraltro l'incarico era stato affidato dalla moglie V.S., coamministratrice, senza osservare la prescritta procedura.

Quanto all'appello incidentale di Copharm, che lamentava il rigetto della domanda relativa al risarcimento del danno fiscale provocato dagli amministratori alla società, conseguente alla ripresa a tassazione, avvenuta in corso di causa, dei compensi prelevati e del pagamento di beni sociali in realtà in uso privato degli amministratori stessi, la corte territoriale ha confermato che tale domanda non era stata ritualmente proposta perchè in primo grado, in sede di precisazione delle conclusioni, erano state richiamate quelle di cui all'atto introduttivo che tale domanda non conteneva e non poteva contenere, perchè, appunto, l'accertamento tributario era intervenuto successivamente alla proposizione della domanda.

Avverso la sentenza della corte d'appello di Trieste ricorrono per cassazione il M. e la V. articolando due motivi.

Resiste con controricorso la Copharm, che ha anche proposto ricorso incidentale con unico motivo.

La prima sezione civile, alla quale il procedimento è stato assegnato, avendo rilevato che nella giurisprudenza della corte si sono formati diversi orientamenti, sia in ordine possibilità di configurare la delibera di approvazione del bilancio come implicita delibera di determinazione del compenso dell'amministratore, sia, più in generale, sulla stessa configurabilità di delibere assembleari implicite, ha rimesso gli atti al primo presidente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e il ricorso incidentale, proposti nei confronti della stessa sentenza debbono essere riuniti.

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione dell'art. 2364 c.c. e art. 2389 c.c., comma 1 nonchè difetto di motivazione, per aver la corte d'appello ritenuto fondata l'azione di responsabilità della società e infondata l'azione di danni da essi proposta sulla base del rilievo che sussisteva una giusta causa di revoca consistente nell'avere percepito compensi indicati soltanto nella delibera di approvazione del bilancio e non determinati con apposita delibera dell'assemblea. Osservano i ricorrenti che i compensi (pari a L. 85.180.000 per il M. e L. 63.180.000 per la V.), relativi a un rapporto in cui l'onerosità costituisce un elemento naturale, risultavano implicitamente deliberati con l'approvazione del bilancio e che ciò aveva evitato che gli amministratori fossero costretti a instaurare uno specifico giudizio per ottenerne il riconoscimento e la quantificazione. Contrariamente a quanto sostenuto dalla corte d'appello, la sentenza n. 3774/95 di questa corte, non costituirebbe un precedente contrario alla tesi da essi ricorrenti sostenuta, ma conterrebbe un mero obiter dictum, in quanto la decisione aveva ad oggetto il compenso per amministratori che svolgevano incarichi particolari. Per contro, in altre occasioni questa corte avrebbe affermato il principio per cui l'approvazione del bilancio in cui sia compreso un debito della società vale come ratifica dell'atto posto in essere dal falsus procurator. Comunque, la percezione di compensi effettivamente dovuti dalla società, anche se non previamente deliberati, non potrebbe giustificare la revoca degli amministratori.

2. Premesso che nella specie viene in considerazione la disciplina societaria anteriore al D.Lgs. n. 6 del 2003, come è stato ampiamente illustrato nell'ordinanza della prima sezione, sulla questione relativa all'ammissibilità che la delibera di approvazione del bilancio di società per azioni, contenente la voce "compensi degli amministratori", valga come implicita deliberazione ai sensi dell'art. 2389 c.c., comma 1 si sino formati nella giurisprudenza di questa corte due diversi orientamenti.

Secondo un primo orientamento, rappresentato dalla sentenza n. 3774 del 1995, pronunciata su un motivo di ricorso proposto nei confronti di sentenza che aveva dichiarato l'illegittimità della ratifica, mediante approvazione del bilancio, dei compensi che gli amministratori di una società per azioni si erano autodeterminati, senza preventiva delibera dell'assemblea (e pertanto con affermazioni che ne costituiscono la ratio decidendi e non mero obiter dictum), il compenso "può essere inserito in bilancio, in quanto sia stato deliberato dalla assemblea con un'autonoma decisione, che non può essere implicita nella approvazione del bilancio stesso." Di contro, con sentenza n. 2832 del 2001 è stato affermato che l'approvazione del bilancio nel quale figuri iscritta la voce relativa al compenso ha valore giuridico di approvazione e ratifica dell'operato dell'amministratore che si sia attribuito tale compenso senza che l'assemblea lo abbia previamente deliberato. L'approvazione del bilancio, infatti, costituirebbe manifestazione di volontà specificamente diretta all'approvazione di tale attribuzione, perchè non costituirebbe una mera presa d'atto di dati contabili, ma rappresenterebbe un atto di appropriazione del rapporto da parte della società e pertanto una ratifica. Affermando tale principio la sentenza richiama Cass. n. 6935/1983 la quale, pronunciando in una fattispecie in cui un soggetto poi nominato amministratore di una società di capitali, in epoca antecedente alla costituzione, aveva stipulato un contratto di locazione, ha ritenuto che la delibera di approvazione del bilancio, in cui sia incluso il debito per i relativi canoni, non costituendo una mera dichiarazione di scienza, nè un semplice atto unilaterale ed interno, ma un atto in cui rileva la volontà che sta alla, base della formazione della deliberazione stessa, ove sia provata la conoscenza dell'instaurazione del rapporto locativo da parte dell'assemblea, costituisce un atto di appropriazione di tale rapporto da parte della società e vale come ratifica dell'atto posto in essere da chi ha agito in nome della società stessa senza averne il potere.

Il principio affermato con la sentenza n. 2832 del 2001, è stato condiviso, in modo espresso e mediante rinvio esplicito, dalla successiva sentenza n. 28243 del 2005, e implicitamente da Cass. n. 11490 del 2007, che tuttavia ha negato che, allo scopo di valutare la possibilità di sanare l'autoattribuzione di compensi da parte dell'amministratore, non preventivamente deliberata dall'assemblea, mediante delibera di approvazione di bilancio, sia sufficiente l'affermazione del principio di diritto astratto di cui alla decisione del 2001, essendo necessario che in concreto siano indicati gli elementi probatori dai quali risulti che la specifica spesa era stata acquisita al bagaglio istruttorio della delibera relativa al bilancio.

La stessa duplicità di orientamenti evidenziata all'interno della giurisprudenza di legittimità si registra nella giurisprudenza di merito. La dottrina prevalente è favorevole all'indirizzo più restrittivo, pur non mancando autorevoli voci che ritengono che il problema non possa essere risolto in termini assoluti e astratti, dovendo in concreto verificarsi se, accanto alla dichiarazione di scienza di approvazione del bilancio, non si ponga anche una manifestazione di volontà dell'assemblea diretta a convalidare il comportamento illegittimo degli amministratori, desumibile dalla circostanza che della determinazione del compenso l'assemblea stessa abbia esplicitamente discusso e abbia quindi espresso un voto consapevole.

3. Le sezioni unite ritengono che debba essere preferito l'orientamento che ritiene necessaria l'esplicita delibera assembleare di determinazione dei compensi e che nega che tale delibera possa considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio.

E' utile premettere che il tema delle remunerazioni degli amministratoti delle società di capitali (che, ai sensi dell'art. 2389 c.c., comma 2 come modificato con il D.Lgs. n. 6 del 2003 possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall'attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione) è tra i più importanti nell'ambito delle problematiche del governo societario. Costituiscono conferma di tale rilievo l'intensa attività sul punto della Commissione europea (che ha approvato una comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo in data 21 maggio 2003, con la quale, tra l'altro, si sottolinea la necessità dell'approvazione preventiva della determinazione dei compensi da parte dell'assemblea e le raccomandazioni del 14 dicembre 2004, sui compensi degli amministratori delle società quotate e del 15 febbraio 2005, sugli amministratori non esecutivi e sui consiglieri di sorveglianza) e le recenti modifiche del Testo Unico sull'intermediazione finanziaria (cfr. D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 114 bis, introdotto con la L. n. 262 del 2005, art. 16 e ulteriormente modificato con il D.Lgs. n. 303 del 2006, art. 3, comma 9 sugli obblighi di informazione che debbono precedere la votazione dell'assemblea che determina i compensi basati su strumenti finanziari, tra l'altro, dei componenti del consiglio di amministrazione delle società quotate e degli emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante). Alla base delle richiamate iniziative appare evidente la ricerca di un equilibrio tra gli interessi dei soggetti che hanno compiti di direzione delle società e quelli degli azionisti, che porta a rendere sempre più puntuali e pregnanti le regole sull'informazione all'interno e all'esterno delle società e sulla trasparenza degli atti.

Venendo al merito della questione rimessa a queste sezioni unite, si deve innanzi tutto rilevare che, nel sistema normativo anteriore alle modifiche al c.c. introdotte con il D.Lgs n. 6 del 2003 (che, peraltro, sul tema di cui si tratta hanno avuto portata non decisiva), applicabile ratione temporis alla presente fattispecie, la disciplina di cui all'art. 2389 c.c. (dettata in continuità con l'orientamento legislativo tradizionale, risalente all'art. 154, n. 4 del codice di commercio del 1882) ha certamente natura imperativa e inderogabile, sia perchè, in generale, la disciplina della struttura e del funzionamento delle società regolari sono dettate (anche) nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività commerciale e industriale del Paese, sia perchè, in particolare, la loro violazione, in particolare la percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea, era prevista dall'art. 2630 c.c., comma 2, n. 1 (abrogato dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, art. 1) come delitto che non poteva certo essere scriminato dalla approvazione del bilancio successiva alla consumazione. E' pertanto evidente che la violazione dell'art. 2389 c.c., sul piano civilistico, da luogo a nullità degli atti di autodeterminazione dei compensi da parte degli amministratori per violazione di norma imperativa, nullità che, per il principio stabilito dall'art. 1423 c.c., non è suscettibile di convalida, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente (come, in materia societaria è invece previsto dagli artt. 23325 e 2379 c.c.).

Peraltro, dall'art. 2364 c.c. emerge con chiarezza che la legge considera le deliberazioni di approvazioni del bilancio (n. 1) e quelle di determinazioni dei compensi degli amministratori (n. 3) come aventi oggetti e contenuti diversi e distinti (Cass. n. 2672/1968), l'una essendo diretta a controllare la legittimità di un atto di competenza degli amministratori, "approvandolo" o non "approvandolo", l'altra avendo la funzione di "determinare" o "stabilire" (art. 2389 c.c.) il compenso. E poichè è certo che il bilancio in ogni caso contiene la posta relativa al compenso degli amministratori, a voler ammettere che la delibera di approvazione debba ritenersi come implicita determinazione del compenso, la norma di cui si tratta sarebbe del tutto inutile.

Peraltro, anche a voler ipotizzare l'ammissibilità di una ratifica tacita della (auto)determinazione del compenso da parte dell'amministratore, sarebbe necessaria la prova che, approvando il bilancio l'assemblea sia a conoscenza del vizio e abbia manifestato la volontà di far proprio l'atto posto in essere dall'organo privo di potere, non essendo invece sufficiente, in quanto circostanza non univoca, la generica delibera di approvazione.

Inoltre, dall'art. 2434 c.c. (vecchio testo) risulta che l'approvazione del bilancio non implica liberazione degli amministratori dalla responsabilità incorse nella gestione sociale, tra le quali può certamente essere compresa quella dell'autoattribuzione di compensi in mancanza di previa deliberazione dell'assemblea, fatta salva la possibilità che, con le forme (e quindi con deliberazione espressa) e le maggioranze previste dall'art. 2393 c.c., u.c., sia approvata la rinuncia all'azione di responsabilità.

4. Non appare idoneo a superare gli argomenti indicati il richiamo alla possibilità, sul piano generale, di ravvisare in una deliberazione dell'assemblea avente un determinato oggetto un'implicita approvazione di una deliberazione avente oggetto diverso.

Infatti, nel caso deciso dalla sentenza n. 6935/1983, già citata, l'affermazione secondo cui è possibile ritenere tacitamente ratificato, con l'approvazione del bilancio tra le cui poste sia compresa quella relativa al pagamento dei canoni, un contratto di locazione stipulato prima della costituzione della società da un soggetto nominato successivamente amministratore dell'ente, la ragione giustificatrice è stata rinvenuta nell'applicabilità anche in materia di persone giuridiche del principio secondo cui la ratifica del negozio concluso dal rappresentante senza potere può risultare anche da una tacita manifestazione di volontà, e consistere in atti o fatti che implichino necessariamente la volontà dell'interessato di far proprio il contratto. Peraltro, in dottrina si è sottolineato che nella specie più che di attribuzione di efficacia a un atto che, ex art. 1398 c.c., ne sarebbe privo, si dovrebbe parlare di appropriazione degli effetti di tale atto ai sensi dell'art. 2331 c.c..

Analoghe considerazioni possono essere fatte per quanto riguarda la sentenza n. 7296 del 1983, con la quale si è affermato che può essere (anche tacitamente) ' ratificato l'atto posto in essere dal rappresentante di un ente che abbia ecceduto i limiti delle facoltà conferitegli (nella specie, il procuratore di una società cooperativa aveva conferito ad un terzo un mandato eccedente i limiti dei suoi poteri ed estraneo all'oggetto sociale), con la rilevante specificazione che, tuttavia, per configurare la ratifica tacita è necessario che la volontà dell'assemblea sia accertata chiaramente, non essendo sufficiente l'iscrizione dell'obbligazione in bilancio o il suo pagamento in esecuzione dell'atto illegittimamente compiuto dal rappresentante (sulla base di quest'ultimo rilevo la corte ha confermato la sentenza con la quale i giudici di merito avevano escluso che potesse desumersi una volontà di ratifica dal solo fatto che la cooperativa aveva pagato parte del compenso al mandatario ed iscritto in bilancio il relativo esborso, poichè da ciò non risultava che l'assemblea avesse consapevolezza del contenuto del negozio, bensì esclusivamente di quella singola attività prestata dal terzo).

Con le sentenze n. 6203/1991 e n. 1292/1991, si è ritenuto, inoltre, che costituisce atto idoneo ad interrompere la prescrizione l'annotazione di un debito nel bilancio di una società di capitali, nel caso in cui tale annotazione sia accompagnata da tutti gli elementi specificativi dell'obbligazione (entità, causale, soggetto creditore), sulla base del rilievo che il riconoscimento del diritto non ha natura negoziale, nè carattere recettizio, ma richiede solo una manifestazione di consapevolezza dell'esistenza del debito.

Peraltro, poichè, come è stato osservato in dottrina, dall'art. 2423 bis c.c., n. 1, art. 2424 bis c.c., comma 3 emerge che debbono essere iscritti a bilancio non solo i debiti certi ma anche quelli probabili, la mera appostazione non può di per sè assumere valore univoco.

Infine, nel caso deciso dalla sentenza n. 4662 del 2001, si trattava di valutare se la nomina dell'amministratore, in sostituzione di quello venuto a mancare nel corso dell'esercizio, deliberata ai sensi dell'art. 2386 c.c., comma 1 dagli altri amministratori ed approvata dal collegio sindacale, potesse ritenersi implicitamente ratificata con una delibera con oggetto diverso ma avente come presupposto il conferimento della carica sociale. La soluzione positiva, tuttavia, ha valorizzato la circostanza che, comunque, si era determinato l'inserimento di fatto del preposto nella organizzazione sociale e ciò, alla stregua del principio affermato dalla sentenza n. 1925 del 1999 è sufficiente per rendere applicabile la disciplina dell'attività degli amministratori.

Affermazione di portata generale è stata fatta invece dalla sentenza n. 10895/2004, secondo la quale, poichè il bilancio ha la funzione di informare i soci e i terzi dell'attività svolta dagli amministratori attraverso la rappresentazione contabile dello stato patrimoniale della società e dei risultati economici della gestione, la delibera di approvazione non comporta automaticamente - in difetto di espressa previsione nell'ordine del giorno sul quale l'assemblea è stata convocata - l'approvazione anche degli atti gestori menzionati nella relazione che accompagna il progetto di bilancio.

Sulla base di tale principio è stata cassato la sentenza di merito che aveva annullato la delibera di approvazione del bilancio ritenendo erroneamente che in tal modo l'assemblea avesse inteso approvare anche l'atto di gestione (invalidamente compiuto dall'amministratore, che agendo in conflitto di interessi, aveva concesso in locazione un immobile appartenente alla società a favore di altra società di cui il medesimo era socio).

Più in particolare con la sentenza n. 13019/1995 si è affermato che la delibera con la quale l'assemblea di una società per azioni autorizza gli amministratori all'acquisto di azioni proprie non può ritenersi implicita o consequenziale a quella di approvazione del bilancio e pertanto, essa deve ritenersi invalida qualora sia stata assunta nonostante la mancata indicazione nell'ordine del giorno contenuto nell'avviso di convocazione dell'assemblea.

Dall'analisi della giurisprudenza di questa corte emerge, pertanto, non solo che non sussiste un orientamento univoco, ma, ancor prima, che non è possibile trarre dalle soluzioni affermate nelle singole fattispecie una regola o principio generale, perchè in tali soluzioni assumono rilievo esigenze e contenuti normativi diversi da quelli coinvolti dalla fattispecie di cui si tratta, nella quale, come già rilevato, viene in considerazione la violazione di norme imperative in materia di competenze degli organi sociali e a tutela dei diritti di informazione dei soci e dei terzi.

Una parte della giurisprudenza di merito e la prevalente dottrina, infine, hanno rilevato - e tale rilievo appare decisivo - che l'ammissibilità (di delibere tacite, nelle quali, cioè, la volontà dell'assemblea si manifesta per facta concludentia e) di delibere implicite (il cui contenuto presuppone necessariamente quello di distinte deliberazioni) si pone in diretto contrasto con le regole di formazione della volontà della società, in particolare con l'art. 2366 c.c. che afferma la necessità, salvo che la legge disponga diversamente (cfr. l'art. 2393 c.c., comma 2 in tema di azione sociale di responsabilità deliberata in sede di approvazione del bilancio), della previa indicazione nell'ordine del giorno degli argomenti sui quali deliberare, al duplice scopo di rendere edotti i soci circa gli argomenti sui quali essi dovranno deliberare, per consentire la loro partecipazione all'assemblea con la necessaria preparazione ed informazione, e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli assenti.

5. Non appare necessario, al fine di dirimere il contrasto rimesso a queste sezioni unite, accertare se la deliberazione di approvazione del bilancio, debba considerarsi una dichiarazione di scienza con la quale l'assemblea constata la corrispondenza a verità del documento predisposto dagli amministratori ovvero un atto in cui rileva la volontà di appropriazione dei rapporti giuridici sottostanti la rappresentazione contabile da parte della società (Cass. n. 2832/2001, 6935/1983).

Infatti, il bilancio è certamente (Cass. n. 10895/2004, 23976/2004) un prospetto contabile rappresentativo dello stato patrimoniale della società e dei risultati economici della gestione, redatto con la funzione di informare soci e terzi della attività svolta dagli amministratori - al fine di rendere noto ai primi la esistenza di utili e perdite e agli altri quale sia la posizione economica della società, per l'eventuale credito concedibile, e, pertanto, il fine informativo, interno ed esterno, ne costituisce la funzione essenziale perseguita dal legislatore nel prescrivere i criteri di redazione del medesimo (in particolare quello di chiarezza, che non può ritenersi subordinato a quello di verità: Cass. sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27).

Da ciò deriva, da un lato, la distinzione tra approvazione del bilancio ed eventuale approvazione degli atti gestori sottostanti, e dall'altro, che, affinchè l'assemblea possa deliberare contestualmente in ordine ai due diversi oggetti è necessario che tali oggetti siano chiaramente indicati nella convocazione e nel relativo ordine del giorno, ovvero, in caso di assemblea totalitaria, su tali oggetto vi sia stata apposita discussione e specifica votazione.

Facendo applicazione delle osservazioni e dei rilievi in precedenza formulati al caso di specie deve pertanto affermarsi che l'approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera di determinazione del compenso richiesta, in caso di omessa previsione statutaria, dall'art. 2389 c.c., comma 1.

Può tuttavia ammettersi che accanto (e oltre) all'approvazione del bilancio, avente la funzione sua propria di accertamento della regolarità della rappresentazione contabile, l'assemblea possa anche adottare la delibera di determinazione del - compenso degli amministratori, se sussista la prova che l'assemblea convocata soltanto per l'esame e l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, abbia anche espressamente discusso e approvato una specifica proposta di determinazione dei compensi degli amministratori.

6. Con il secondo motivo, il solo M., deduce violazione dell'art. 2389 c.c., comma 2, e art. 2099 c.c..

Il compenso di direttore di magazzino sarebbe dovuto anche se era stato revocato dalla carica di amministratore, trattandosi di incarico autonomo. La corte d'appello ha ritenuto che la revoca dalla carica comportasse il venir meno anche delle cariche particolari attribuite ai sensi dell'art. 2389 c.c., comma 2, ma il ragionamento sarebbe errato trattandosi di funzioni del tutto estranee ed indipendenti da quelle attinenti al rapporto gestorio. La carica di direttore del magazzino comporta infatti il possesso della laurea in farmacia e la stessa Copharm, almeno in un'occasione, aveva qualificato il M. come dipendente della società e non come amministratore. Di qui l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata e la violazione dell'art. 2389 c.c., comma 2, che prevede il diritto ad una rimunerazione per le attività estranee all'amministrazione svolte da chi ha il ruolo di gestore della società, e dell'art. 2099 c.c., da cui discende la normale e necessaria onerosità dello svolgimento di prestazioni lavorative.

Il motivo non è fondato.

La corte d'appello ha confermato il rigetto della domanda del M. diretta a ottenere la corresponsione del compenso per l'attività di direttore del magazzino dell'impresa farmaceutica sul duplice rilievo che, trattandosi di una carica particolare attribuita allo stesso in quanto amministratore, ai sensi dell'art. 2389 c.c., comma 2 il titolo sul quale si basava l'attività svolta è stato travolto dalla sopravvenuta inefficacia della carica di amministratore, a seguito della revoca, e che il particolare incarico era stato conferito dal coniuge coamministratore senza l'osservanza della procedura prescritta dalla legge.

A parte che il ricorrente non ha censurato questo secondo rilievo, che costituisce un'autonoma ratio decidendi di per sè idonea a giustificare la decisione impugnata, deve rilevarsi che la qualificazione giuridica dell'attività di direttore del magazzino come carica particolare attribuita al M. in quanto amministratore non ha formato oggetto di specifica critica, essendosi il ricorrente limitato ad affermare l'estraneità delle funzioni di cui si tratta alle funzioni gestorie (il che è cosa ovvia, non potendosi, in caso contrario, neppure ipotizzare un incarico ulteriore rispetto alle funzioni di amministratore) e a contrapporre la diversa qualificazione secondo la quale si tratterebbe di attività svolta in quanto dipendente della società.

7. Assorbito dal rigetto del primo motivo del ricorso principale il primo motivo del ricorso incidentale, proposto in via subordinata e condizionata, con il quale Copharm si duole che la corte d'appello abbia omesso di valutare gli ulteriori gravi elementi di responsabilità degli ex amministratori dedotti con l'atto introduttivo (in particolare la violazione degli artt. 2446 e 2447 c.c. per non aver convocato l'assemblea degli azionisti per le delibere conseguenti alle perdite ed alla riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale e la dolosa sopravvalutazione del magazzino) deve essere esaminato il secondo motivo con il quale si lamenta che la corte d'appello abbia respinto l'appello incidentale, confermando la statuizione del tribunale secondo cui non era ammissibile la domanda di danni relativa all'accertamento fiscale conseguente al mancato riconoscimento tra i costi dei compensi percepiti dagli ex amministratori, in quanto non compresa tra le conclusioni di cui all'atto di citazione, richiamate in sede di precisazione delle conclusioni definitive. Tale domanda, sostiene la ricorrente incidentale, era stata oggetto di deduzioni istruttorie e di produzioni documentali e poi di c.t.u.; era stata diffusamente trattata sia nella prima che nella seconda comparsa conclusionale di primo grado. La corte d'appello avrebbe omesso di considerare che l'interpretazione del contenuto della domanda va effettuato con riferimento all'insieme delle deduzioni e difese svolte, anche quando tali deduzioni non trovino corrispondenza nelle conclusioni formalmente proposte.

Il motivo non è fondato.

La corte d'appello ha correttamente individuato l'oggetto delle domande avanzate dalla Copharm, avendo fatto riferimento all'atto introduttivo del giudizio, dal quale esulava ogni riferimento ai danni conseguenti all'accertamento tributario, e alle conclusioni definitive, con le quali sono state richiamate esclusivamente le conclusioni rassegnate con l'atto di citazione, con ciò escludendo dall'oggetto del giudizio ogni altra voce di danno che pur avesse formato oggetto di attività assertiva o probatoria svolta in corso di causa.

In conclusione, debbono essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale. La diversa rilevanza ed entità della reciproca soccombenza giustifica una compensazione delle spese limitata alla metà di quelle complessive.

P.Q.M.

P.Q.M.

La corte, riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa fino alla metà le spese di questo giudizio e condanna i ricorrenti al pagamento della festante metà che si liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli interessi come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezioni unite, il 20 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2008