Cassazione civile, SEZIONE I, 12 luglio 2002, n. 10144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Rosario      DE MUSIS       - Presidente -
Dott. Giovanni     LOSAVIO        - Consigliere -
Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO     - Consigliere -
Dott. Donato       PLENTEDA       - Consigliere -
Dott. Walter       CELENTANO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BANCA INTESA SPA Società nei precedenti gradi di giudizio denominata
BANCO AMBROSIANO VENETO SPA, in persona dell'Amministratore  Delegato
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DI S. GIACOMO  18,
presso  l'avvocato  LUIGI  FLAUTI,  che  la  rappresenta  e   difende
unitamente all'avvocato GASPARE ROBINO, giusta procura  speciale  per
Notaio D'Avino Salvatore di Milano del 17.4.2000 REP 166029;
- ricorrente -
contro
DE ANGELI FRUA SPA, FALLIMENTO INIZIATIVE INDUSTRIALI SPA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 524-99 della Corte d'Appello di MILANO, emessa
il 02-12-98;
udita la relazione della causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del
19-03-2002 dal Consigliere Dott. Walter CELENTANO;
udito  per  il  ricorrente,  l'Avvocato  ROBINO,   che   ha   chiesto
l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del  Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
Umberto APICE che ha concluso per l'accoglimento del  secondo  motivo
del ricorso. Assorbimento nel resto.

Fatto

Con deliberazioni in data 10.07.1991, iscritte presso il tribunale di Milano il successivo 3.10.1991, l'assemblea della S.p.a. De Angelis Frua deliberò il mutamento dell'oggetto sociale.
Con una comunicazione consegnata a mani il 18.10.1991 e inviata per posta lo stesso giorno e ricevuta dalla società il successivo 19.10, il Banco Ambrosiano Veneto, creditore della S.p.A. Iniziative Industriali con garanzia pignoratizia costituita su 1.600.000 azioni ordinarie della De Angelis intestate alla debitrice, dichiarò di esercitare, per quanto fosse occorso anche in via surrogatoria, il diritto di recesso ai sensi dell'art. 2437 c.c.
Con sentenza in data 6.10.1992 il tribunale di Milano dichiarò il fallimento della S.p.a. De Angelis.
Il Tribunale di Monza, con sentenza del 24.12.1992, dichiarò il fallimento della S.p.a. Iniziative Industriali.
La curatela del fallimento della S.p.a. Iniziative Industriale e il Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. richiesero di essere ammesse al passivo del fallimento della S.p.a. Iniziative Industriali, rivendicando, in conseguenza dell'esercitato diritto di recesso, il proprio credito di rimborso di n. 1.600 azioni della Soc. De Angelis Frua che il Banco aveva ricevuto in pegno dalla Società azionaria Sasea Italia, divenuta poi
la Soc. Iniziative Industriali, poi dichiarata fallita.
Il giudice delegato non ammise al passivo tali crediti con la motivazione "che il recesso della prima non era stato esercitato in tempo utile" e che "il recesso esercitato dal Banco Ambrosiano Veneto era da ritenersi invalido stante il carattere personale del diritto di recesso, che ne escludeva la possibilità di esercizio da parte del creditore pignoratizio senza l'espresso consenso del debitore, in quanto il recesso stesso spogliava il debitore della sua qualità di socio".
Le società istanti proposero opposizione allo stato passivo, alle quali la curatela resistette.
Il tribunale di Milano, pronunciando nei giudizi riuniti, dichiarò cessata la materia del contendere tra il fallimento della S.p.a. Iniziative Industriali e il fallimento della S.p.a. De Angelis Frua e rigettò l'opposizione proposta dal Banco Ambrosiano Veneto, il quale propose appello, riproponendo le domande respinte. Al gravame resistette
la S.p.a. De Angelis Frua in liquidazione, che, ritornata in bonis nel corso del giudizio, si costituì in proprio.
La Corte di Appello territoriale, con sentenza emessa il 16.03.1999, così provvide, rigettando il gravame:
a) confermò l'invalidità del recesso esercitato dal Banco quale creditore pignoratizio delle azioni De Angelis Frua date in pegno dal suo debitore Soc. Iniziative Ind.li, negando in termini generali la legittimazione del creditore pignoratizio al recesso; giudicò infondata la tesi che la dichiarazione di recesso avrebbe dovuto ritenersi manifestata dal socio S.p.A. Iniziative Industriali, rilevando che la dichiarazione stessa proveniva non dal socio suddetto bensì dal curatore del suo fallimento.
b) ritenne altresì infondato il motivo di appello che prospettava la legittimità del recesso del Banco in via surrogatoria ex art.
2900 c.c., escludendo l'ammissibilità dell'azione in relazione ad atti di esercizio di potere cosiddetti "a struttura alternativa" nel senso che al titolare era dato di scegliere tra due modi, appunto alternativi, di tutela del proprio interesse.
Avverso tale sentenza
la Banca Intesa S.p.a., nuova denominazione del Banco Ambrosiano Veneto, ha proposto ricorso per cassazione.
Gli intimati - S.p.a. De Angelis Frua e Curatela del fallimento S.p.a. Iniziative Industriali - non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

Con tre motivi la banca ricorrente ha denunciato:
1 - in ordine alla negata validità della dichiarazione di recesso dalla De Angelis Frua S.p.a., espressa dal Banco Ambrosiano Veneto quale creditore pignoratizio, per asserito difetto della sua legittimazione all'esercizio del recesso di cui all'art. 2437 cod.
civ., "la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e in particolare degli artt. 2437, 2352 e 2795 c.c. nonché l'insufficiente e comunque errata e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della ratifica della dichiarazione di recesso, intervenuta ad opera del debitore costituente il pegno delle azioni (
la S.p.a. Iniziative Industriali) e per esso, da parte della curatela del suo fallimento";
2 - in ordine alla negata validità dell'esercizio del diritto di recesso in via surrogatoria, "la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e in particolare degli artt. 2900 e 2437 c.c. e comunque errata e contraddittoria motivazione su punto decisivo";
3 - in ordine all'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale il diritto di recesso sarebbe stato comunicato oltre il termine di cui all'art. 2437 comma secondo c.c., questione non disaminata dalla Corte di merito, perché ritenuta assorbita, "l'omessa motivazione su punto decisivo".
Il primo motivo non ha fondamento.
La Corte di merito, argomentando sulla base della norma dell'art.
2792 c.c. e del coordinamento secondo criteri di razionalità logico - sistematica della norma dell'art. 2352 con l'altra dell'art. 2437 c.c., ha giustamente negato la legittimazione del Banco Ambrosiano Veneto, quale creditore pignoratizio delle azioni, all'esercizio del recesso ex art. 2437 c.c..
Deduce la ricorrente, denunciando l'erroneità del giudizio, che
la Corte abbia "omesso di dare il giusto rilievo alla norma dell'art.
2352 c.c. e alla sua ratio, costituendo essa il riconoscimento, da parte del legislatore, dell'esigenza del creditore pignoratizio di tutelare il valore della garanzia costituita da partecipazioni di capitale, esigenza prevalente rispetto a quella del socio".
Richiama la pronuncia di questa Corte n. 2698 del 1961 per il principio che "il fondamento della previsione" (contenuta nella norma circa l'attribuzione al creditore pignoratizio del diritto di voto) è l'attribuzione al creditore pignoratizio di una tutela del suo diritto di garanzia in coerenza con la natura di tale diritto e del normale intento pratico delle parti. E ciò ammesso, deve escludersi carattere di eccezionalità della disposizione".
E ancora deduce che "l'attribuzione per ogni delibera di qualsivoglia natura e contenuto del diritto di voto al creditore pignoratizio, lo scopo di tutelare il valore del suo diritto reale di garanzia e il preminente carattere patrimoniale del diritto di partecipazione sociale nella società commerciale di capitali costituiscono i parametri interpretativi in forza dei quali non si può non attribuire al creditore pignoratizio la legittimazione ad esperire la dichiarazione di recesso di cui all'art. 2437 c.c., perché ritenere, al contrario, che il diritto di recesso non possa essere esercitato dal creditore pignoratizio e che debba restare nella discrezionalità del socio sarebbe, da una parte, in palese contrasto con la tutela del diritto reale di garanzia riconosciuta al creditore pignoratizio e sarebbe, d'altra parte, contraddittorio con la facoltà spettante allo stesso creditore pignoratizio di deliberare lo stesso scioglimento del rapporto sociale; sarebbe, infine, in contrasto con il fatto che attribuire il diritto di voto per ogni delibera al creditore pignoratizio a tutela del suo diritto reale di garanzia si risolverebbe in una vuota proposizione, che resterebbe senza contenuto se non si riconoscesse che con il diritto di voto spetta anche quanto con tale diritto è in connessione".
1. Un solo argomento sembra, prima facie proponibile, a sostegno della tesi che, nell'ipotesi dell'art. 2352 c.c., la legittimazione al recesso spetti al creditore pignoratizio: potrebbe, infatti, sostenersi che rispetto alle deliberazioni previste dall'art. 2437 c.c., alle quali, come ad ogni altra perché la norma non distingue, è ammesso al voto il creditore pignoratizio, dovrebbe ritenersi che la tutela della garanzia pignoratizia e il potere di operare, attraverso il voto, per la conservazione del valore delle azioni, non possano esaurirsi nella manifestazione del voto di dissenso perché questo non sarebbe sufficiente alle ragioni di tutela del creditore pignoratizio, alle quali l'attribuzione del diritto di voto è strumentale. Ma è argomento soltanto suggestivo, irrilevante e di nessun peso perché in senso contrario militano considerazioni di ordine teorico e sistematico relative sia alla ratio dell'attribuzione del voto sia alla configurazione del recesso e del relativo significato dell'esercizio del diritto, nonché il dato normativo.
È vero che la norma dell'art. 2352 c. c. crea una interferenza della garanzia pignoratizia del creditore con le ragioni societarie dell'azionista debitore costituente del pegno, e tuttavia la tutela del creditore non può non essere ricercata secondo quella che viene definita la "prospettiva dominicale", ossia in coerenza con le sue ragioni di garanzia reale, all'interno del rapporto che la costituzione del pegno stabilisce tra esso creditore e il debitore e dunque nella disciplina normativa dello specifico diritto reale di garanzia, piuttosto che nelle norme e negli istituti che riguardano la partecipazione societaria del debitore. Soccorre allora, ai fini della tutela, e quale mezzo all'uopo apprestato dalla stessa disciplina codicistica del pegno, la vendita anticipata della cosa di cui all'art. 2795, cui già
la Corte di merito si è riferita, mezzo di tutela che può essere visto in parallelo con la facoltà di recesso, alla quale viene comunemente assegnata la natura di "presidio di tutela delle minoranze azionarie e delle ragioni di partecipazione del singolo alla società e delle condizioni del proprio investimento attraverso la possibilità di "recuperare il capitale investito" in presenza di quei significativi mutamenti indicati nell'art. 2437 c.c., sicché resterebbe esclusa, proprio sul fondamento di tale parallelismo di tutela attraverso mezzi rispettivamente apprestati al creditore dalla disciplina del pegno e al debitore azionista dalla disciplina societaria, che l'attribuzione del diritto di voto al creditore pignoratizio debba comportare l'attribuzione allo stesso anche del diritto o facoltà di recesso.
2. È altresì vero che il voto è attribuito al creditore pignoratizio nell'interesse specifico di questo in funzione di una tutela conservativa del valore patrimoniale delle azioni date in pegno, e tuttavia rileva che nella norma dell'art. 2352 c.c. non vi sia deroga alcuna alla disciplina del diritto reale di pegno qual è configurata dalle norme degli artt. 2784 e ss. c.c., sicché l'attribuzione del diritto di voto al creditore non può non coordinarsi con tale disciplina. La norma non esprime, dunque, un trasferimento della posizione societaria in capo al creditore pignoratizio ma attribuisce a questo, con disposizione peraltro derogabile dalle parti (il che significativamente attenua la forza del termine spetta adoperato dal legislatore), il diritto di voto in funzione semplicemente conservativa della res (del valore delle azioni: in dottrina è stato giustamente osservato che l'oggetto "sostanziale" del pegno di azioni è costituito non dai diritti facenti parte o derivanti dalla partecipazione societaria o dai beni ricompresi nel patrimonio sociale bensì dal valore dei titoli dati in garanzia), donde il principio giurisprudenziale (v. per quest'ultima, la sentenza n. 7614 del 1996 di questa Corte, in tema di usufrutto di quota, ma il principio di diritto è comune al pegno) secondo il quale il creditore esercita si un diritto proprio ma nell'esercizio dello stesso egli deve astenersi da comportamenti che possano arrecare pregiudizio al titolare delle azioni e in particolare da modi di esercizio del diritto di voto che possano compromettere la conservazione del valore economico della partecipazione societaria (le c.d. ragioni societarie essendo salvaguardate in ogni caso dalla validità del voto espresso in assemblea e dalla validità della deliberazione che l'assemblea abbia adottato con il concorso, quale che sia stato, del voto del creditore pignoratizio).
L'attribuzione del diritto di voto in funzione, come si è detto, conservativa del valore delle azioni date in pegno, e degli altri diritti sociali minori (richiesta di convocazione dell'assemblea, di informativa nello svolgimento di essa, di impugnazione delle deliberazioni invalide - per quest'ultimo vedi Cass. n. 3422 del 1977) dei quali pure si ammette l'esercizio da parte del creditore pignoratizio, segna dunque il limite della interferenza dinanzi rilevata.
Tali considerazioni di ordine sistematico, ricostruttive della fattispecie in coerenza con il dato normativo, impongono di porre in primo piano quest'ultimo, e segnatamente la norma dell'art. 2790 c.c.
circa l'obbligo del creditore pignoratizio di custodire la cosa data in pegno e la sua responsabilità, secondo le regole generali, per la perdita e il deterioramento della cosa stessa.
Si profila del tutto evidente l'impossibilità giuridica, sul piano normativo e sistematico, di configurare in capo al creditore pignoratizio di cui all'art. 2352 c.c. un potere di disposizione in ordine alla partecipazione societaria del suo debitore.
3. Il recesso di cui all'art. 2437 c.c..
In nessun modo si dubita - e
la Corte di merito lo ha già correttamente rilevato - che il diritto di recesso abbia un contenuto patrimoniale. Una volta esercitato, si traduce, assume, infatti, quella diversa configurazione di diritto alla liquidazione delle azioni, al rimborso del valore di queste. Ma tale contenuto patrimoniale non esaurisce la natura del diritto di recesso perché questo, quale tipica e del tutto particolare (nell'ambito del vincolo sociale) situazione soggettiva attiva, funzionale alla tutela del socio dissenziente in ordine al deliberato mutamento delle originarie condizioni, si ricollega pur sempre alla partecipazione societaria lato sensu e alla complessità inscindibile della posizione che al socio deriva dalla titolarità dell'azione. Tale diritto di recesso si configura, dunque, come diritto a contenuto dispositivo, il cui aspetto patrimoniale non è limitato al credito che nasce in conseguenza del suo esercizio, ma investe l'intera, complessa, situazione soggettiva derivante dalla partecipazione societaria.
L'esercizio del recesso è dunque atto di disposizione e in quanto tale, non può non restare in capo al socio, come atto che naturalmente rientra nelle sue facoltà in ordine alla partecipazione societaria, anche allorché il socio medesimo abbia costituito in pegno le azioni delle quali sia titolare. In tal senso può anche parlarsi di "personalizzazione" (nel senso, appunto, che resti comunque riservata al socio) della facoltà o diritto di recesso.
I limiti normativi delle attribuzioni del creditore pignoratizio, quali emergono dalle norme degli artt. 2352, 2790 c.c., e il significato e le conseguenze societarie dell'esercizio della facoltà di recesso ex art. 2437 c.c. si pongono dunque di ostacolo a ritenere che la costituzione del diritto di pegno sulle azioni implichi il trasferimento in capo al creditore pignoratizio della disponibilità della partecipazione societaria del suo debitore e, a monte, delle scelte in ordine alla stessa (mantenere o non il vincolo associativo in presenza dei deliberati mutamenti dell'oggetto sociale o del tipo societario etc., in relazione alle ragioni e alle valutazioni relative all'investimento del suo capitale).
Concorda sul punto la dottrina, anche quella che la norma dell'art. 2352 c.c. ricostruisce nella prospettiva societaria, piuttosto che nell'ottica della garanzia pignoratizia, e considera che "l'attribuzione al creditore sarebbe in contrasto con il divieto di uso della cosa, non necessario alla sua conservazione (art. 2792 c.c.), norma questa che è derogata dall'art. 2352 soltanto per il diritto di voto, ferma la non estensibilità al diverso atto di disposizione del bene, qual è il recesso" (ciò indipendentemente dalle ragioni che, sul piano strettamente esegetico nonché su quello della ricostruzione logico - sistematica, altra dottrina ricava dall'aver la norma stessa dell'art. 2352 c.c. mantenuto in capo al debitore pignoratizio la titolarità del diritto di opzione, ossia il "diritto di decidere in ordine alle modifiche quantitative" della propria partecipazione societaria).
4. In ordine alla c.d. "ratifica" da parte del curatore fallimentare della S.p.a. Iniziative Industriali, socio azionista della Soc. De Angelis Frua, si osserva quanto segue.
Sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente deduce che muovendo dal riconoscimento, cui pure i giudici dell'appello erano pervenuti, della natura patrimoniale dei diritti connessi alla partecipazione societaria in una società di capitali, si sarebbe dovuto conseguentemente riconoscere anche "che il curatore del fallimento era pienamente legittimato ad esprimere la volontà della società con riferimento, appunto, ai diritti di carattere patrimoniale", mentre sotto il profilo della denunciata inadeguatezza della disamina sul punto, la stessa ricorrente deduce che sia stata sostanzialmente trascurata da quei giudici, proprio a cagione dell'errore di diritto per il profilo della provenienza della dichiarazione, la circostanza, "di per sè determinante", della "ratifica" da parte del debitore pignoratizio e, per esso, da parte del curatore del suo fallimento - ratifica avente efficacia retroattiva ex art. 1399 c.c..
Avendo
la Banca ora ricorrente dedotto a motivo di gravame (v. la sentenza impugnata, nella parte in cui riassume le censure sul punto della legittimazione al recesso, segnatamente sub lett. I) che "lo stesso socio azionista S.p.a. Iniziative Industriali aveva manifestato la volontà di recedere a mezzo del proprio creditore pignoratizio", la Corte di merito ha rilevato che "tale riconoscimento non proveniva dal socio Iniziative Industriali, ma dal curatore del suo fallimento" e a tale rilievo ha assegnato valore (negativo) decisivo e assorbente, omettendo ogni altra considerazione sul punto.
Il rilievo in questione, che evidentemente presuppone un (inespresso) giudizio negativo della stessa Corte circa la possibilità che la suddetta dichiarazione "di riconoscimento" proveniente dal curatore fallimentare del socio valesse a conferire efficacia giuridica alla dichiarazione di recesso manifestata dal Banco creditore pignoratizio, la cui legittimazione diretta era stata già esclusa, non tiene conto della circostanza che, una volta intervenuto il fallimento (s'intende, a cagione della sua insolvenza quale imprenditore) del socio azionista, non altri che il curatore sarebbe stato legittimato all'esercizio dei diritti e delle facoltà a contenuto patrimoniale che già spettavano al socio, dovendosi gli stessi, per di più, essere acquisiti al procedimento concorsuale.
Ma, riconosciuto tale errore e rilevata anche l'effettiva, e ad esso conseguente, manchevolezza della disamina condotta dai giudici dell'appello, che non è stata estesa a tutti i profili di diritto sotto i quali l'intervenuta dichiarazione di ratifica, la sua rilevanza giuridica e la sua efficacia retroattivamente sanante erano state prospettate dalla Banca appellante, può procedersi in questa sede, sul fondamento della norma dell'art. 384 comma 2 c.p.c. e sulla base delle stesse prospettazioni della ricorrente, all'integrazione della motivazione, atteso che una più esauriente valutazione in termini di diritto della suddetta dichiarazione di "ratifica" non conduce a decisione diversa da quella alla quale è pervenuta
la Corte di merito, nel senso della inefficacia della ratifica stessa, e nulla toglie alla conformità al diritto della decisione finale di rigetto dell'opposizione.
La norma dell'art. 384 comma 2 c.p.c., intesa secondo la sua ratio, può infatti consentire che resti superata la necessità dell'annullamento della sentenza nell'ipotesi in cui, riconsiderati quei profili di diritto di un fatto o di un atto o di un negozio giuridico dedotto dalla parte che il giudice di merito abbia trascurato, e in tal modo integrata la motivazione della sentenza, non debba restare mutata la decisione finale raggiunta dal giudice di merito circa la rilevanza o la irrilevanza giuridica nel medesimo fatto o atto o negozio giuridico.
Può infatti ritenersi contrario a detta ratio della norma che per la disamina dei suddetti profili di diritto debba disporsi l'annullamento con rinvio anche allorché sia prefigurabile un esito di conferma, nella sede di rinvio, della sentenza sul medesimo punto, in altri termini, allorché la più completa disamina della fattispecie - ritenuta questa nella configurazione in cui è stata dedotta e non contrastata o in cui è stata accertata nel giudizio di merito - non debba portare, in ordine alla stessa, a conseguenze decisorie diverse da quelle che il giudice di merito ha raggiunto pur nella sua incompleta disamina.
Nel caso di specie, risulta di immediata evidenza che le prospettazioni della ricorrente, già di per sè considerate, non arrecano sostegno alcuno alle tesi svolte nel ricorso sul punto specifico del preteso riconoscimento di una qualche efficacia giuridica, in forza della successiva dichiarazione di "convalida e ratifica" (in ogni caso esulante dalla fattispecie tipica configurata dagli artt. 1398 e 1399 c.c. atteso che la ricorrente ha sempre dedotto, nei gradi di merito e con il ricorso in esame, di aver manifestato il recesso in proprio, nella sua qualità di creditore pignoratizio delle azioni: v. pag. 3 del ricorso) proveniente dal curatore fallimentare, alla dichiarazione di recesso.
Deve infatti considerarsi a) che, pur ricondotto il caso di specie, nei termini nei quali è enunciato dalla ricorrente, ad una situazione nella quale avrebbe potuto operare il principio generale della efficacia mediante ratifica successiva della dichiarazione negoziale resa dal soggetto non legittimato, non è dubbio che detta ratifica o approvazione debba intervenire tempestivamente allorché un termine di decadenza sia previsto per la dichiarazione è il caso del recesso ex art. 2437.c.c. il cui termine è di decadenza (v.
Cass. n. 5173 del 1999 e n. 12 del 1998, mentre per il principio del completamento della fattispecie entro il termine di decadenza v.
Cass. n. 249 del 1989 e le altre conformi in essa richiamate) e per il caso di specie la stessa ricorrente ha dedotto, con il ricorso, che le deliberazioni 10.07.1991 della Soc. De Angelis Frua erano state iscritte presso il Tribunale di Milano il 3.10.1991, che la sua dichiarazione di recesso era stata inoltrata il 18.10.1991 mentre la dichiarazione di c.d. "ratifica" da parte, del curatore fallimentare della Soc. Iniziative Industriali era stata resa il 31.03.1993, allorché il medesimo curatore aveva presentato la domanda di ammissione al passivo nel fallimento DAF per il credito corrispondente al valore delle azioni. E può ancora rilevarsi, b) che al momento in cui fu resa, tale dichiarazione del curatore fallimentare del socio azionista non avrebbe mai potuto concorrere alla produzione degli effetti di cui all'art. 2437 c.c. a cagione del già intervenuto (il 6.10.1992, secondo quanto la ricorrente ha indicato: pag. 3 del ricorso) fallimento della S.p.a. De Angelis Frua - situazione sopravvenuta, questa, che imprimeva tutt'altra sorte e destinazione al patrimonio di quest'ultima sociètà e che anche poneva limiti intrinseci all'eventuale efficacia retroattiva della dichiarazione di ratifica.
Da tutto quanto considerato in ordine al (la facoltà di) "recesso deriva l'infondatezza del secondo motivo di ricorso.
La Corte di merito ha infatti esattamente individuato i limiti dell'esercizio del potere surrogatorio ex art. 2900 c.c..
A) per il caso di specie non risultano dedotti nei gradi di merito comportamenti del socio azionista S.p.a. Iniziative Industriali diversamente interpretabili, e dunque assume rilievo decisivo la considerazione che, in via generale, l'astensione da ogni tipo di iniziativa, il silenzio del socio circa ogni sua determinazione di seguito ad una deliberazione societaria avente il contenuto indicato dalla norma dell'art. 2437 c.c., non potrebbe essere interpretato, nella sua semplice oggettività di comportamento omissivo in astratto riferibile all'alternativa di ritiro dalla partecipazione societaria, come inerzia nell'esercizio del recesso, onde dell'esercizio in via surrogatoria della relativa facoltà difetterebbe il primo presupposto.
B) La norma dell'art. 2900 c.c. consente l'esercizio del potere surrogatorio - il cui fine è, nel sistema dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, quello di recuperare al patrimonio del debitore somme di danaro, beni o altre utilità economico - giuridiche che il debitore stesso trascuri di farvi rientrare omettendo l'esercizio dei relativi diritti ed azioni - soltanto in relazione a diritti ed azioni che abbiano contenuto patrimoniale, sempre che non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare. Resta dunque estraneo all'ambito oggettivo del potere surrogatorio l'esercizio dì diritti o facoltà che, ricollegandosi all'autonomia che l'ordinamento assicura al soggetto, implicano il disporre di una situazione giuridica soggettiva.
In via generale l'esercizio del potere surrogatorio ex art. 2900 c.c. è escluso per quei diritti "qualificati come connessi con una qualità del loro titolare, in considerazione della quale sarebbe attribuito a quest'ultimo il potere di risolvere a proprio favore una situazione di concorso con altri soggetti", configurazione questa che si attaglia ai diritti connessi allo status di socio, ed altresì, per quel che qui rileva considerare, in relazione all'esercizio di quei diritti il cui esercizio comporti e si risolva "in una modificazione che incida sul contenuto di una situazione o di un rapporto giuridico, ovvero sulla relativa titolarità".
Proprio l'esercizio in via surrogatoria del potere di disposizione, quale il recesso ex art. 2437 c.c. implica, in relazione al carattere personale delle valutazioni che l'azionista è chiamato a compiere di fronte alla deliberazione indicata nella stessa norma dell'art. 2437 c.c., in ordine allo status di socio e al contenuto e al significato della partecipazione societaria, non può essere riconosciuto al creditore pignoratizio di cui all'art. 2352 c.c. se non violando i limiti normativi del potere surrogatorio, dinanzi individuati.
Tali conclusioni negative sono condivise dalla dottrina, alla quale si debbono le delimitazioni del potere surrogatorio dinanzi ricordate e che non trascura di richiamare, ancora attualmente e nella generalità delle trattazioni sulla materia, la sentenza 7.12.1927 di questa Corte (l'unico precedente rinvenibile sulla questione, almeno in sede di legittimità) secondo la quale "il diritto di recesso da una società anonima è strettamente personale al socio e pertanto non può essere esercitato in via surrogatoria, ex art. 1234 c.c., dal creditore particolare di lui".
Occorre aggiungere, venendone sollecitazione dal contenuto patrimoniale del diritto di recesso ex art. 2437 c.c., che se pur l'intervento del creditore in via surrogatoria deve ammettersi per quei diritti che il socio possa vantare nei confronti della società e nel cui esercizio si ravvisi "una pretesa a struttura creditoria", è evidente che debba trattarsi di diritti patrimoniali già acquisiti al socio, sicché, nel caso del recesso in questione, l'esercizio del potere surrogatorio, escluso per la facoltà di recesso, sarebbe ammissibile soltanto, sulla base della dichiarazione in tal senso del socio, per il conseguimento del rimborso delle azioni, diritto che, appunto, può, esso si, risultare configurato come a (semplice) struttura creditoria. Nella giurisprudenza di questa Corte è ricorrente l'affermazione che "per l'esperimento dell'azione surrogatoria non basta l'interesse generico che al creditore deriva dalla norma generale dell'art. 2740 c.c., ma occorre un interesse specifico determinato dal pregiudizio che alle ragioni del creditore può derivare dall'inerzia o dalla negligenza del debitore rispetto all'esercizio di diritti che allo stesso debitore competono nei confronti di terzi", ov'è messa in evidenza proprio la "struttura creditoria", nel senso dinanzi delineato, del diritto e della pretesa azionabile.
Per tali ragioni di infondatezza del primo e del secondo motivo, il ricorso va rigettato, restando assorbito - come già nella sentenza impugnata - il terzo motivo (le questioni in esso riproposte circa l'affermata tempestività della dichiarazione di recesso).
Non è luogo a pronuncia sulle spese.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso addì 19 marzo 2002 nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte di Cassazione.