Cassazione civile, SEZIONE I, 26 ottobre 1995, n. 11151


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott.    Michele           CANTILLO                    Presidente
"       Alessandro        CRISCUOLO                   Consigliere
"       Ernesto           LUPO                             "
"       Giuseppe          MARZIALE                    Rel. "
"       Renato            RORDORF                          "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
GIULIANO   LEPRAI,   elettivamente   domiciliato   in    Roma,    via
Massaciuccoli, n. 51,  presso  lo  studio  dell'avv.  Achille  Carone
Fabiani, dal quale è rappresentato e difeso in virtù  di  delega  a
margine del ricorso introduttivo.
Ricorrente
contro
STILGRAF S.R.L in liquidazione, elettivamente  domiciliata  in  Roma,
via Asiago. n. 9, presso lo studio dell'avv. Antonino Castana, che la
rappresenta  e  difende  in  virtù   di   delega   a   margine   del
controricorso.
Controricorrente
avverso
la sentenza n. 2599-92, emessa dalla Corte d'Appello di  Roma  il  30
settembre 1992.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del  28
aprile 1995 dal dott. Giuseppe Marziale;
uditi, per le parti, l'avvocato De  Matteis,  con  delega,  e  l'avv.
Castana;
udito il P.M. in persona del dott. Angelo Arena, il quale ha concluso
per il rigetto del ricorso.

Fatto

1.1 - Con atto notificato il 18 febbraio 1987 Giuliano Leprai conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma. L'attore premesso di essere titolare di una quota pari al 30% del capitale della società convenuta, deduceva:
- che l'assemblea straordinaria di detta società, riunitasi in sua assenza il 2 dicembre 1986 ne aveva deliberato lo scioglimento anticipato, nominando il liquidatore nella persona di Giuseppe De Zan:
- che lo scioglimento non era in alcun modo giustificato poiché l'andamento della gestione era largamente in attivo, ed appariva quindi evidente che la delibera era stata adottata all'unico scopo di estrometterlo dalla compagine sociale;
- che detta delibera era stata comunque adottata con il voto determinante di soci che erano, al tempo stesso, soci di una società concorrente (
la Stilgraf s.n.c.) e si trovavano quindi in una situazione di evidente conflitto di interessi;
- che essa era inoltre da ritenersi illegittima anche sotto altri profili, sia perché dal verbale non risultava la designazione del presidente dell'assemblea nè la nomina del segretario e sia perché, essendo venuto a mancare l'amministratore unico, che si era dimesso, l'assemblea, prima di deliberare lo scioglimento anticipato della società, avrebbe dovuto provvedere alla sua sostituzione.
Tanto premesso, il Leprai chiedeva che la delibera impugnata fosse sospesa e quindi dichiarata "nulla, illecita, inesistente e comunque invalida con ogni pronunzia consequenziale e con il ripristino della compagine amministrativa precedente".
1.2 - Costituendosi in giudizio, la società si opponeva all'accoglimento della domanda deducendo:
- che la delibera impugnata era stata adottata con il voto favorevole di soci titolari di quote rappresentanti il 70% del capitale sociale e che l'anticipato scioglimento della società era stato determinato dalla sopravvenuta impossibilità di mantenere rapporti con il Leprai che aveva riportato varie condanne penali;
- che l'asserita situazione di conflitto di interessi di alcuni soci che avevano partecipato alla deliberazione era insussistente, in quanto
la Stilgraf s.nc si era sciolta per la sopravvenuta impossibilità di conseguire l'oggetto sociale e non era quindi più operante;
- che, in ogni caso, in considerazione di quanto previsto dall'art. 2390 cc. il (preteso) conflitto sarebbe stato rilevante solo rispetto al socio che rivestiva la carica di amministratore (unico) della Stilgraf s.r.l.;
- che la presidenza dell'assemblea era stata assunta dall'amministratore, a norma dello statuto.
1.3 - La richiesta di sospensione veniva respinta con ordinanza del 17 marzo 1987. Ma la richiesta era reiterata dall'attore con deduzioni trascritte nel verbale della prima udienza tenutasi il 26 marzo 1987, deducendo: a) che le mogli di alcuni dei soci che avevano contribuito con il loro voto determinante all'approvazione della delibera partecipavano al capitale di altra società (Photocomposit s.r.l.) concorrente della società convenuta: b) che altri soci e lo stesso liquidatore si trovavano in una situazione analoga, in quanto essi erano a loro volta, soci di altra società concorrente (
la Promomark s.r.l.).
La Stilgraf s.r.l. replicava che tali deduzioni erano inammissibili perché estranee alla causa petendi della domanda introdotta con l'atto di citazione. L'istruttore non si pronunciava su tale specifica questione, ma rigettava comunque l'istanza con ordinanza del 14 maggio 1987, sul rilievo che non era stata adeguatamente dimostrata la sussistenza del fumus. All'udienza di precisazione delle conclusioni (16 luglio 1987) l'attore si riportava genericamente a quelle "già precisate". Con la comparsa conclusionale venivano tuttavia prospettati nuovi profili di illegittimità della delibera impugnata (ricollegati, in particolare. alla convocazione dell'assemblea in un luogo diverso da quello indicato dallo statuto, alla mancanza di maggioranze prescritte e alla violazione delle modalità stabilite, dalla legge o dallo statuto, per la liquidazione della società) e si ribadiva che la sussistenza di una situazione di conflitto di interessi doveva essere valutata anche in relazione ai collegamenti (diretti ed indiretti) che alcuni soci avevano con le società Photocomposit s.r.l e Promomark s.r.l.
2.1 - Il Tribunale, con sentenza del 12 dicembre 1987, rigettava la domanda proposta dal Leprai, dichiarando inammissibili, perché tardivi, "i motivi di impugnazione.. dedotti successivamente all'atto introduttivo del giudizio". Con la stessa sentenza veniva disposta, inoltre, la cancellazione di alcune espressioni contenute nella memoria di replica della società convenuta, ritenute particolarmente offensive per il Leprai, senza peraltro accogliere la domanda risarcitoria avanzata da quest'ultimo, a carico del quale era posto l'intero carico delle spese processuali.
Il rigetto della domanda veniva motivato con il duplice rilievo:
- che il conflitto di interessi, in cui sarebbero venuti a trovarsi coloro che rivestivano la qualità di soci della Stilgraf s.r.l. e della Stilgraf s.n.c.. non era configurabile poiché la seconda di tali società aveva cessato di operare e non poteva avere quindi alcun interesse all'estinzione dell'altra;
- che sotto ogni altro profilo, le ragioni per le quali era stato deciso, con una maggioranza pari al 70% del capitale sociale, lo scioglimento anticipato della società non potevano essere sindacate in quella sede, neppure sotto il profilo dell'eccesso di potere, dell'abuso di maggioranza e della violazione del principio di buona fede.
2.2 - La sentenza era appellata dal Leprai, il quale deduceva:
- che il Tribunale aveva errato a non prendere in considerazione le ulteriori circostanze dedotte, nel corso del giudizio di primo grado, a dimostrazione dell'esistenza della situazione di conflitto di interessi, in quanto esse costituivano una specificazione dei motivi di impugnazione prospettati con l'atto di citazione e non comportavano la proposizione di una domanda nuova;
- che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di primo grado, l'eccesso di potere, l'abuso della maggioranza e la violazione del principio di buona fede costituiscono motivi di invalidità delle delibere assembleari;
- che del pari censurabile era la sentenza impugnata nella parte riguardante il rigetto della domanda risarcitoria collegata all'uso di espressioni sconvenienti contenute negli scritti difensivi della società convenuta e nella parte concernente la liquidazione delle spese di lite.
Il Leprai chiedeva inoltre l'ammissione di una prova per testi articolata su circostanze riguardanti l'attività svolta dalla Stilgraf s.r.l. negli anni 1985-1987 e sulla consistenza delle attrezzature in dotazione alle società Photocomposit e Promomark. La società appellata dal canto suo, non si limitava ad opporsi all'accoglimento del gravame, ma proponeva a sua volta appello incidentale, chiedendo la riforma del capo con il quale era stata disposta la cancellazione delle espressioni ritenute sconvenienti.
2.3 -
La Corte d'Appello, con sentenza depositata il 30 settembre 1992, respingeva sia l'appello principale che quello incidentale. condannando il Leprai al pagamento delle ulteriori spese di causa.
Osservava
la Corte, in particolare, che le nuove circostanze di fatto riguardanti i rapporti con le società Photocomposit e Promomark erano state dedotte solo con la comparsa conclusionale e giustamente non erano state prese in considerazione dai giudici di primo grado poiché configuravano una situazione del tutto diversa rispetto a quella rappresentata con l'atto di citazione, in ordine alla quale la controparte non aveva accettato ii contraddittorio. Le istanze istruttorie venivano poi respinte, rilevando che esse riguardavano circostanze estranee all'oggetto del giudizio o comunque ininfluenti.
3 - Il Leprai ricorre a questa Corte, chiedendo la cassazione di detta decisione con nove motivi.
La Stilgraf s.r.l. resiste con controricorso.

Diritto

4.1 - Con il primo motivo il ricorrente - denunziando errata e falsa applicazione degli artt. 112 e 184 c.p.c.. nonché vizio di motivazione - censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che non potessero essere prese in considerazione, perché tardive, le nuove circostanze di fatto dedotte dall'attore nel corso del giudizio di primo grado a ulteriore dimostrazione dell'esistenza di una situazione di conflitto di interessi tra la società Stilgraf s.r.l. e i soci che, con il loro voto determinante, avevano concorso all'approvazione della delibera che ne aveva disposto lo scioglimento anticipato, muovendo dall'erroneo presupposto che tali deduzioni:
a) fossero state fatte solo con la comparsa conclusionale;
b) avessero comportato la proposizione di una domanda nuova, anziché la semplice integrazione di quella già avanzata con l'atto di citazione.
c) che la controparte non avesse accettato il contraddittorio.
4.2 - Dall'esame degli atti (dal cui riscontro in questa sede non può prescindersi, attesa la natura del vizio denunziato, che concerne la violazione di norme processuali: Cass. 8 luglio 1986. n. 455) si ricava che
la Stilgraf s.r.l. - contrariamente a quel che si assume nel ricorso - eccepì tempestivamente la novità delle deduzioni dell'attore rifiutandosi di accettare in relazione ad esse il contraddittorio (v. "Note autorizzate" del 22 aprile 1987, p. 15).
Questa precisazione non vale tuttavia ad escludere la fondatezza della doglianza puntualizzata nel precedente paragrafo. Non solo perché dal fascicolo del primo grado di giudizio risulta che il Leprai aveva integrato le proprie deduzioni già nella prima udienza. tenutasi il 26 marzo 1987: ben prima quindi del deposito della comparsa conclusionale (retro, 1.3). Ma (e soprattutto) perché deve ritenersi che l'allegazione delle ulteriori circostanze di fatto, effettuata in tale occasione, non fosse andata al di là di quelle "modificazioni" che, a norma degli artt. 183 e 184 del codice di rito, l'attore aveva il potere di apportare alla domanda originaria finché la causa non fosse stata rimessa al collegio. Invero, le nuove deduzioni erano restate nell'ambito della situazione di fatto (conflitto di interessi tra la società e alcuni soci che avevano concorso con il loro voto determinante all'approvazione della delibera di scioglimento anticipato) posta a fondamento di uno dei motivi di impugnazione prospettati con l'atto di citazione, e non avevano quindi comportato quella trasformazione radicale della controversia, idonea a disorientare la difesa della controparte, necessaria perché si determini il mutamento (e non la semplice modificazione) della domanda originariamente proposta (Cass. 9 gennaio 1993, n. 141). La mancata accettazione del contraddittorio da parte della società non assumeva quindi rilievo, essendo questa richiesta, ai fini della regolarità del contraddittorio, solo in presenza di una domanda nuova (Cass. 18 ottobre 1978, n. 4693).
4.3 -
La Corte territoriale ha invece ritenuto che le nuove deduzioni fossero irrituali e, come tali, prive di ogni rilevo ai fini della valutazione della fondatezza dell'impugnazione proposta dal Leprai, la quale non è stata conseguentemente esaminata in tutta la sua portata. La doglianza deve quindi essere riconosciuta fondata.
L'accoglimento di tale censura comporta l'assorbimento dell'ottavo motivo, con il quale la sentenza viene impugnata per non aver accolto, in quanto estranee all'oggetto del giudizio, le richieste istruttorie formulate con l'atto d'appello in relazione alle (nuove) situazioni prospettate all'udienza del 26 marzo 1987.
5.1 - Come si è già precisato (retro. 1.1). l'attore aveva dedotto, con l'atto di citazione, l'esistenza di ulteriori profili di illegittimità della deliberazione impugnata, deducendo che lo scioglimento anticipato della società era stata deciso all'unico scopo di estrometterlo dalla compagine sociale.
La Corte territoriale - richiamandosi ad un precedente di questa Corte (Cass 29 maggio 1986. n. 3628) ha affermato che, una volta manifestata dalla maggioranza dei soci, nelle forme legali, la volontà di procedere allo scioglimento della società" non sarebbe "consentito dare rilievo ai motivi che hanno indotto i soci maggioritari a prendere detta decisione agli effetti che possano derivarne a carico dei soci", osservando che il controllo dell'autorità giudiziaria sull'assemblea è di mera legittimità ed è quindi limitato all'accertamento della conformità delle delibere adottate alla legge e all'atto costitutivo.
Questo capo della decisione viene censurato dal ricorrente il quale, con il secondo e il quarto motivo (che possono pertanto essere esaminati congiuntamente), denunzia la violazione degli artt. 2373 e 1375 c.c., assumendo che le delibere assembleari sono illegittime, e quindi invalide, anche quando siano adottate dalla maggioranza dei soci solo al fine di conseguire un proprio personale vantaggio a danno della minoranza.
5.2 - La doglianza in tali termini formulata, è fondata.
Deve anzitutto rilevarsi che il precedente addotto dalla Corte territoriale a sostegno della decisione adottata non è di alcun conforto alla tesi accolta dalla sentenza impugnata. Con tale pronunzia infatti, questa Corte ha affermato chiaramente (e proprio con riferimento all'ipotesi in cui lo scioglimento sia indirizzato soltanto all'esclusione del socio) il principio che le delibere assembleari possono essere invalidate, sotto il profilo dell'abuso od eccesso di potere, quando risultino preordinate da alcuni soci di maggioranza in danno di altri. E tale orientamento è stato di recente ribadito con la sentenza 4 maggio 1994. n. 4323.
L'applicabilità, in tali ipotesi, dell'art. 2373 c.c. può essere dubbia. Detta disposizione, infatti, riguarda il caso in cui il socio ha, per conto proprio o di terzi un interesse in conflitto con quello della società" (Cass 11 marzo 1993, n. 2958) nell'ipotesi considerata, invece, il conflitto si manifesta esclusivamente tra i soci, senza pregiudicare la società.
5.3 - L'art. 1375 c.c. cui del pari si richiama il ricorrente, stabilisce che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede", vale a dire con un impegno di cooperazione che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che. a prescindere dagli obblighi espressamente assunti con il contratto, siano idonei a soddisfare le legittime aspettative dell'altra parte (Cass. 9 marzo 1991, n. 2053).
Le obiezioni mosse all'applicazione di questa disposizione in materia societaria non possono essere condivise.
Invero, a seguito dell'esplicito riconoscimento legislativo dell'esistenza di contratti "con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune" (artt. 1420, 1446, 1459, 1466 c.c.), l'appartenenza all'area contrattuale dell'atto costitutivo delle società quando sia stipulato da più soggetti, non è più revocabile in dubbio. D'altro canto, non potrebbe neppure ravvisarsi nella personificazione delle società di capitali un ostacolo alla persistenza di un vincolo di natura contrattuale dopo la costituzione della società, essendosi ormai chiarito che la soggettività dei gruppi organizzati non può essere messa sullo stesso piano di quella degli individui persone fisiche. Infatti, mentre in quest'ultimo caso l'imputazione delle situazioni giuridiche è fine a se stessa, nell'altro essa è destinata a tradursi in situazioni giuridiche individuali facenti capo ai singoli membri. Il che porta ad affermare che l'ente è un centro di imputazione meramente transitorio e strumentale e a ravvisare, conseguentemente, nella personalità giuridica (non lo statuto di un'entità reale diversa dalle persone fisiche, ma) una particolare normativa avente ad oggetto pur sempre relazioni tra uomini.
5.4 - Nè, infine, più consistente appare l'obiezione, fondata sulla considerazione che il contratto di società, essendo stipulato per lo svolgimento di un' attività economica futura, che i soci si obbligano a svolgere in comune (art. 2247), dà luogo a situazioni di carattere strumentale, le quali richiedono per essere compiutamente realizzate, ulteriori determinazioni volitive per tutta la durata del rapporto, le quali non potrebbero essere ricondotte nell'ambito di quella attività esecutiva che il citato art. 1375 c.c. è destinato a disciplinare.
Questa impostazione muove dal convincimento che il contratto contenga in ogni caso, un regolamento "compiuto" di un determinato assetto di interessi, in presenza del quale alle parti non resterebbe altra possibilità che quella di specificare, con maggiori dettagli, una disciplina che già è stata fissata in modo definitivo. Ma detta costruzione, se si adatta perfettamente ai contratti di scambio, non appare invece idonea a rappresentare la realtà del contratto di società e degli altri contratti plurilaterali con comunione di scopo, i quali, essendo stipulati in funzione di un'attività da svolgere, presentano la caratteristica di esigere, per la loro attuazione, una serie indefinita di nuovi atti giuridici e, appunto per questo non possono regolare gli interessi dei soci in modo conclusivo, ma danno vita ad un'organizzazione che ha il compito di regolare lo svolgimento dell'attività programmata e che, nelle società di capitali, è caratterizzata dall'attribuzione, alla maggioranza dei soci, di un potere dispositivo, il quale si estende fino alla modifica dello stesso contratto originario.
Pertanto - a meno di non voler restringere la nozione di contratto a quella dei contratti di scambio, in palese contrasto con il sistema del codice che estende i confini di tale istituto fino a comprendere ogni accordo di due o più parti per costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale" (art. 1391 c.c.) - anche le determinazioni prese dai soci durante lo svolgimento del rapporto associativo debbono essere considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti di esecuzione, perché preordinati alla migliore attuazione del contratto sociale: le stesse modifiche dell'atto costitutivo trovano la loro ragion d'essere nell'esigenza di adeguare le caratteristiche dell'impresa alle condizioni, rapidamente mutevoli del mercato, al fine di salvaguardarne la redditività e sono quindi pur sempre riconducibile allo scopo ultimo (ed essenziale) che i soci si sono prefissi quando hanno dato vita alla società.
Cade conseguentemente ogni ostacolo all'applicazione, in materia, dell'art. 1375 c.c.. Detta disposizione, del resto, costituisce specificazione di un più generale principio di solidarietà che abbraccia tutti i rapporti giuridici obbligatori, anche di origine non contrattuale, vincolando le parti al dovere di lealtà e rispetto della sfera altrui (art. 1175 c.c.). Ma è ancora più importante sottolineare che l'esistenza di un dovere di lealtà e di correttezza a carico dei soci, nei loro reciproci rapporti, è desumibile, oltre che dalla disciplina generale del diritto delle obbligazioni anche dalle norme che più direttamente riguardano il diritto delle società.
Infatti, a differenza di quanto avviene nei contratti di scambio. nei quali l'avvenimento che soddisfa l'interesse di uno dei contraenti è diverso da quello che soddisfa l'interesse dell'altro, in questo caso la realizzazione dell'interesse dipende, per ognuno, dal conseguimento di una finalità mediata, comune per tutti.
Con il contratto di società viene costituita, in effetti, una comunione di interessi, la cui esistenza, mentre da ragione della subordinazione della volontà del singolo socio a quella della maggioranza (in base alla considerazione che il voto, pur essendo rimesso al libero apprezzamento di ciascuno, e pur sempre attribuito in funzione del perseguimento di uno scopo comune), esclude al tempo stesso che il voto stesso possa essere legittimamente esercitato per realizzare finalità particolari, estranee alla causa del contratto di società come è confermato dall'art. 2373 c.c., che non va pertanto riguardato come norma eccezionale, ma quale espressione dell'esigenza che i rapporti all'interno della società si realizzino attraverso comportamenti coerenti con gli scopi per i quali il contratto sociale è stato stipulato.
Non può quindi dubitarsi dell'illegittimità di una delibera assembleare che, per quanto formalmente regolare, risulti in concreto preordinata ad avvantaggiare alcuni soci in danno di altri. Ed è appena il caso di osservare che l'accertamento di questo vizio non comporta alcun sindacato di merito (vale a dire sulla convenienza della delibera per l'interesse della società la cui valutazione è rimessa al libero apprezzamento dei soci), poiché presuppone che il voto sia stato esercitato dalla maggioranza in danno di alcuni soci, al fine di conseguire obbiettivi del tutto estranei all'interesse della società.
6.1. - Tutte le altre doglianze sono infondate.
Ed, anzitutto, quella formulata con il terzo motivo, con il quale viene denunziata violazione e falsa applicazione dell'art. 2379 c.c., censurando la sentenza impugnata per non aver considerato che le delibere assembleari adottate dalla maggioranza al solo scopo di danneggiare la minoranza a proprio vantaggio sono nulle e non semplicemente annullabili.
È agevole rilevare, infatti, che il giudice del merito non si è al riguardo minimamente pronunciato, avendo escluso, in radice, l'esistenza del vizio denunziato. Va comunque rilevato che la tesi del ricorrente è infondata anche in linea astratta, in quanto, secondo quanto stabilito dall'art. 2379 c.c., le delibere sono nulle solo quando il loro oggetto sia impossibile ovvero sia illecito, vale a dire contrario a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume (art. 1344 c.c.) e tale situazione certamente non ricorre quando la deliberazione assembleare sia semplicemente lesiva dei diritti di alcuni soci, e quindi di interessi la cui tutela è affidata dalla legge all'iniziativa dei rispettivi titolari: in tal caso, pertanto, la deliberazione è impugnabile a norma dell'art. 7377 c.c.. come questa Corte ha di recente ribadito (Cass. 4 maggio 1994. n. 4323).
6.2 - A non diverse conclusioni deve giungersi per il quinto e il sesto motivo.
Con la seconda di tali doglianze si denunzia la violazione dell'art. 2448 c.c. e dell'art. 112 c.p.c.. assumendo che
la Corte d'Appello "avrebbe omesso di rispondere sulla questione... relativa alla mancanza di una giusta causa di scioglimento". Ma è agevole osservare che, la sentenza impugnata contiene, a tale riguardo, una precisa presa di posizione, che è nel senso della insindacabilità dei motivi per i quali sia stato disposto l'anticipato scioglimento della società. E non si è dubbio - salvo quanto sopra rilevato circa la sindacabilità di un eventuale eccesso di potere o di un abuso di potere della maggioranza che tale affermazione sia esatta. non essendo dalla legge subordinato ad alcun particolare presupposto l'esercizio della facoltà di decidere lo scioglimento anticipato della società.
Con il quinto motivo la sentenza impugnata viene censurata sotto un triplice profilo:
I) per non aver pronunciato in ordine alla sussistenza di vizi che erano stati tempestivamente denunziati e che riguardavano, in particolare:
a) la convocazione dell'assemblea in luogo diverso da quello indicato dallo statuto;
b) la designazione, quale presidente dell'assemblea, dell'amministratore dimissionario;
c) l'approvazione della delibera con maggioranze inferiori a quelle prescritte dalla legge e dallo statuto;
d) la determinazione dei poteri del liquidatore.
II) per non aver motivato in modo congruo in ordine alla sussistenza delle maggioranze prescritte per l'approvazione della delibera di scioglimento anticipato;
III) non aver considerato infine che l'amministratore dimissionario non aveva i poteri per presiedere l'assemblea a norma dello statuto e che i poteri conferiti al liquidatore erano esorbitanti.
Appare però evidente che nessun addebito di omessa pronuncia può essere mosso alla sentenza impugnata, posto che:
- in ordine alle doglianze sub "b" e "c" essa contiene risposte puntuali, ancorché sintetiche;
- che le doglianze sub "a" e "d" non erano state specificamente riproposte con l'atto d'appello ed in ordine ad esse
la Corte non era tenuta quindi a pronunciarsi.
Il preteso vizio di motivazione nella parte relativa alla determinazione della maggioranza (del 70% o del 56%), con la quale si è provveduto alla nomina del liquidatore e alla determinazione dei suoi poteri, concerne poi un punto che - in considerazione di quanto risulta pacificamente dall'art. 11 dello Statuto (il quale, in deroga all'art 2486 c.c., stabilisce che straordinaria in prima convocazione delibera col voto favorevole di tanti soci che rappresentino la maggioranza del capitale sociale") - non può essere ritenuto decisivo.
Infine, non vi è dubbio che l'amministratore (unico) dimissionario avesse il potere di presiedere l'assemblea, non essendo ancora le sue dimissioni operative (art. 2385, primo comma, c.c.) Ed è altresì evidente l'inammissibilità, per la sua novità della doglianza riguardante la determinazione dei poteri del liquidatore.
6.3 - Restano il settimo e il nono motivo, con i quali la sentenza viene censurata, rispettivamente, per non aver rilevato:
a) che
la Stilgraf s.r.l. doveva essere condannata ai sensi dell'art. 89 c.p.c. per l'uso, nei propri scritti difensivi, di espressioni sconvenienti ed offensive, dal momento che esse non avevano alcuna attinenza con l'oggetto della causa:
b) che le spese del giudizio di primo erano state calcolate in modo "erroneo".
Anche tali doglianze, come si è anticipato, sono palesemente infondate.
In relazione a quella puntualizzata alla lettera "a" si osserva che il potere di applicare la sanzione risarcitoria ha natura discrezionale e che il suo mancato uso non può essere sindacato in questa sede quando sia congruamente motivato (Cass. 22 febbraio 1992, n. 2188). Quanto all'altro, basta rilevare che gli eventuali errori di calcolo che viziano la liquidazione delle spese non sono deducibili come motivo di ricorso per cassazione (Cass. 24 gennaio 1966, n. 239).
7 - In considerazione dell'accoglimento del primo, secondo e quarto motivo di gravame la sentenza impugnata deve essere cassata, con conseguente rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma, che si atterrà al seguente principio di diritto:
"La delibera assembleare, adottata a proprio esclusivo vantaggio dai soci di maggioranza di una società di capitali in danno di quelli di minoranza, è illegittima ed è impugnabile a norma dell'art. 2377 c.c.". Il giudice di rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese relative di questa ulteriore fase.

P.Q.M

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso limitatamente al primo, al secondo e al quarto motivo di gravame: dichiara assorbito l'ottavo motivo e rigetta gli altri. Cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questa fase.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 28 aprile 1995.