Cassazione civile, SEZIONE I, 22 agosto 2001, n. 11185
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Pasquale REALE - Presidente -
Dott. Vincenzo PROTO - Rel. Consigliere -
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI - Consigliere -
Dott. Fabrizio FORTE - Consigliere -
Dott. Stefano BENINI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ATZENI EUGENIO, ONIDA OMBRETTA FRANCA LUIGIA, elettivamente
domiciliati in ROMA VIA GALLONIO 18, presso l'avvocato FREDIANI
MARCELLO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato DORE
CARLO, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrenti -
contro
SALE MARIA GABRIELLA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA
ALESSANDRIA 128, presso l'avvocato PIRO A., rappresentata e difesa
dall'avvocato MACCIOTTA BRUNO, giusta delega a margine del
controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 142-98 della Corte d'Appello di CAGLIARI,
Sezione distaccata di SASSARI, depositata il 25-06-98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09-02-2001 dal Consigliere Dott. Vincenzo PROTO;
udito per i ricorrenti, l'Avvocato Dore, che ha chiesto
l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Marco PIVETTI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
1. Con atto notificato il 3 giugno 1987 la sig.ra Maria Gabriella
Sale - premesso di essere socia accomandante della società "Laboratorio
di analisi chimico cliniche Racugno Sale Atzeni" s.a.s., e che vi partecipavano
anche Aldo Racugno e i coniugi Eugenio Atzeni e Ombretta Luigia Franca Onida,
quest'ultima come accomandataria - convenne in giudizio, davanti al Tribunale
di Cagliari, l'Atzeni e l'Onida, esponendo:
- che ogni socio era titolare di una quota pari al 33% del capitale sociale,
ad eccezione della socia accomandataria, la cui partecipazione era pari all'1%;
- che quest'ultima, d'intesa con Eugenio Atzeni, si era resa responsabile di
gravissime irregolarità nella gestione della società (documentate da una relazione
ispettiva redatta da un professionista incaricato da tutti i soci), e che, perciò,
l'attrice e il Racugno avevano chiesto la convocazione di una riunione tra i
soci per deliberare sullo scioglimento anticipato della società e sulla nomina
di un liquidatore;
- che, pur disponendo essi della maggioranza del capitale sociale (66%), non
erano riusciti ad ottenere la messa in liquidazione della società per l'opposizione
degli altri soci.
Chiese, quindi, che, tenuto conto dell'anomala situazione che si era determinata,
il Tribunale dichiarasse lo scioglimento della società.
Costituitisi, i convenuti si opposero all'accoglimento della domanda e chiesero,
in via riconvenzionale, l'esclusione dell'attrice a norma dell'art. 2286 c.c.
Nel giudizio intervenne il Racugno aderendo alle conclusioni dell'attrice. 2.
Con un secondo atto di citazione, notificato il 13 ottobre 1988,
I convenuti si opposero all'accoglimento della domanda, eccependone la tardività.
3. Infine, con distinto atto di citazione notificato il 9 novembre
La convenuta si oppose alla domanda. 4. Il Tribunale, riunite le cause, con
sentenza depositata il 18 novembre 1991, preso atto della rinuncia agli atti
del giudizio del Racugno e dell'accettazione delle controparti, accertò lo scioglimento
della società per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale e dichiarò assorbite
le altre domande, aventi per oggetto l'accertamento della legittimità della
delibera di esclusione, sul rilievo che, una volta verificatosi lo scioglimento
della società, non può farsi luogo all'esclusione dalla società di un socio.
L'Atzeni e
- che durante la liquidazione gli effetti del contratto sociale non vengono
meno e non vi è, quindi, motivo per negare che essi possano essere esclusi dalla
società, quando si verifichino le situazioni previste dagli artt. 2286 e 2288
c.c.;
- che, comunque, non si erano realizzati nella specie i presupposti per dichiarare
lo scioglimento a norma dell'art. 2272 n. 2 c.c.
In via incidentale
Questa Corte, con sentenza del 26 marzo 1996, n. 6410, accogliendo il primo
ed il secondo motivo del ricorso, e rigettato il terzo motivo, enunciò il principio
secondo cui è possibile l'esclusione del socio anche in epoca successiva alla
richiesta di scioglimento della società, e che non può essere dichiarato lo
scioglimento sul semplice presupposto dell'insanabile dissidio sorto tra i soci,
senza accertare anche che la situazione di conflitto renda impossibile il raggiungimento
dei fini sociali. Cassò, quindi, la decisione impugnata con rinvio.
Esaminando preliminarmente la questione dell'annullamento della delibera di
esclusione proposta dalla Sale,
- che il termine d'impugnazione era stato osservato, in quanto la notifica alla
società era stata effettuata ai sensi dell'art. 140 c.p.c., essendosi perfezionata
con la spedizione della raccomandata, ed era stato, pertanto, rispettato anche
il termine a comparire di cui all'art. 163 bis c.p.c.;
- che la società in accomandita semplice, quale società di persone, non era
necessariamente destinataria di un separato atto di citazione, essendo sufficiente,
per la regolare costituzione del contraddittorio, che sia chiamato in giudizio
il soggetto cui sia stata conferita la rappresentanza della società;
- che era irrilevante la sottoscrizione della procura in data anteriore alla
stesura della citazione, essendo richiesto dall'art. 125 c.p.c. che il suo conferimento
sia anteriore alla costituzione della parte;
- che la illegittimità della delibera di esclusione comportava la reintegrazione
del socio;
- quanto al merito, che l'attività ascritta alla Sale si inquadrava nell'azione
da lei intrapresa a tutela degli interessi propri e sociali.
La Corte rilevò, infine, che un ulteriore motivo di illegittimità della delibera
di esclusione risiedeva nella mancata convocazione del Racugno.
Esaminando, poi, la questione relativa alla richiesta di scioglimento della
società, considerò che il dissidio tra i soci doveva ritenersi insanabile e
che esso rendeva impossibile il conseguimento dell'oggetto sociale. 8. Avverso
questa pronuncia i sig.ri Atzeni e Onida hanno proposto ricorso per cassazione
con quattro motivi. Ha resistito con controricorso
Al
Le parti hanno depositato memorie.
1. Col primo motivo si denuncia la violazione dell'art. 2287 c.c.
e degli artt. 163 bis c.p.c., 83 (comma terzo) e 125 c.p.c., nonché carenza
di motivazione. I ricorrenti censurano la sentenza impugnata perché
La censura sub (a) è infondata, perché l'atto di opposizione è stato notificato
nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 2287 c.c. La notifica, infatti,
come risulta dal diretto esame degli atti processuali, è avvenuta secondo le
modalità previste dall'art. 140 c.p.c., e si è perfezionata per l'Atzeni il
13 ottobre 1988 e per l'Onida il 18 ottobre 1988, con la spedizione, ad opera
dell'ufficiale giudiziario, dell'avviso di avvenuto deposito a mezzo di raccomandata
con avviso di ricevimento (ex plurimis, Cass. 20 novembre 2000, n. 14986).
Correlativamente, risulta infondata anche la censura sub (b), perché il termine
di comparizione (in relazione alla notifica effettuata in data 13 e 18 ottobre
1988) è stato fissato per l'udienza del 25 novembre 1988.
La censura sub (c) è infondata, giacché, come si evince dal contenuto dell'atto
di opposizione, l'Atzeni e l'Onida sono stati chiamati in giudizio (insieme
col Racugno) quali soci della Società Laboratorio di Analisi chimico - cliniche
Racugno - Sale - Atzeni s.a.s., ed essendo la società già rappresentata da Ombretta
Franca Luigia Onida, socia accomandataria, non occorreva un'ulteriore, distinta
vocatio della società come tale.
L'infondatezza della censura sub (d), riposa sulla considerazione che i ricorrenti,
pur rilevando la non coincidenza tra la data del rilascio della procura e quella
in cui è stato redatto l'atto di citazione, non contestano che la procura alle
liti rilasciata dalla Sale al proprio difensore si riferisse con certezza al
processo in relazione al quale essa è stata conferita. E, poiché tra i requisiti
richiesti per la validità della procura non è prevista la sua contestualità
o la sua posteriorità rispetto all'atto cui essa accede, non sussiste la denunciata
violazione di legge, l'unico elemento temporale prescritto dalla norma attenendo
all'anteriorità della procura rispetto alla costituzione della parte rappresentata
(art. 125 c.p.c.).
La censura sub (e), è inammissibile, perché si risolve in un'affermazione, non
argomentata e puramente ripetitiva di una deduzione già svolta davanti alla
Corte d'appello in sede di rinvio, e disattesa. 2. Col secondo motivo si denuncia
la violazione degli artt. 2286 e 2291, 2697 c.c. e carenza di motivazione. I
ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata - dichiarando illegittima la
delibera di esclusione, e per la mancata convocazione del socio Racugno, e per
avere ritenuto che gli addebiti mossi alla Sale non integrassero violazioni
statutarie - non avrebbe considerato, quanto al primo profilo, che per la validità
della delibera di esclusione è sufficiente raccogliere le singole volontà idonee
a formare la maggioranza e comunicare la delibera di esclusione; quanto al secondo
profilo, che gli addebiti a carico della Sale dovevano essere esaminati singolarmente
anche alla luce della (pretesa) illegittimità del comportamento degli appellanti.
All'esame del motivo occorre premettere che
Le argomentazioni dei ricorrenti che investono la prima ratio decidendi non
hanno pregio, perché tendono a riproporre accertamenti e valutazioni già esaurientemente
compiuti nella fase pregressa del giudizio e che, essendo riservati alla cognizione
del giudice del merito, sono insindacabili in sede di legittimità, se adeguatamente
motivati. Requisito quest'ultimo che sussiste nella fattispecie, in quanto
Essendo corretto tale iter argomentativo, risulta superfluo esaminare le ulteriori
ragioni (censurate dai ricorrenti) poste a base della pronuncia, dal momento
che questa è destinata a rimanere in ogni caso ferma, indipendentemente dalla
fondatezza (o non) dei rilievi svolti dai ricorrenti in ordine alle conseguenze
della mancata convocazione del Racugno; rilievi che risultano, pertanto, inammissibili
per difetto di interesse. 3. Col terzo motivo si denuncia la violazione degli
artt. 112 e 384 c.p.c. e vizio di extrapetizione. I ricorrenti lamentano che
Il motivo non ha fondamento.
Questa Corte, con la sentenza 6410-1996, esaminando la posizione degli accomandanti
rispetto alla gestione della società e il loro rapporto nei confronti degli
accomandatari, ha chiarito, disattendendo il terzo motivo del ricorso proposto
dall'Atezi (*) e dall'Onida, che non vi è motivo di escludere che un eventuale
dissidio insorto tra questi soggetti possa assumere rilievo ai fini dell'applicazione
dell'art. 2272, n. 2 c.c.; e, in tale contesto, ha affermato che anche la mancata
approvazione del bilancio è idonea ad incidere, pure in questo tipo di società,
nella regolarità della gestione e può determinare, se protratta nel tempo, la
paralisi dell'attività sociale. Accogliendo il primo ed il terzo motivo, ha,
poi, enunciato il principio secondo cui, da un lato, non vi sono ostacoli all'applicabilità
dell'art. 2286 c.c. durante la fase di liquidazione della società, e, dall'altro,
che il dissidio tra soci può ben assumere rilevanza tra le cause di scioglimento
delle società personali, quando esso renda impossibile il conseguimento dell'oggetto
sociale.
In sede di rinvio,
Essendo questo il quadro di riferimento, risulta evidente che la sentenza impugnata
si è attenuta puntualmente ai principi enunciati da questa Corte. Nè sussiste
il vizio di extrapetizione denunciato, perché, come risulta dal diretto esame
degli atti processuali, il tema della mancata approvazione dei bilanci non solo
è stata oggetto di ampia discussione tra le parti nelle cause riunite davanti
al Tribunale e nelle ulteriori fasi processuali; ma, essendo collegato con le
gravi irregolarità nella gestione della società attribuite dalla Sale ai convenuti
e, quindi, con il funzionamento della società, esso rientrava anche nella causa
petendi fatta valere con l'atto introduttivo del giudizio del 3 giugno 1987,
volto allo scioglimento anticipato della società. 4. Infine, col quarto motivo
- denunciando la violazione dell'art. 384 c.p.c. e dell'art. 2272 c.c. - i ricorrenti
deducono che la sentenza impugnata, individuando nel dissidio tra i soci la
impossibilità della società di funzionare, non abbia considerato che la società
nella specie aveva continuato a funzionare e che il dissidio, pertanto, non
era assoluto nè definitivo.
Questa censura non ha consistenza, perché tende a rimettere in discussione in
questa sede l'apprezzamento espresso sul punto dalla Corte d'appello, la quale,
sulla base delle risultanze processuali, ha stabilito che "anche in vigenza
di tale situazione di fatto", e cioè della operatività della società in
condizioni precarie, "non potevano proseguirsi gli scopi sociali".
Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione.
Così deciso nella camera di consiglio della prima Sezione civile in Roma, il
9 febbraio 2001.