Cassazione civile, SEZIONE I, 15 novembre 2000, n. 14799


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Pellegrino           SENOFONTE           - Presidente -
Dott. Vincenzo             PROTO               - Rel. Consigliere -
Dott. Salvatore            SALVAGO             - Consigliere -
Dott. Luigi                MACIOCE             - Consigliere -
Dott. Sergio               DI AMATO            - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO  DEI  F.LLI  TRAINA  Snc,   in   persona   del   Curatore,
elettivamente domiciliato in ROMA  VIA  BOCCA  DI  LEONE  78,  presso
l'avvocato BERRUTI PAOLO, che lo  rappresenta  e  difende  unitamente
all'avvocato MUSUMECI MIMÌ  ALBERTO,  giusta  procura  in  calce  al
ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO  IMMOBILIARE  BELLINI  SpA,  in  persona   del   Curatore,
elettivamente  domiciliato  in  ROMA  VIA   CASSIODORO   19,   presso
l'avvocato BENUCCI C., rappresentato e difeso dall'avvocato  MANZELLA
PIETRO, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n.  784-94  della  Corte  d'Appello  di  PALERMO,
depositata il 22-06-94;
udita la relazione della causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del
16-06-2000 dal Consigliere Dott. Vincenzo PROTO;
udito il P.M. in persona del  Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
Marco PIVETTI che ha  concluso  per  il  rigetto  del  primo  motivo,
l'accoglimento del secondo motivo, l'assorbimento  del  terzo  motivo
del ricorso.

Fatto

1. Il 4 dicembre 1989 i soci della s.p.a. Immobiliare Bellini deliberarono l'azzeramento del capitale sociale e la sua ricostituzione fino al limite di lire 200.000.000, previa trasformazione della società in società a responsabilità limitata. 2. Con atto in data 11 giugno 1990 il curatore del fallimento della s.n.c. Fratelli Traina, esponendo che Elio Traina, dichiarato fallito quale socio illimitatamente responsabile della società, era titolare, in proprio e quale amministratore della società CO.GIM s.r.l., di un numero di azioni rappresentative del 40% del capitale sociale della s.p.a. Immobiliare Bellini, convenne davanti al Tribunale di Palermo il fallimento della s.p.a. Immobiliare Bellini, e chiese che fosse dichiara(*) la nullità o pronunziato l'annullamento della delibera assembleare di azzeramento e di ricostituzione già richiamata.
A sostegno della domanda dedusse: a) che la deliberazione era stata adottata in sede ordinaria; b) che le azioni "possedute" dal Traina erano state pignorate (e non potevano essere, quindi, poste in liquidazione), e che il Traina non aveva potuto esercitare il proprio diritto di opzione; c) che il collegio sindacale non era rappresentato nella sua integrità; d) che la situazione (patrimoniale) depositata a norma dell'art. 2446 c.c. non era aggiornata e che le osservazioni del collegio sindacale alla relazione degli amministratori non erano state tempestivamente depositate, ma erano state formulate soltanto in assemblea da un componente del collegio sindacale.
Il curatore chiese anche la condanna della convenuta al risarcimento del danno. 3. Il Tribunale, con sentenza 26 maggio 1992, dichiarò la nullità della delibera assembleare (e condannò la curatela fallimentare convenuta al risarcimento del danno nella misura di lire 100.000.000), rilevando che più vizi avevano determinato la nullità della delibera: l'adozione, da parte dell'assemblea, in sede ordinaria, anziché straordinaria, dell'azzeramento e della ricostituzione del capitale sociale; la liquidazione delle azioni del Traina, estendendosi il vincolo posto dal pignoramento anche al diritto di opzione del titolare; la mancata presenza nella sua integrità del collegio sindacale e la irritualità del parere espresso da questo organo. 4.
La Corte d'appello di Palermo, con sentenza depositata il 22 giugno 1994, accogliendo l'impugnazione del fallimento Immobiliare Bellini, rigettò la domanda proposta dal curatore del fallimento s.n.c. Fratelli Traina.
Ritenendo preliminare l'esame del quinto motivo dell'atto d'appello, con il quale il fallimento Immobiliare Bellini aveva lamentato l'implicito rigetto dell'eccezione di carenza di legittimazione attiva del curatore del fallimento Fratelli Traina,
la Corte considerò:
- che, spettando la legittimazione ad causam per annullamento di una delibera, ex art. 2777 c.c., ai soli sindaci, amministratori, soci assenti o dissenzienti, e quella per ottenere la nullità a chiunque ne abbia interesse, al curatore del fallimento Fratelli Traina, come terzo interessato, poteva essere riconosciuta la legittimazione ad agire soltanto se si fosse appurato che effettivamente i vizi rilevati dal Tribunale integrassero una nullità;
- che le norme di legge denunciate nella fattispecie non comportavano nullità, in quanto la delibera non aveva un oggetto impossibile o una causa illecita, ai sensi dell'art. 2379 c.c.;
- che la curatela del fallimento s.n.c. Fratelli Traina non era, quindi, legittimato(*) all'impugnazione, non spettando questa alla società in nome collettivo (e, quindi, correlativamente, al curatore del fallimento sociale), soggetto del tutto distinto dai soci. 5. Avverso questa sentenza il curatore del fallimento s.n.c. Fratelli Traina ha proposto ricorso per cassazione in base a tre motivi. Ha resistito con controricorso la curatela del fallimento Immobiliare Bellini s.p.a.

Diritto

1. Col primo motivo del ricorso si denuncia la violazione degli artt. 189 e 345 c.p.c. Il ricorrente deduce che, avendo il fallimento Immobiliare Bellini omesso nel corso del giudizio di primo grado (e, in particolare, nelle conclusioni finali) di chiedere la declaratoria di carenza di legittimazione del fallimento attore, la questione non poteva essere proposta in appello, trattandosi di domanda nuova.
Il motivo è infondato.
Premesso che la questione proposta non attiene alla legittimazione ad causam (che il giudice deve verificare, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, salvo il limite del giudicato interno, per la regolarità del contraddittorio), ma alla titolarità del rapporto giuridico sostanziale controverso, nella fattispecie, come risulta dal diretto esame degli atti processuali, la contestazione del fallimento Immobiliare Bellini ha investito proprio e direttamente la titolarità di tale rapporto in capo all'attore; contestazione che, integrando un'eccezione in senso proprio, poteva essere sollevata anche nel giudizio di appello, a nulla rilevando la sua astratta proponibilità nel precedente grado del giudizio. La proposizione da parte dell'appellante di nuove eccezioni nel giudizio di secondo grado, costituiva, infatti, pacificamente, prima della riforma dell'art. 345 c.p.c., esercizio del diritto di impugnazione, da attuarsi attraverso la formulazione dei motivi di gravame (cfr.
Cass. 17 giugno 1997, n. 5407; 14 aprile 1988, n. 2961; 23 luglio 1986, n. 4697; 27 maggio 1982, n. 3224). 2. Col secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 43 e
147 l. fall. Il ricorrente deduce che le azioni esercitabili dai singoli soci e quelle esperibili dai creditori sociali e da chiunque abbia un interesse patrimonialmente rilevante, prima autonomamente identificabili, con la sentenza di fallimento sarebbero legittimamente rappresentate dal curatore del fallimento della compagine sociale. Infatti, la sentenza che dichiara il fallimento sociale determinerebbe automaticamente la costituzione di un unico organo fallimentare e di un unico centro di imputazione di interessi. Sicché sarebbe irrilevane(*) l'indagine sul grado di invalidità della delibera, eseguita dalla Corte d'appello, in quanto i vizi ad essa relativi, siano configurabili come motivo di nullità ex art. 2379, ovvero come annullabilità ex art. 2373 c.c., potrebbero essere fatti valere dal solo curatore del fallimento della società, unico soggetto legittimato a perseguirli.
La censura non ha fondamento.
All'esame del motivo è opportuno premettere, per chiarirne il contenuto, che, come è pacifico in punto di fatto, Elio Traina, socio della s.n.c. Fratelli Traina, era titolare, in proprio e quale amministratore dela(*) società CO.GIM s.r.l., di un numero di azioni rappresentative del 40% della s.p.a. Immobiliare Bellini. Dichiarato fallito come socio illimitatamente responsabile della società Fratelli Traina, il curatore del fallimento sociale, facendo valere tale qualità ("per il fallimento di F.lli Traina s.n.c."), ha impugnato la delibera adottata dai soci dalla s.p.a. Bellini il 4 dicembre 1989.
Egli ha, quindi, agito come avente causa di Elio Traina per esercitare una situazione giuridica soggettiva già acquisita al patrimonio del fallito. Ma in questa veste non poteva subentrare nella posizione del fallito, titolare delle azioni della s.p.a.
Immobiliare Bellini; nè, d'altronde, ha mai dedotto nel giudizio un interesse idoneo a giustificare l'azione promossa. Come curatore del fallimento della società in nome collettivo, egli, pertanto, non era legittimato alla impugnazione della delibera che coinvolgeva il solo patrimonio del Traina, posto che, secondo la legge fallimentare, il fallimento della società e quello del socio costituiscono due centri di imputazione di interessi autonomi e differenziati.
L'art.
148 l. fall. stabilisce, infatti, che il patrimonio della società e quello dei soci devono essere tenuti distinti (comma secondo), e che ciascun creditore ha diritto di contestare i crediti dei creditori con i quali si trova in concorso (ult. comma). Ed anche se è espressamente previsto che nella massa passiva del socio confluiscano i creditori sociali (comma terzo), è indiscutibile la distinzione delle procedure e l'autonomia delle relative masse, tra le quali è, anzi, configurabile un contrasto di interessi (cfr.
Cass. 28 marzo 1994, n. 2996). L'art.
154 l. fall. prevede, poi, l'ipotesi del concordato particolare del socio, supponendo così la chiusura del fallimento del socio indipendentemente da quella della società. Infine, proprio la diversità delle due procedure consente la formazione di due comitati dei creditori (art. 148, comma primo, l. fall.).
È, dunque, evidente che il centro di imputazione soggettiva che fa capo al socio è diverso da quello che fa capo alla società: si tratta cioè di soggetti distinti che hanno, correlativamente, un'autonoma rappresentanza processuale, anche quando questa coincida nella stessa persona fisica, che deve essere individuata nell'organo esterno della relativa procedura (cfr. Cass. 7 giugno 1989, n. 2766). 3. Col terzo motivo si denuncia falsa applicazione degli artt. 2379 c.c., in relazione agli artt. 2446, 2447, 2365, 2366, 2436, 2441 c.c.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui questa ha ritenuto che integrassero mere annullabilità, anziché nullità, i vizi della delibera impugnata. E deduce che tutte le violazioni di norme imperative produrrebbero la nullità dell'atto cui ineriscono, secondo il principio sancito in generale dall'art. 1418 c.c. Così la costituzione dell'atto deliberativo avente ad oggetto la trasformazione societaria e il passaggio dalla struttura della società per azioni a quella a responsabilità limitata; la violazione delle norme relative alla convocazione dell'assemblea, assunta con la(*) modalità previste per la seduta ordinaria; la mancata presenza del collegio sindacale nella sua interezza; la carenza di una situazione patrimoniale aggiornata al momento della trasformazione sociale; il mancato tempestivo preventivo deposito nel termine di otto giorni della relazione degli amministratori; l'azzeramento del capitale sociale e la lesione del diritto di opzione del socio Traina.
Anche questo motivo non ha fondamento.
Erronea è, anzitutto, la premessa dalla quale muove il ricorrente.
Infatti, in base a principi risalenti (sent. 30 ottobre 1970, n. 2263) e ormai consolidati (ex plurimis, sent. 9 aprile 1999, n. 3457; 22 luglio 1994, n. 6824; 23 marzo 1993, n. 3458) nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di invalidità delle delibere assembleari, si verifica, come ha puntualmente rilevato la sentenza impugnata, un inversione dei criteri regolatori del diritto negoziale, secondo cui l'azione di nullità costituisce un'azione generale fondata sulla contrarietà dell'atto a norme imperative (art. 1418 c.c.), mentre è speciale l'azione di annullammento(*), esperibile nei soli casi previsti dalla legge (art. 1441 c.c.). Invero, nel diritto societario vige la regola dell'annullabilità come azione di carattere generale, e della nullità come azione esperibile nei soli casi disciplinati dall'art. 2379 c.c. Per principio generale, pertanto, la violazione della norma di legge, anche di carattere imperativo, comporta, nella disciplina societaria, la semplice annullabilità, in deroga al principio di diritto comune.
Questa disciplina è giustificata da due esigenze coessenziali: la natura cogente del metodo collegiale che mira a realizzare una gestione ordinata dell'impresa sociale e la soddisfazione dell'interesse alla stabilità (e alla rapidità) delle decisioni societarie (cfr. Cass. 22 luglio 1994, n. 6824).
In questa linea - che tende a delimitare le situazioni di nullità previste dall'art. 2379 c.c. e, correlativamente, il concetto di illecito come atto lesivo di un diritto e della norma inderogabile che lo tutela - la giurisprudenza ha ristretto le ipotesi di nullità delle deliberazioni delle società di capitali alle situazioni di contrasto con norme dettate a tutela dell'interesse generale, che trascende l'interesse del singolo socio, e dirette ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico-pratico del rapporto societario; riducendo all'ipotesi di annullabilità la violazione di norme poste a tutela di soci o di gruppi di soci.
In applicazione dei criteri enunciati, occorre, dunque, considerare se le irregolarità della deliberazione assembleare prese in esame dalla sentenza impugnata costituissero (o non) un'ipotesi di nullità ovvero di annullabilità, tenedo(*) presente che in questa sede tale verifica è necessariamente limitata, in relazione alle violazioni di legge dedotte, al thema decidendum risultante dalla sentenza impugnata.
La Corte d'appello ha, infatti, determinato il proprio campo di indagine a tre situazioni specifiche: a) delibera adottta(*) in sede di assemblea ordinaria, anziché straordinaria; b) partecipazione del collegio sindacale non nella sua integrità; c) parere espresso dal collegio sindacale in modo non rituale. Mentre, con riferimento all'ipotesi di lesione del diritto di opzione del Traina, essa ha escluso, in punto di fatto, che fosse stata dimostrata la titolarità in capo allo stesso, di un diritto di opzione sulle quote vendute.
Così delimitato il quadro di riferimento, le censure del ricorrente si rivelano prive di consistenza, perché attengono ad ipotesi di vizio del procedimento di formazione della volontà assembleare, non riconducibili, come ha correttamente osservato la sentenza impugnata, ad un'illiceità dell'oggetto ex art. 2379 c.c., secondo il concetto elaborato dalla giurisprudenza in tema di delibere assembleari. In questa linea, di recente, si è ritenuto che anche la deliberazione assunta in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, essendo imputabile alla società nel cui ambito essa è assunta, pone soltanto un problema di validità (annullabilità), legato all'accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione (Cass. 26 novembre 1998, n. 12008).
4. in conclusione, non sussistono le violazioni di legge denunciate.
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso il 3 luglio
2000, in Roma, nella camera di consiglio della prima Sezione civile.
(*) ndr: così nel testo.