Cassazione civile, SEZIONE I, 23 novembre 2001, n. 14865


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Corrado       CARNEVALE - Presidente -
Dott. Alessandro    CRISCUOLO - Consigliere -
Dott. Vincenzo      PROTO     - Consigliere -
Dott. Ugo           VITRONE   - Consigliere -
Dott. Mario Rosario MORELLI   - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LUZI ROMANO, elettivamente domiciliato in ROMA  PIAZZA  VESCOVIO  21,
presso l'avvocato TOMMASO MANFEROCE, che  lo  rappresenta  e  difende
unitamente all'avvocato STEFANO VERZONI, giusta procura speciale  per
Notaio Alberto Paleari di Monza rep. n. 29059 del 7.10.1999;
- ricorrente -
contro
DI GREGORIO MARCO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA  E.  TAZZOLI
6, presso l'avvocato ROMANO VACCARELLA, che lo rappresenta e  difende
unitamente all'avvocato FULVIO MORESE, giusta procura a  margine  del
controricorso;
- controricorrente -
contro
GALLI GIORGIO, 21 INVESTIMENTI SpA;
- intimati -
e sul 2  ricorso n  22936-99 proposto da:
21  INVESTIMENTI  SpA,  in  persona  del  legale  rappresentante  pro
tempore, elettivamente  domiciliata  in  ROMA  VIA  BERTOLONI  44-46,
presso l'avvocato ENNIO CICCONI, che la rappresenta e difende, giusta
delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
DI GREGORIO MARCO,  elettivamente  domiciliato  in  ROMA  VIA  ENRICO
TAZZOLI 6, presso l'avvocato ROMANO VACCARELLA, che lo rappresenta  e
difende unitamente  all'avvocato  FULVIO  MORESE,  giusta  procura  a
margine del controricorso;
- controricorrente -
contro
LUZI ROMANO, GALLI GIORGIO;
- intimati -
avverso la sentenza n.  2158-98  della  Corte  d'Appello  di  MILANO,
depositata il 24-07-98;
udita la relazione della causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del
18-06-2001 dal Consigliere Dott. Mario Rosario MORELLI;
udito  per  il  ricorrente,  l'Avvocato  Manferoce,  che  ha  chiesto
l'accoglimento del  ricorso  principale  e  il  rigetto  del  ricorso
incidentale;
uditi per il resistente, gli Avvocati Morese e Vaccarella, che  hanno
chiesto il  rigetto  del  ricorso  principale  e  l'accoglimento  del
ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del  Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
Rosario RUSSO che ha  concluso  per  l'inammissibilità  del  ricorso
incidentale; l'accoglimento del secondo  motivo;  rigetto  del  primo
motivo; l'assorbimento del terzo motivo del ricorso principale.

Fatto

Con atto di citazione notificato il 5 e 6-5-1997, Giorgio Galli impugnava di nullità avanti alla Corte di Milano il lodo arbitrale reso in data 11.4.1997 nella procedura arbitrale instaurata da Marco Di Gregorio nei confronti dell'impugnante Galli, di Mario Luzi e della spa 21 Investimenti. Esponeva che il Di Gregorio e la spa 21 Investimenti avevano in data 15.6.1995 costituito la srl Sei TV per l'esercizio di un'emittente televisiva: che successivamente la compagine sociale si era ampliata anche al Galli e al Luzi: che il 12.7.1995 la Sei TV aveva acquistato l'intero capitale sociale della srl Sidera, poi denominata Sei Milano; che il 13.7.1995 il Di Gregorio, il Galli e il Luzi avevano sottoscritto patti parasociali dalla durata coincidente con quella della Sei TV: che in data 20.9.1995 tutti e quattro i soci avevano sottoscritto altra scrittura contenente una disciplina dei rapporti finanziari e un sindacato di voto, affidando al Di Gregorio, amministratore unico della Sei TV, la carica di presidente ed amministratore delegato della Sei Milano: che la gestione delle due società, affidata al Di Gregorio era risultata gravemente in perdita ed aveva portato alla perdita del capitale sociale; che il Di Gregorio non aveva assunto le iniziative cui era tenuto per legge e per i patti stipulati; che le assemblee del 18.3.1996 avevano revocato il Di Gregorio e nominato un diverso consiglio di amministrazione; che il predetto aveva quindi azionato l'arbitrato previsto nel contratto 20.9.1995; che l'arbitro unico, con la sua impugnata decisione del 11.4.1997, aveva dichiarato risolti per inadempimenti della 21 Investimenti, del Luzi e del Galli i patti parasociali 13.7 e 20.9.1995 e, conseguentemente, condannato le parti inadempienti al pagamento delle penali, specificate in L. 533.330.000 per la 21 Investimenti, L. 404.733.000 per il Luzi, L. 161.933.000 per il Galli, oltre interessi. Tanto premesso impugnava di nullità il lodo per (violazione di legge in relazione alla) nullità dei patti parasociali inter partes, ritenuti invece validi dall'arbitro unico, per disapplicazione delle regole ermeneutiche e contraddittorietà della motivazione; chiedeva la declaratoria di nullità del lodo e l'accoglimento delle conclusioni già da lui formulate nel giudizio arbitrale.
Si costituivano il Di Gregorio, chiedendo il rigetto della impugnazione ed il Luzi, che con appello incidentale, denunciava a sua volta, la nullità del lodo e, in subordine, domandava la riduzione ad equità della penale.
Con proprio autonomo atto, anche
la Investimenti 21 impugnava il lodo suddetto, denunciando anche ulteriori preliminari motivi di nullità, tra i quali (per quel che ancora rileva) la mancata indicazione della sede dell'arbitrato e del luogo della deliberazione (violazione art. 829, co.1 , n. 5 c.p.c.).
Con sentenza del 24 luglio 1998,
la Corte adita, previamente riunite le riferite impugnazioni (principali del Galli e della spa 21 Investimenti e incidentale dal Luzi), le respingeva tutte.
Da qui l'odierno ricorso per cassazione del Luzi e (incidentale) della Spa 21 Investimenti; cui resiste, con separati controricorsi, il De Gregorio.
Il Luzi e il Di Gregorio hanno anche depositato memorie ai sensi dell'art. 378 cpc.

Diritto

I. Con i tre motivi della propria impugnazione, il Luzi - denunciando violazione degli artt. 112, 113 cpc (1); 1322, 1343, 1346, 1418 e 2383 c.c. (2) e vizi di motivazione (3) - critica i giudici dell'appello per avere, rispettivamente:
- omesso di pronunciare, prendendo posizione, sulla natura dei patti in discussione (coincidenti con la prevista durata della società, fino al 2050) quali patti a tempo indeterminato ovvero a termine, eccessivamente protratto;
- erroneamente ritenuto la validità, comunque, dei patti stessi;
- immotivatamente, infine, respinto la censura relativa alla domanda di reiezione della penale.
Il. Con i due motivi del ricorso incidentale, la "21 Investimenti", a sua volta, reitera l'eccezione di nullità del lodo - per mancata indicazione della sede dell'arbitrato e del luogo della sua sottoscrizione - e di invalidità dei patti parasociali per cui è causa.
III. I due ricorsi, vanno previamente riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.
IV. Ancora in via preliminare, va esaminata ai fini della esatta delimitazione del thema decidendum la questione sulla ammissibilità del ricorso incidentale della "21 Investimenti", in relazione anche alla eccezione, in tal senso formulata dal Di Gregorio, sia pur limitatamente al primo mezzo di detta impugnazione. Ritiene al riguardo il Collegio che il ricorso incidentale della "21 Investimenti" sia inammissibile nella sua interezza, in relazione al suo contenuto di impugnazione autonoma (parallela e non contrapposta alla impugnazione principale del Luzi) e per la sua tardiva proposizione (il 30 novembre 1999) dopo l'intervenuta scadenza (il 22 ottobre precedente) del termine ordinario annuale di impugnazione incrementato dei periodi di sospensione feriale, decorrente dalla data (24 luglio 1998) di deposito della sentenza d'appello.
Per il combinato disposto degli artt. 370, 371 c.p.c., solo alla parte contro la quale è diretto il ricorso principale è consentito, infatti, di presentare ricorso (nei confronti di qualsiasi capo della sentenza impugnata ex adverso: cfr nn. 9470-90; 3502-99) nelle forme e nei termini del ricorso incidentale ex art. 334 c.p.c., poiché soltanto questa può avere interesse a contraddire e presentare ricorso incidentale anche tardivo (così n. 5675-99). Per cui, appunto, quando il ricorso abbia, invece, come nella specie, contenuto autonomo i termini della impugnazione incidentale sono inapplicabili ed il ricorso deve essere proposto nel termine di decadenza previsto dagli artt. 325, 327 c.p.c. (cfr pure n. 1066-99).
V. Senz'altro infondato, è poi il primo motivo del ricorso principale.
La circostanza che
la Corte di merito, nell'escludere l'invalidità dei patti parasociali in discussione, abbia espressamente ritenuto che tale soluzione s'imponga identicamente quale che sia la durata, indeterminata o non, dei patti stessi, esclude evidentemente che, in ordine alla qualificazione dei predetti patti, per il profilo della loro durata, possa configurarsi l'omissione di pronuncia prospettata dal ricorrente. Tale pronuncia risultando, viceversa, adottata nel senso, appunto, dalla irrilevanza della dimensione temporale della clausola, ai fini della sua validità e, sostanzialmente, risolvendosi in una doppia pronuncia di esclusa nullità dei patti sub indice nella loro duplice possibile eccezione dei patti vuoi a tempo indeterminato che a termine coincidente con la durata stessa della società.
IV. Il secondo complesso motivo del ricorso del Luzi ripropone la questione centrale sulla validità dei patti di sindacato stipulati tra le parti e si articola su un triplice e gradato livello di contestazione alle affermazioni della Corte di merito sulla validità "in via di principio" dei cd. sindacati di voto; sulla validità del patto di voto anche quando relativo alla nomina di amministratori della società; sulla esclusa nullità, infine, di siffatti patti pur ove stipulati, come nella specie, senza prefissazione di termine o di un termine, comunque, ragionevole.
Sostiene, infatti, in contrario, il ricorrente che nulli siano, invece, "di regola", i patti parasociali di voto, perché espropriativi delle funzioni e dei poteri dell'assemblea; che nulli siano in particolare i sindacati di voto sulla nomina di amministratori per contrasto con la norma imperativo dell'art. 2383 c.c. (che attribuisce all'assemblea il potere di quella nomina); che nulli siano, comunque, patti siffatti ove stipulati a tempo indeterminato od a termine eccessivamente protratto, per l'ulteriore profilo di loro contrasto con il principio generale dell'ordinamento di non tolleranza di vincoli obbligatori a tempo indeterminato.
Nessuno di tali rilievi critici può, però, essere condiviso.
IV-l Nella accezione emersa, ed imposta, dalla prassi (sulla spinta di esigenze, tra l'altro, di assicurazione di nuclei stabili di soci in grado di ispirare la strategia imprenditoriale delle società) e poi, comunque, considerata per acquisita o presupposta da varie discipline di settore v. l. 223-90, art.
26, l. 1-91, art. 1; d.lgs 127-91, art. 26; l. 149-92, artt. 7, 10; d.lgs 385-93, art. 23; e v., da ultimo il d.lgs n. 58-98, sulla intermediazione finanziaria, il cui art. 123, non applicabile ratione temporis e ratione materiae, alla fattispecie, stabilisce ora una durata aventi per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle s.p.a. quotate in borsa, con automatica riduzione, in tali limiti, dei termini stipulati per durata superiore! i patti parasociali e, in particolare i cosiddetti sindacati di voto sono, nella loro varia tipologia (che non ne consente, allo stato, la riconduzione ad uno schema tipico unitario) accordi (quindi) atipici volti a disciplinare, in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il modo in cui dovrà atteggiarsi (su vari oggetti) il loro diritto di voto in assemblea (non dissimilmente dall'accordo, ad esempio, sul contenuto del voto che preventivamente intervenga tra più comproprietari delle medesime azioni, ex art. 2347 c.c.).
Il vincolo, che da tali patti discende, opera, pertanto, su un terreno esterno a quello della organizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere parasociale), per cui non può dirsi, senza confondere i due diversi piani del rapporto parasociale e del rapporto sociale; nè che al socio, stipulante un tal patto, sia in alcun modo impedito di determinarsi all'esercizio del voto in assemblea come meglio creda, nè, quindi, che il patto stesso ponga in discussione il funzionamento dell'organo assembleare.
Come ben chiarito dalla sentenza n. 9975 del 1995 (che si è motivatamente discostata da alcuni precedenti di segno contrario), "il fatto che il socia si sta, in altra sede impegnato a votare in un determinato modo ha rilevo solo per l'eventuale responsabilità contrattuale nella quale egli incorrerebbe -ma unicamente verso gli atti firmatari del patto parasociale - violando quell'accordo".
Sicché il vincolo obbligatorio, così assunto, opera non dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo soggettivo che possa spingere un socio ad esprimere il suo voto in assemblea in un determinato modo. Senza che nessuno possa impedire a quel socio di "optare per il non rispetto del patto di sindacato, ogni qualvolta, a suo personale giudizio, l'interesse ad un certo esito della violazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell'inadempimento del patto" (n. 9975-95 cit.) Non sussiste il paventato effetto di svuotamento dei poteri assembleari riconducibile al patto parasociale e ciò conduce ad escludere (come correttamente ha fatto
la Corte milanese) che possa per quel motivo sostenersi la tesi della invalidità, "per principio" dei patti parasociali.
IV-2. Neppure, per altro, poi sussiste l'ipotizzato contrasto con la norma imperativa dell'art. 2383 c.c. da cui si vorrebbe in via gradata, far discendere la nullità di sindacati di voto sulla nomina di amministratori della società.
L'inderogabilità della norma attribuitiva del potere di nomina, di detto organi, all'assemblea non è posta, infatti, in discussione dall'eventuale accordo di voto che, per il già rilevato suo effetto interamente interno al rapporto parasociale, non incide su quel potere assembleare, cui il patto non pone (per come dimostrato) limiti od ostacoli sul piano dell'organizzazione societaria. Dal che l'esclusione, del pari correttamente ritenuta dai giudici a queibus, di una ragione generale di invalidità della subcategoria di patti in esame.
V-3. Residua il profilo di doglianza relativo alla mancata predeterminazione di (una ragionevolmente contenuta) durata, dalla quale il ricorrente assume che
la Corte del merito avrebbe dovuto, comunque, inferire la nullità dei patti per cui è lite.
Al riguardo questo Collegio non ignora che la già richiamata sentenza n. 9975 del 1995 (sul punto invocata dal ricorrente) ha affermato che l'indeterminatezza della durata, o la durata non ragionevolmente contenuta, del patto parasociale ne determina la caduta "nell'area di disfavore che circonda le obbligazioni destinate a durare indefinitamente nel tempo" ed impedisce di considerarlo meritevole di tutela e, per ciò, giuridicamente valido, a norma dell'art. 1322, co. 2, c.c.".
Ma ritiene di doversi ora discostare da tale soluzione di principio, per ragioni in primo luogo di coerenza con l'ammessa validità, in via generale, delle convenzioni di voto, non potendo il sottostante giudizio di meritevolezza della correlativa tutela, ex art. 1322 c.c. essere sovvertito in presenza e in dipendenza di patologie circoscritte al mero profilo della durata (indeterminata od eccessiva) del patto. A fronte delle quali, la sanzione della nullità, applicata alla pattuizione nella sua interezza, appare eccessiva, ed anche eccentrica rispetto alla ratio (cui la sanzione sarebbe informata) di evitare, semplicemente, la perpetuità del vincolo negoziale.
Esistono, ben vero, altri rimedi, dettati dall'ordinamento, per assicurare la temporaneità dei rapporti obbligatori ed in particolare quello, cui anche nella specie può farsi ricorso, dell'applicazione dell'istituto del recesso unilaterale ad nutum, con obbligo di preavviso o per giusta causa.
La prevalente dottrina e la più recente giurisprudenza (che circoscrive la portata dell'art. 1373 c.c. al suo contenuto disciplinatorio del recesso, nei contratti di durata, ove tale facoltà sia prevista dalla parti, senza alcuna implicazione ostativa alla recedibilità anche in caso di mancata previsione pattizia al riguardo: cfr Cass.nr.4597-93; 8360-96; 1594-97) concordano, infatti, nell'enucleare, dalle singole disposizioni che ne fanno applicazione con riguardo a specifici contratti tipici a tempo indeterminato, un principio generale di risolubilità ad nutum, individuando nel recesso unilaterale una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondente all'esigenza, appunto, di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio (cfr n. 6427-98).
Il riferito principio è agevolmente estensibile ai contratti atipici, a maggior ragione ove gravitanti (come quelli in esame) nell'area del fenomeno societario (cfr artt. 24, co 2 2285 c.c.).
L'obiettivo di evitare la durata indeterminata od eccessiva dei patti di voto può così ben essere raggiunto - salvaguardando, nel contempo la validità ed efficacia del vincolo negoziale - attraverso il ricorso ad uno strumento più adeguato e bilanciato, quale il recesso unilaterale che abiliti le parti a mettere fine ad un rapporto di durata indefinita con effetto ex nume, in luogo che attraverso la via della eliminazione del rapporto ex tunc (in quanto, in tesi nullo): via (quest'ultima) che potrebbe essere anche artatamente percorsa dal contraente che abbia violato l'impegno assunto.
Nè rileva in contrario la previsione di invalidità dei patti di divieto di alienazione "non contenuti entro convenienti limiti di tempo" di cui all'art. 1379 c.c. e la "stretta connessione" (cui fa riferimento la citata sentenza del '95), che spesso sussiste, "fra il vincolo avente ad oggetto l'esercizio del voto e quello gravante sulla trasferibilità delle azioni a terzi".
Una tale eventuale connessione non comporta, infatti, necessariamente l'invalidità all'intero patto contratto a tempo indeterminato ma la nullità della sola clausola limitativa del potere di disposizione di azioni sindacate; risultandone, per l'effetto, solo indebolito, ma non anche svuotato di ogni contenuto, il patto di voto che vincolerà comunque i contraenti fino a quando restino proprietari delle azioni.
Il ricorso allo strumento del recesso ad nutum, per assicurare la temporaneità del vincolo negoziale, nei contratti, anche atipici, a tempo indeterminato (od a termine eccessivamente protratto) risponde, d'altra parte anche ad una non eludibile esigenze di conformazione del contratto a buona fede che si impone in fase esecutiva in virtù del disposto dell'art. 1375 c.c. (cfr sent. n. 8360-90), e per via stessa di integrazione del contratto, in ragione della riconducibilità della clausola di buona fede al dovere costituzionale di solidarietà, operante, come già sottolineato, anche all'interno del rapporto negoziale e con forza di norma inderogabile, immediatamente e direttamente precettiva (cfr. sen.ze nn. 3775-1994; 10511-1999).
Resiste, quindi, a censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha escluso la nullità del patto di voto pur di durata indeterminata od eccessivamente protratta.
Dal che conclusivamente l'infondatezza del secondo mezzo impugnatario in ognuna delle su tre subcensure.
V. Nè a miglior sorte può andare incontro la residua terza doglianza del Luzi, in punto di denegata riduzione della penale.
Avendo, al riguardo,
la Corte territoriale (anche in ragione dei limiti del sindacato devolutole sul lodo impugnato), correttamente escluso l'assenta violazione dell'art. 1384 c.c., sul rilievo che gli arbitri avevano respinto la domanda di riduzione sulla base della verificata insussistenza dei correlativi presupposti di parziale esenzione della obbligazione principale e di manifesta eccessività della penale stessa in relazione all'interesse del creditore.
Circostanze queste, di fatto, evidentemente non suscettibili di riesame in questa sede di legittimità.
VI. Il ricorso principale va, pertanto, a sua volta integralmente respinto.
VII. In ragione della natura delle questioni trattate e della novità, in parte, della correlativa soluzione, possono compensarsi tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e rigetta quello principale; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Roma, 18 giugno 2001.