Cassazione civile, SEZIONI UNITE, 26 aprile 2000, n. 291
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Andrea VELA - Primo Presidente -
Dott. Manfredo GROSSI - Presidente di sezione -
Dott. Francesco AMIRANTE - Presidente di sezione -
Dott. Alfio FINOCCHIARO - Consigliere -
Dott. Antonio VELLA - Consigliere -
Dott. Giovanni PRESTIPINO - Consigliere -
Dott. Antonio ELEFANTE - Consigliere -
Dott. Alessandro CRISCUOLO - Consigliere -
Dott. Giulio GRAZIADEI - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AMAR - AGENTI MARITTIMI RIUNITI DI PIRAS MARONGIU E C. S.N.C., in
persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA SUTRI 11, presso lo studio dell'avvocato
CRISTINA GUGLIELMI, rappresentata e difesa dall'avvocato PIETRO DIAZ,
giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
MARONGIU VITTORIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P. DA
PALESTRINA 19, presso lo studio dell'avvocato ALBERTO ANGELETTI, che
lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato GIOVANNI ADRIANO,
giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 177-94 della Sezione distaccata di Corte
d'Appello di SASSARI, depositata il 03-11-94;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04-02-00 del Consigliere Dott. Giulio GRAZIADEI;
uditi gli avvocati Pietro DIAZ, per la ricorrente, Leonardo GNISCI,
per delega dell'avvocato Alberto ANGELETTI, per il controricorrente;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Paolo DETTORI
che ha concluso per la legittimazione passiva della Società,
trasmissione atti al Primo
Presidente per l'assegnazione alla Sezione Semplice per l'ulteriore
corso.
Vittorio Marongiu il 26 novembre
Il Tribunale, in accoglimento della domanda, ha condannato la convenuta al pagamento
di lire 91.906.670, oltre rivalutazione, ed interessi, ha fra l'altro ritenuto,
condividendo sul punto la tesi della parte attrice, che le clausole statutarie,
nell'imporre il riferimento all'ultima situazione patrimoniale approvata prima
del decesso del socio, non assegnassero portata vincolante ai dati contabili,
lasciando così operare il criterio della quantificazione della quota sulla scorta
dei valori effettivi (non nominati) dei beni sociali.
La Società, tornando a sostenere il carattere cogente dello stime espresso in
detta situazione patrimoniale, ha proposto gravarne, deducendo che il Tribunale
aveva travisato la volontà dei contraenti e violato le norme che presiedono
all'interpretazione degli atti negoziali.
La Corte d'appello dì Cagliari, Sezione distaccata dì Sassari, con sentenza
depositata il 3 novembre
Rinnovando l'indicata tesi,
Il Marongiu ha replicato con controricorso.
Il ricorso è stato assegnato alla Sezione prima civile, e davanti alla stessa
è stato discusso all'udienza del 5 maggio 1997, nella quale il Procuratore generale
ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio della causa
al Tribunale.
Detta. Sezione, con ordinanza depositata l'11 agosto
Per la composizione del contrasto, il ricorso è stato assegnato a queste Sezioni
unite.
Il resistente ha depositato memoria difensiva, a sostegno della propria scelta
di citare in giudizio
In tema di liquidazione della quota di partecipazione a società di
persone, con domanda proposta, ai sensi dell'art. 2289 cod. civ., dall'erede
del socio defunto, ovvero dal socio che abbia esercitato la facoltà di recedere
o che sia stato escluso, le Sezioni semplici hanno dato difformi risposte al
quesito della spettanza della qualità di contraddittore alla società medesima
ovvero agli altri soci (od anche a costoro).
Il quesito è influente nella presente controversia, che è stata promossa dall'erede
del socio deceduto nei confronti della Società Amar e che fra le stesse parti
è proseguita in fase d'impugnazione, dato che l'eventuale difetto di costituzione
del contraddittorio o l'eventuale incompletezza di esso, per effetto della mancata
citazione in giudizio degli altri soci, sarebbero in questa sede rilevabili
d'ufficio, in assenza dì preclusione derivante da giudicato interno.
L'orientamento prevalente è nei senso di ritenere passivamente legittimata soltanto
la società.
In questi termini si è pronunciata
Nella stessa linea si sono poste, in tempi più lontani, le sentenze della Sezione
prima n. 1113 del 7 maggio 1963, n. 1850 dell'8 ottobre 1970, n. 103 del 13
gennaio 1972 e n. 1439 del 17 maggio 1974, le quali, sia pure ad altri fini,
hanno affermato che la liquidazione della quota costituisce debito sociale.
La società di persone, si è osservato, anche se priva dì personalità giuridica,
è autonomo soggetto dell'ordinamento, in quanto è titolare dei beni sociali
ed ha capacità sostanziale e processuale nei rapporti "esterni" che
coinvolgano i beni stessi; fra tali rapporti, si è rilevato, rientra quello
inerente alla liquidazione della quota, perché riguarda un credito verso la
società di soggetti ormai usciti dal novero dei soci, e non comporta un mutamento
della struttura sociale, già verificatosi in dipendenza dei fatto risolutivo
della partecipazione del singolo socio, cioè la morte, il recesso o l'esclusione.
In sintonia con detto enunciato, si è ritenuto che l'art. 2284 cod. civ, quando
prevede il dovere degli "altri soci" di liquidare la quota agli eredi
del socio defunto, si riferisca in effetti alla società, ormai costituita soltanto
dai soci restanti. Si è aggiunto che l'art. 2285 cod. civ., ove indica gli "altri
soci" come destinatari della comunicazione del recesso del singolo socio,
risponde ad esigenze e finalità estranee alla problematica sulla liquidazione
della quota.
L'orientamento minoritario, rappresentato dalle sentenze della Sezione prima
n. 186 del 6 febbraio 1965, n. 1577 del 23 maggio 1972, n. 4821 del 24 aprile
1993 e n. 12172 del 24 novembre 1995, afferma invece la legittimazione passiva
di tutti i soci in veste di litisconsorti necessari.
Partendosi dalla premessa che la distinta soggettività della società di persone
non supera i limiti della collettività unificata nei rapporti con i terzi, si
è considerato decisivo e non superabile il tenore letterale dei menzionati artt.
2284 e 2285 cod. civ., nel senso della qualificazione dell'obbligo dì liquidare
la quota come debito dei soci superstiti, e si è inoltre rilevato che la presenza
dei soci medesimi, nel giudizio instaurato, ai sensi dell'art. 2289 cod. civ.,
è resa indispensabile dalla modificazione dell'assetto societario che è provocata
dall'uscita del singolo socio.
Il primo dei riportati indirizzi, che ha riscosso maggiore consenso in dottrina,
dove essere confermato, sulla scorta delle considerazioni che seguono.
La società di persone, nei rapporti con i terzi, ai sensi dell'art. 2266 cod.
civ., "acquista diritti ed assume obbligazioni, per mezzo dei soci che
ne hanno la rappresentanza, e sta in giudizio nella persona dei medesimi".
Per dette obbligazioni, a nonna dell'art. 2267 cod. civ., la società direttamente
risponde con il proprio patrimonio, mentre l'eventuale responsabilità personale
dei soci non si sostituisce a quella della società, ma si affianca ad essa con
vincolo di solidarietà (e beneficio della preventiva escussione del patrimonio
sociale ex art. 2268 cod. civ.).
Per i rapporti obbligatori, che si costituiscano con la nascita e le successive
vicende della società di persone, in relazione all'esercizio della comune attività
economica, è dunque esplicita l'attribuzione alla società stessa di autonoma
soggettività, distinta da quella dei soci, con la connessa qualità di parte,
in senso tanto sostanziale quanto processuale.
Creditore della società, nell'ambito di detti rapporti, può anche essere il
socio, quando acquisti il diritto di ottenere dalla società medesima una prestazione
con contenuto economico, assistita dalla garanzia offerta dal patrimonio sociale.
Il credito del socio verso la società può discendere dalla stessa qualità di
partecipante, come si verifica per il diritto di concorrere alla distribuzione
degli utili (art. 2262 cod. civ.), o da contratti ulteriori, rispetto a quello
costitutivo della società, come il contratto che stabilisca il compenso per
compiti di amministrazione o per attività lavorativa svolta nell'organizzazione
societaria, ovvero da altri fatti non contrattuali, produttivi ope Iegis di
rapporti obbligatori, come il pagamento d'indebito, l'arricchimento senza causa,
l'illecito aquiliano.
Nelle delineate ipotesi, l'insorgenza di contrapposte posizioni creditorie e
debitorie del socio e della società, con la facoltà dell'uno di reclamare la
devoluzione a proprio favore di risorse economiche dell'altra, di per sè implica
la riconducibilità dei relativi rapporti nell'area di applicazione dei citati
artt. 2266 e 2267 cod. civ., dato che la "terzietà" del creditore
rispetto al debitore è insita nella natura e nell'oggetto del diritto di credito,
ed inoltre è compatibile con la convergenza degli interessi delle stesse parti
in seno ad un distinto rapporto (quale quello sociale).
Da tali rilievi deriva che il problema in esame si esaurisce nel quesito della
qualificabilità o meno come credito verso la società del diritto alla liquidazione
della quota, spettante al socio receduto od escluso od all'erede del socio defunto.
In caso affermativo, l'applicazione dei prodotti artt. 2266 e 2267 cod. civ.
determinerebbe de plano la legittimazione passiva della società, a fronte dell'esercizio
del diritto alla quota, rendendo inconferente stabilire se il diritto stesso
integri un credito del socio, ove si privilegi lo status del creditore in corso
al momento dei verificarsi del fatto generatore del diritto, oppure un credito
di soggetto estraneo alla società, ove si valorizzi la coincidenza di quel fatto
con la risoluzione (parziale) del rapporto sociale.
All'indicato quesito deve darsi risposta positiva.
L'art. 2289 cod. civ, cioè la norma che contempla il diritto alla quota, pur
non definendolo come credito verso la società, detta disposizioni che sottendono
tale consistenza, tenendosi conto che fa rispondere al diritto stesso l'obbligo
della "Iiquidazione", vale a dire un adempimento di storno di una
porzione del patrimonio sociale cui soltanto la società può provvedere, ed inoltre
correla il quantum alla situazione patrimoniale della società, maggiorandolo
o riducendolo con le sopravvenienze attive o passive delle operazioni in corso,
nell'implicito presupposto della coincidenza del soggetto titolare di quella
situazione e di quelle sopravvenienze con il soggetto obbligato alla liquidazione.
A quest'ultimo riguardo non può trascurarsi che il diritto in discorso è strettamente
collegato all'iniziale apporto del singolo socio al patrimonio sociale ed ai
risultati, favorevoli o sfavorevoli, della gestione dell'impresa comune; intendendosi
l'obbligo di liquidazione della quota nell'accezione (impropria) di obbligo
dei soci di versare una somma pari all'ammontare della quota stessa, si priverebbe
il creditore della garanzia offerta dal patrimonio sociale, residuando soltanto
la garanzia dei patrimoni personali degli altri soci, proprio rispetto ad un
credito che trova fonte e giustificazione nella nascita e nella vita della società.
Detta interpretazione dell'art. 2289 cod. civ. trova conferma nell'art. 2270
cod. civ., il quale consente al creditore particolare del socio di compiere
atti conservativi sul patrimonio sociale, e, in caso d'insufficienza dei beni
del debitore, di reclamare la liquidazione della sua quota, con possibilità
della società di sottrarsi alla relativa incombenza deliberando il proprio scioglimento;
questa previsione, pure se attinente ad un rapporto diverso, postula logicamente
che la liquidazione della quota, nei confronti dell'avente diritto, sia dovere
della società, tanto da poter essere evitata con un atto sicuramente societario,
quale la delibera di scioglimento.
Ancora più esplicito, sempre con riferimento al rapporto con il creditore particolare
del socio, è l'art. 2307 cod. civ., il quale, a fronte dell'opposizione del
creditore stesso alla proroga della società. espressamente definisce la liquidazione
medesima come "dovere della società".
La regola desumibile dall'art. 2289 cod. civ, e confortata dalle altre norme
sopra richiamate, non trova deroga nell'art. 2284 cod. civ., quando, in ipotesi
di morte di uno dei soci, stabilisce che "gli altri devono liquidare la
quota agli eredi".
Questa previsione non può essere isolata, ma va intesa nel contesto delle alternative
che la norma contempla.
Detto dovere sussiste se gli altri soci non optino per lo scioglimento della
società oppure per la continuazione di essa con gli eredi del socio defunto,
sempre che gli stessi acconsentano.
La lettura complessiva dell'art. 2284 cod. civ. ne mostra l'attinenza non al
riconoscimento del diritto degli credi alla quota (separatamente previsto dall'art.
2289 cod. civ.), nè all'identificazione dell'obbligato, ma alla sorte del contratto
di società nello specifico caso della morte di un socio. La pertinenza dell'indicata
alternativa alla sfera dispositiva dei soci superstiti, i quali soltanto possono
rinnovare il patto sociale mediante incontro della loro volontà con la volontà
degli eredi del defunto, porta a ritenere che il mantenimento nell'unico periodo
dello stesso soggetto, cioè i soci superstiti anche con riguardo al dovere Dl
liquidare la quota, in assenza o nell'impossibilità di detta scelta, non abbia
il valore di un'eccezione al canone generale, ma rimanga sul piano dell'uso
di un'espressione equipollente a quella di società, nella compagine ridotta
dal decesso di un socio.
Privo di rilevanza è poi l'art. 2285 terzo comma cod. civ., quando stabilisce
che la dichiarazione di recesso, nei casi contemplati dal primo comma (contratto
di società a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci), debba
essere comunicata agli "altri soci" (non dunque alla società) con
un preavviso di almeno tre mesi.
Quel recesso integra un diritto potestativo discendente dal patto sociale. La
sua natura ed il carattere recettizio della dichiarazione attraverso la quale
viene esercitato spiegano le indicate modalità di comunicazione, per l'opportunità
di rendere edotti tutti gli altri partecipanti al contratto sociale di un atto
modificativo della sua estensione soggettiva; tali modalità, per quanto indispensabili
allo scioglimento dei rapporto sociale limitatamente ad un socio su iniziativa
unilaterale dello stesso, non investono però e lasciano impregiudicata la diversa
problematica dell'individuazione dei soggetto obbligato alla liquidazione della
quota, una volta che il recesso sia stato validamente ed efficacemente esercitato.
A conferma della qualificazione dei debito di liquidazione della quota come
debito della società, non degli altri soci, va ancora osservato che l'opposta
tesi porterebbe ad incongruenze, o comunque a risultati logicamente non compatibili
con la disciplina delle società di persone, quando in essa vi siano soci che
non rispondano illimitatamente verso i creditori sociali o siano esposti alla
loro azione non oltre l'apporto al patrimonio sociale.
Tale limitazione è consentita in via generale dall'art. 2267 cod. civ., per
il socio che non svolga attività gestionale, in base ad espresso patto, portato
a conoscenza dei creditori; per la società in accomandita semplice, è effetto
automatico della posizione di socio accomandante, ai sensi dell'art. 2313 cod.
civ..
Con dette previsioni l'ordinamento ammette e tutele, anche nelle società di
persone, nel concorso di determinato condizioni, la possibilità di partecipare
all'esercizio in comune d'attività economica con rischio limitato al conferimento.
Reputandosi la liquidazione della quota come obbligazione dei soci, non della
società, e dunque come debito discendente dalla posizione di socio, non si potrebbe
non far gravare il relativo onore in via solidale su tutti i soci, inclusi quelli
limitatamente responsabili verso i creditori della società, con l'anomala conseguenza
di esporti ad esborsi eccedenti l'entità dell'apporto, ove sia percentualmente
maggiore la quota dei socio defunto, receduto od escluso.
L'indicata eventualità comprometterebbe la scelta iniziate dì un impegno nell'impresa
societaria non superiore alla quota, dato che il relativo "tetto",
previsto per le obbligazioni sociali, non opererebbe por e obbligazioni proprio
di ciascun socio.
Dalla qualificazione della liquidazione della quota come debito della società,
consegue, sul piano processuale, che la domanda del socio uscito o degli eredi
dei socio defunto, indirizzata al riconoscimento ed d soddisfacimento del corrispondente
credito, deve essere proposta nei confronti della società medesima.
Quando rimanga soltanto un socio, tale domanda deve essere rivolta nei confronti
di detto superstite, non in proprio, ma in rappresentanza della società, fino
a che questa resti in vita, ai sensi dell'art. 2272 n. 4 cod. civ.; se si determini
lo scioglimento della società, per la mancata ricostituzione della pluralità
dei soci nel termine di sei mesi, il diritto alla liquidazione della quota rimane
attratto nel più esteso ambito della liquidazione della società, prodotta da
tale scioglimento, e nella relativa odo è tutelabile.
Quando rimangano due o più soci, il contraddittorio non va integrato nei loro
riguardi nemmeno se siano solidalmente ed illimitatamente responsabili per le
obbligazioni sociali.
A questo proposito, si dove ricordare che la solidarietà nel debito implica
una pluralità di rapporti fra il creditore ed i coobbligati, e che la connessione
dei rapporti stessi. per effetto dell'identità della prestazione gravante su
ciascun debitore e della conseguenziale liberazione di tutti in caso d'adempimento
di uno di loro, non tocca l'autonomia di ciascun rapporto, nè la facoltà dei
creditore di rivolgersi al singolo debitore, senza necessità di estendere il
dibattito giudiziale nei confronti dei coobbligati (giurisprudenza consolidata
di questa Corte; v., ex pluribus, sentt. n. 6157 del 24 novembre 1979, n. 5534
dei 12 novembre 1985, n. 4945 del 28 maggio 1990).
La soluzione raggiunta. va infine considerato, non è confutabile con il rilievo
che lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio ha portata
modificativa dell'iniziale contratto sociale, si da dover essere riscontrato
in contraddittorio degli altri contraenti.
La controversia inerente alla liquidazione della quota, come non si è mancato
di osservare nell'indirizzo che viene in questa sede condiviso, non ha ad oggetto
detta modificazione, ma il rapporto obbligatorio che essa comporta, una volta
determinatasi.
Peraltro, non può dimenticarsi che il mutamento soggettivo dei contratto sociale,
con scioglimento limitatamente ad un socio, non dipende da una pronuncia giudiziale
di tipo costitutivo, la quale richiederebbe la presenza in causa di tutti i
destinatari della statuizione richiesta al giudice, ma configura l'effetto legale
di un accadimento (la morte o l'esclusione di diritto di cui all'art. 2288 cod.
civ.), ovvero di un'iniziativa stragiudiziale dei socio (il recesso) o della
società (l'esclusione mediante delibera), e che, dunque, l'eventuale esigenza,
nella causa di liquidazione della quota, d'indagare sul verificarsi dei fatto
risolutivo, quale titolo dei credito allegato, non implicherebbe ampliamento
del dibattito oltre l'ambito dell'accertamento del presupposto dei rapporto
obbligatorio fra la parte istante e la società.
In conclusione. con la composizione del contrasto giurisprudenziale, si devo
affermare che la domanda di liquidazione della quota di una società di persone,
da parte dei socio receduto od escluso, ovvero degli eredi dei socio defunto,
fa valere un'obbligazione non degli altri soci, ma della società, e, pertanto,
ai sensi dell'art. 2266 cod. civ., va proposta noi confronti della società medesima,
quale soggetto passivamente legittimato, senza che vi sia necessità di evocare
in giudizio anche dotti altri soci.
Il principio evidenzia, nella concreta vicenda, la regolarità della costituzione
dei contraddittorio nelle precorso fasi processuali, e quindi richiede lo scrutinio
dei motivi dei ricorso per cassazione.
Per la pronuncia su tali motivi, od anche sulle spese dei giudizio di cassazione
la causa va rimessa alla Sezione prima civile.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2000,nellla camera di consiglio delle Sezioni
unite civili della Corte di cassazione.