Cassazione civile, SEZIONE I, 2 maggio 1997, n. 3805


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott.    Antonio           SENSALE                     Presidente
"       Pellegrino        SENOFONTE                   Consigliere
"       Mario R.          VIGNALE                          "
"       Vincenzo          PROTO                            "
"       Giuseppe          MARZIALE                    Rel. "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da>
EDILIO  GIANESI,      elettivamente  domiciliato  in  Roma,   Via
Barberini, n. 86, presso lo studio dell'avv. Franco Salvucci, che  lo
rappresenta e difende unitamente all'avv. Giorgio Baldini del Foro di
Milano, in virtù di procura in calce al ricorso
Ricorrente
contro
NUOVA COI S.p.a.,     elettivamente domiciliata in Roma, Via  dei
Tre Orologi, n. 12, presso lo studio dell'avv. Alba Torrese,  che  la
rappresenta e difende, unitamente all'avv. Stefano Taurini  del  Foro
di Milano, in virtù di procura in calce al controricorso
Resistente
avverso
la sentenza n. 2415-93, emessa dalla Corte d'Appello di Milano il  23
novembre 1993.
udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza  dell'8
gennaio 1997 dal Consigliere dott. Giuseppe Marziale;
udito, per il ricorrente, l'avvocato Salvucci;
udito il P.M., in persona del sostituto  procuratore  generale  dott.
Giovanni Lo Cascio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

1 Con atto notificato il 31 gennaio 1987 la società Nuova Coi s.r.l. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, Edilio Gianesi, esponendo:
che il convenuto, il quale aveva ricoperto la carica di amministratore unico fino al 20 settembre 1985, aveva posto in essere una serie di operazioni illegittime e gravemente lesive per il patrimonio della società;
che in particolare, dopo aver ricevuto dalla società Ge.Pa.G. la somma di L. 122.400.000 per la sottoscrizione di una parte delle azioni emesse in esecuzione di una delibera di aumento del capitale sociale, aveva arbitrariamente restituito tale somma alla società sottoscrittrice, destinandola alla esecuzione dell'aumento di capitale deliberato da una diversa società (
la O.M.G.), prima ancora che l'assemblea della società avesse deliberato al riguardo;
che, inoltre, il Gianesi, al fine di fronteggiare una crisi finanziaria sua personale e di altre società a lui facenti capo, aveva prelevato in più riprese dalle casse sociali, a partire dal settembre 1980, la somma di 270 milioni di lire, imputandola successivamente all'acquisto di azioni della s.p.a. Gianesi della quale era amministratore e socio, che il bilancio della la s.p.a. Gianesi (costituita dal convenuto nel 1974 e rimasta inattiva fino a tutto il 1979) già nel 1980 evidenziava perdite non irrilevanti;
che tale situazione era andata progressivamente aggravandosi negli esercizi successivi e aveva portato all'azzeramento del valore della partecipazione acquistata a seguito della ammissione della società a concordato preventivo con cessione dei beni;
che l'assemblea della società, ritualmente convocata, aveva deliberato, in data 25 marzo 1986, di promuovere l'azione sociale di responsabilità nei confronti dell'ex amministratore a norma dell'art. 2393 c.c.
Tanto premesso, la società attrice chiedeva la condanna del convenuto al pagamento della somma di L. 392.400.000, con interessi e rivalutazione.
Costituendosi in giudizio, il Gianesi si opponeva all'accoglimento della domanda deducendo, in particolare, che l'incarico di amministratore era stato da lui abbandonato fin dal 20 settembre 1982 e che nessun danno la società aveva subito per effetto delle operazioni la cui legittimità era stata contestata e, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell'attrice al pagamento del compenso a lui spettante quale amministratore, chiedendo al Tribunale di provvedere alla sua liquidazione.
Il Tribunale, con sentenza depositata il 29 maggio 1989, accoglieva parzialmente la domanda attrice, precisando che la società Nuova Coi non aveva provato di aver subito un danno dalla (pur arbitraria) restituzione delle somme versate dalla Ge.Pa.G. in sottoscrizione dell'aumento di capitale Il convenuto veniva così condannato al pagamento della somma di L. 270.000.000 (corrispondente all'ammontare dei prelevamenti di denaro poi imputati all'acquisto delle azioni della s.p.a. Gianesi), oltre interessi e rivalutazione. La riconvenzionale era invece respinta, sul duplice rilievo che vi erano elementi i quali lasciavano intendere che l'incarico conferito al Gianesi era stato gratuito e che, comunque, egli non aveva diritto a compenso, non avendo adempiuto alle proprie obbligazioni.
2 La sentenza veniva appellata, con atto notificato il 28 settembre 1989, dal Gianesi, il quale censurava la sentenza:
- per aver rigettato la richiesta di pagamento del compenso, senza considerare che la tardiva richiesta non era elemento che, di per se, poteva lasciar presumere che l'avente diritto avesse inteso rinunziarvi;
per aver accolto (sia pure parzialmente) la richiesta risarcitoria avanzata sul duplice rilievo che i prelievi di danaro dalle casse sociali erano stati sicuramente illegittimi e che il trasferimento delle azioni non era stato idoneo ad eliminare il danno così arrecato alla società in quanto esse erano praticamente prive di valore! senza considerare:
- che i valori espressi dal bilancio di esercizio redatto per il 1980 dalla s.p.a. Gianesi non riflettevano l'effettiva consistenza del patrimonio sociale e che, pertanto, il valore reale delle azioni acquisite dalla Nuova Coi era, in quel momento, superiore al valore nominale;
- che le avverse congiunture che avevano colpito la società Gianesi in epoca successiva non potevano riflettersi sul valore che esso aveva quando la cessione era stata effettuata;
- che nel bilancio redatto per l'anno 1982 la partecipazione era stata iscritta per il valore di L. 187.000.000, con una diminuzione(solo) del 30%, rispetto al valore nominale al quale erano state a suo tempo acquistate;
- che il 24 febbraio 1983
la Nuova Coi aveva ricevuto da un terzo l'offerta di acquisto di 25.000.000 azioni della s.p.a.
Gianesi al valore nominale per una somma complessiva di L. 250.000.000;
- che, infine, la ritenuta gratuità del mandato ad amministrare, avrebbe dovuto indurre a valutare "con minor rigore" la sua responsabilità, secondo quanto stabilito dall'art. 1710 c.c.
Con la seconda comparsa conclusionale, depositata il 14 ottobre
1993, l'appellante eccepiva inoltre l'improcedibilità e la prescrizione dell'azione sociale di responsabilità, deducendo:
che era stata prodotta una copia "informe" e scarsamente leggibile della delibera con la quale l'assemblea aveva autorizzato la proposizione dell'azione sociale di responsabilità;
che, comunque, da tale documento risultava che a detta riunione non aveva preso parte uno dei sindaci e che, pertanto, non essendo stata fornita la prova della sua rituale convocazione a norma dell'art. 2384 c.c., doveva ritenersi che fosse stata priva di rilievo giuridico.
2.1 L'appello era però respinto dalla Corte d'Appello di Milano che dopo aver osservato che l'appellante aveva prodotto all'udienza collegiale, senza che la controparte si opponesse, una copia autentica del verbale assembleare, nel quale si dava atto che l'assemblea era stata "ritualmente convocata" e che tale dato di fatto, rimasto incontroverso per tutto il corso del giudizio, non poteva essere messo in dubbio per la prima volta con la comparsa conclusionale rilevava:
che non era stata fornita la prova che azioni della s.p.a.
Gianesi trasferite alla Nuova Coi avessero un valore (quanto meno) pari all'ammontare delle somme illegittimamente distratte dall'appellante;
che le prove assunte in quella fase di giudizio avevano escluso che, dopo il mese di settembre 1982, erano pervenute alla Nuova Coi offerte per l'acquisto del pacchetto azionario della s.p.a. Gianesi;
che il comportamento tenuto dal Gianesi fin dalla costituzione della società (1976), rappresentava "indice inequivoco" di una sua rinuncia al compenso e che, comunque, non era stata censurata l'ulteriore affermazione addotta a sostegno del rigetto della riconvenzionale, concernente il mancato adempimento degli obblighi nascenti dal mandato.
che la gravità delle irregolarità riscontrate era tale da giustificare un'affermazione di responsabilità del Gianesi anche applicando il criterio di "minor rigore" indicato dall'art. 1710 c.c. per il caso di gratuità del mandato.
3 Edilio Gianesi propone ricorso, chiedendo la cassazione della sentenza impugnata con otto motivi. La società Nuova Coi resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

Diritto

4 Il ricorrente censura la sentenza impugnata:
con i primi tre motivi, per non aver riconosciuto, se non l'inesistenza giuridica, almeno l'invalidità della delibera con la quale, il 25 marzo 1986, Ìassemblea dei soci della società Nuova Coi aveva autorizzato la proposizione dell'azione sociale di responsabilità nei suoi confronti;
con il quarto, il quinto, il sesto e il settimo motivo, per aver ritenuto esistenti gli addebiti mossi dalla controparte al suo operato di amministratore, senza neppure considerare che, quando l'incarico è gratuito, la responsabilità dell'amministratore deve essere considerata con minor rigore;
con l'ottavo motivo, per non aver accolto la domanda riconvenzionale.
5 Prima di scendere all'esame di tali doglianze è necessario farsi carico di una questione che non è stata sollevata dalle parti ma che, riguardando l'individuazione del giudice competente per materia, rientra tra quelle che possono essere rilevate anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, alla stregua di quanto stabilito dall' art. 38, primo comma, c.p.c., nel suo testo originario, che continua ad essere applicabile ai giudizi che, come quello in esame, erano pendenti alla data del 30 aprile 1995 (art. 90, legge 26 novembre 1990, n. 353, così come riformulato, da ultimo, dall'art. 9 del D.L. 18 ottobre 1995, n. 432).
Il giudizio concerne, da un lato, l'accertamento dell'azione sociale di responsabilità promossa dalla s.r.l. Nuova Coi nei confronti dell'ex amministratore unico Edilio Gianesi, il quale, come risulta pacificamente dagli atti, era anche socio di detta società; dall'altro, l'accertamento del suo diritto a percepire, per l'attività espletata, il compenso previsto dall'art. 2389 c.c.
5.1 Con sentenza emanata il 14 dicembre 1994, n. 10680, questa Corte ha statuito, a Sezioni Unite, che la controversia in cui l'amministratore di una società di capitali chieda la condanna della medesima al pagamento di una somma dovuta per effetto dell'attività di esercizio delle funzioni gestorie è soggetta al rito del lavoro, a norma dell'art. 409, n. 3, c.p.c.
La questione aveva dato luogo, in precedenza, a orientamenti contrastanti di questa stessa Corte che mentre con alcune decisioni aveva attribuito al rito ordinario le controversie tra amministratore e società relative allo svolgimento di compiti strettamente connessi all'ufficio ricoperto (Cass. 19 settembre 1991, n. 9788, 23 agosto 1991, n. 9076, 3 aprile 1991, n. 3980) con altre aveva invece ritenuto che dette controversie rientrassero nella cognizione del giudice del lavoro perché inerenti ad un rapporto che, pur non essendo configurabile come di lavoro subordinato, presenta tuttavia i caratteri propri di quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c.
(Cass. 2 ottobre 1991, n. 10259; 24 marzo 1981, n. 1722).
Le Sezioni Unite dopo aver rilevato che il legislatore, pur avendo differenziato il rito del lavoro rispetto a quello ordinario "allo scopo di offrire attraverso forme giuridiche semplificate, Ìattenuazione dei poteri delle parti ed il rafforzamento di quelli del giudice uno strumento più rapido ed efficace di realizzazione delle giuste pretese del lavoratore, inteso quale soggetto economicamente più debole rispetto al datore di lavoro e perciò tendente al conseguimento di prestazioni necessarie anzitutto ad assicurare a sè e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa", ha poi esteso detta tutela al di là dell'area coperta dal lavoro subordinato, fino a comprendere "i rapporti che la dottrina ha chiamato parasubordinati e che, esclusa ogni sottoposizione a poteri organizzativi e disciplinari del datore, siano caratterizzati dalla durata e da un collegamento con l'organizzazione economica dell'altra parte... tale da influire sulla rapidità ed esattezza di realizzazione delle relative pretese patrimoniali" ha osservato che la presenza di queste caratteristiche nelle prestazioni espletate dall'amministratore è "innegabile", precisando che la qualificazione dell'amministratore quale "organo" della società non toglie che, nei rapporti interni, l'uno e l'altra rilevino come distinti centri d'imputazione di situazioni giuridiche e che tra di essi possa conseguentemente instaurarsi un rapporto intersoggettivo di natura obbligatoria.
5.2 Se questi principi fossero invocabili nel caso di specie non potrebbe esservi dubbio che la domanda proposta dal Gianesi, avendo carattere retributivo, rientrerebbe tra quelle attribuite alla cognizione del pretore in funzione del giudice del lavoro e che debbono, conseguentemente, essere decise secondo il rito stabilito dagli artt. 413 ss. c.p.c.
E potrebbe non infondatamente ritenersi che a conclusioni non diverse dovrebbe giungersi anche per la domanda avanzata dalla Nuova Coi, avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità del Gianesi a norma degli artt. 2392 e 2393 c.c., posto che anche tale domanda trova pur sempre il suo fondamento nel rapporto "di servizio" che lega l'amministratore alla società (e quindi ad un rapporto che, in base a quanto statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza sopra richiamata, deve essere annoverato tra quelli contemplati dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c.) e che la relativa controversia, essendo già pendente alla data del 30 aprile 1995, non potrebbe essere soggetta all'applicazione del nuovo testo dell'art. 48 dell'ordinamento giudiziario (introdotto dall'art. 88 della legge 26 novembre 1990, n. 353, ed entrato in vigore il 30 aprile 1995), che riserva alla cognizione del Tribunale in sede ordinaria, nella composizione collegiale, "i giudizi di responsabilità da chiunque promossi contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali e i liquidatori".
5.3 Deve tuttavia riconoscersi che l'esame della complessa questione, inizialmente rimessa alle Sezioni Unite, è ormai precluso.
Invero per quanto attiene all'azione di responsabilità proposta nei confronti del Gianesi non può che prendersi atto della mancata impugnazione, da parte della società Nuova Coi, della pronunzia di parziale rigetto adottata al riguardo dal Tribunale e della conseguente formazione di un giudicato (interno) implicito su tale questione, che non era stata espressamente affrontata, dal momento che il riconoscimento della propria competenza costituisce l'antecedente logico, essenziale ed imprescindibile di ogni statuizione di merito (Cass. 30 agosto 1995, n. 9208).
La cognizione del Tribunale, nella sede ordinaria, su tale domanda non può pertanto essere rimessa in discussione. Nè, per giungere ad una diversa conclusione, varrebbe richiamarsi al terzo comma dell'art. 40 del codice di rito (aggiunto dall'art. 5 della legge 26 novembre 1990, n. 353, e immediatamente applicabile anche rispetto ai giudizi in corso: art. 90, primo comma, della legge 26 novembre 1990, n. 353, così come riformulato, da ultimo, dall'art. 9 del D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534), il quale dispone che "le cause, cumulativamente proposte o successivamente riunite, debbono essere trattate col.... solo rito speciale quando una di tali cause rientri tra quelle indicate negli artt. 409 e 442", anche nell'ipotesi in cui la riunione, come nel caso di specie, trovi fondamento nelle ragioni di connessione previste dall'art. 36 c.p.c.: l'attrazione in favore della cognizione del giudice del lavoro trova infatti, nel caso di specie, un ostacolo insormontabile nella immodificabilità della competenza del giudice ordinario; con l'ulteriore conseguenza che, dovendo esser salvaguardata la trattazione unitaria delle cause connesse, viene in tal, ipotesi ad essere eccezionalmente trattata e decisa con il rito ordinario anche una causa (quella avanzata in via riconvenzionale dal Gianesi nei confronti della società Nuova Coi ) che pure, stando ai principi sopra enunciati, rientrerebbe tra quelle indicate negli artt. 409 e 442 c.p.c.
Ciò premesso, può passarsi all'esame del merito. 6 - Con i primi tre motivi il ricorrente contesta, sono diversi profili, la validità della delibera in data 25 marzo 1986, con la quale l'assemblea della società Nuova Coi autorizzò la proposizione dell'azione sociale di responsabilità. Egli assume che i giudici d'appello avrebbero errato a non considerare;
a) che la società non aveva fornito la prova dell'avvenuta convocazione dell'assemblea nelle forme stabilite dall'art. 2484 c.c., e mancavano quindi i presupposti per affermare che la convocazione fosse stata rituale, anche se nel verbale si dava atto che l'assemblea era stata "regolarmente convocata";
b) che, pertanto, non essendo intervenuti tutti i componenti del collegio sindacale, l'assemblea non poteva dirsi regolarmente costituita neppure ai sensi dell'art. 2366, ultimo comma, c.c., con l'ulteriore conseguenza che la deliberazione, assunta in quell'occasione, con la quale era stata autorizzata la proposizione dell'azione sociale di responsabilità, era da ritenersi inidonea a conseguire gli effetti previsti Dall. 2393, primo comma, c.c.;
c) che al momento della cessione della sua quota di partecipazione nella Nuova Coi, la partecipazione nella s.p.a.
Gianesi costituiva già parte integrante del patrimonio di tale società e la sua consistenza era stata oggetto "di attento esame, di puntuale discussione e, infine, di accordo" da parte degli attuali soci della Nuova Coi;
d) che quindi a meno di non voler dilatare "oltre ogni limite di ragionevolezza, di giustizia e di diritto la separazione soggettiva tra società a responsabilità limitata e soci che vi partecipano" era evidente che la deliberazione successivamente assunta da quegli stessi soggetti, ai sensi dell'art. 2393, primo comma, c.c., si poneva in aperta contraddizione con le valutazioni e le determinazioni da essi in precedenza espresse, rivelandosi "un artificio fraudolento" posto in essere "per eludere le obbligazioni assunte stipulando il contratto di acquisto delle quote".
6.1 Tali doglianze sono tutte infondate.
Quelle puntualizzate nelle lettere a) e b) del precedente paragrafo, muovono dal presupposto che incombesse alla società l'onere di provare la validità della delibera assembleare che aveva autorizzato la proposizione dell'azione di responsabilità. Ma è agevole replicare che, in base al principio sancito dall'art. 2697 c.c., spetta invece a chi contesti la validità di un atto negoziale l'onere di dimostrare l'esistenza dei fatti addotti a sostegno della sua invalidità. Invero fermo restando che "chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento" deve osservarsi che non tutte le circostanze necessarie per la produzione di un determinato effetto giuridico, vanno annoverate tra i fatti "costitutivi", in quanto come può desumersi dal secondo comma della medesima disposizione la ricorrenza dei requisiti di carattere generale, che normalmente si accompagnano al fatto specifico (la conclusione del contratto, il compimento dell'atto unilaterale) da cui deriva l'effetto giuridico che interessa può darsi per scontata: sarà quindi chi ne assume l'inesistenza a dover fornire, pertanto, la dimostrazione della loro (eccezionale) mancanza nel caso concreto, che impedisce all'atto di spiegare la propria efficacia.
S'intende allora che pur dovendosi riconoscere che l'efficacia privilegiata del verbale notarile non poteva estendersi all'attestazione riguardante la regolarità della convocazione, riguardando questa adempimenti da effettuarsi prima della riunione assembleare l'onere di contestare la ritualità della convocazione non poteva che gravare su colui che aveva allegato l'esistenza di tale vizio della delibera assembleare.
6.2 Quanto alle altre censure, specificate alle lettere c) e d) del n. 5, è sufficiente rilevare che se è indubbio che il rapporto tra le persone giuridiche e i suoi membri non può essere concepito alla stregua di quello che intercorre tra due persone fisiche è altrettanto vero che la presenza di una organizzazione sociale esclude che le situazioni imputate ai singoli soci possano identificarsi con quelle che sono riferite agli stessi soggetti come individui (Cass. 3 aprile 1995, n. 3903; 12 dicembre 1995, n. 12733).
Appare quindi evidente che non può essere ravvisata alcuna ragione di illiceità, e comunque di invalidità, nella deliberazione con la quale l'assemblea della Nuova Coi ebbe ad autorizzare l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti del Gianesi nel fatto che essa sia stata adottata con il consenso di quegli stessi soggetti che, in precedenza, avevano rilevato la quota del Gianesi, essendo evidente che la loro partecipazione alla formazione di tali atti si è realizzata, nelle due ipotesi, in ruoli diversi e a tutela di interessi del tutto distinti. Come opportunamente si è posto in evidenza nella sentenza impugnata, nella quale si è sottolineato, non meno esattamente, che la ritardata percezione del danno non può comunque valere ad escluderne l'esistenza.
7 Del pari evidente è l'infondatezza della censura formulata con il quarto motivo, con il quale il ricorrente denunziando violazione degli artt. 2475 e 2331 c.c. contesta la sussistenza degli addebiti mossi al suo operato di amministratore della Nuova Coi, deducendo che i prelevamenti di danaro dalle casse della società da lui amministrata erano stati giustificati "da esigenze di liquidità di altre società o soggetti facenti capo allo stesso gruppo aziendale".
Invero, il collegamento economico e funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo, controllate da una società madre, non fa venir meno la distinta soggettività delle società in esso ricomprese nè comporta che l'interesse delle une possa essere legittimamente sacrificato a quello delle altre (Cass. 8 maggio 1991, n. 5123; 5 febbraio 1990, n. 1439; 13 febbraio 1992, n. 1759; 20 aprile 1995, n. 4421).
8 Il quinto e il sesto motivo investono la sentenza impugnata nella parte in cui è stata ritenuta congrua la liquidazione del danno, stimata dai giudici di primo grado in L. 270.000.000.
La Corte territoriale dopo aver rilevato che il Gianesi aveva prelevato a più riprese, dal settembre 1980 all'agosto del 1982, una somma pari a L.
270.000.000 in contanti "senza alcuna causa riferibile alla gestione sociale" e che l'intestazione (in un periodo compreso tra il 28 dicembre 1981 e il 1 settembre 1982) alla Nuova Coi delle azioni emesse dalla s.p.a Gianesi, a lui intestate, era stata effettuata "per controbilanciare tali prelievi" ha tratto dall'esame delle risultanze processuali (e, in particolare, dalla considerazione: a) che nei bilanci della s.p.a. Gianesi relativi agli anni 1980-1982 erano indicate, in misura sempre crescente, perdite di esercizio che nell'esercizio 1982 (nel corso del quale la partecipazione venne acquisita) avevano raggiunto l'ammontare di L. 1.237.235.648, a fronte di un capitale di L. 1.700.000.000; b) che nel 1983 la stessa società era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo con cessione dei beni; c) che, infine, malgrado le affermazioni del ricorrente, non si era mai presentata alla Nuova Coi una reale opportunità di vendita della partecipazione nella società Gianesi ) il convincimento che detta partecipazione era in realtà priva di alcun effettivo valore economico.
8.1 Il ricorrente contesta la validità di detta conclusione, assumendo:
con il quinto motivo, che
la Corte di merito con motivazione contraddittoria e in violazione dei principi in tema di causalità giuridica e di presunzioni (artt. 2043, 2727, 2729 c.c.) avrebbe tratto tale conclusione dal mancato perfezionamento delle trattative per la vendita della partecipazioni della trattativa di vendita, senza considerare che il suo fallimento era stato determinato dall'inerzia dei (nuovi) amministratori della società;
con il sesto motivo, di non aver considerato disattendendo i principi in tema di efficacia delle scritture contabili, sanciti dagli artt. 2709, 2214 e 2424 c.c. che nel bilancio della Nuova Coi, relativo all'esercizio 1982, il valore della partecipazione era stato indicato in L. 187.000.000.
È tuttavia agevole replicare:
a) che, contrariamente a quanto assume il ricorrente, il convincimento circa la mancanza di effettivo valore economico della partecipazione al capitale della s.p.a. Gianesi è stato tratto dalla Corte territoriale dall'esame complessivo delle risultanze processuali (e, in particolare, dall'analisi delle risultanze contabili), anziché dalla sola circostanza relativa al fallimento della trattativa avviata per la sua cessione a terzi;
b) che tale censura muove quindi da una premessa inesatta e questo vale ad escluderne la fondatezza sono entrambi i profili prospettati;
c) che le violazioni di legge denunziate con il sesto motivo sono del pari infondate, posto che il principio espresso dall'art. 2709 c.c., secondo cui i libri e le altre scritture contabili (fra le quali certamente è da ricomprendere anche il bilancio di esercizio: Cass. 26 marzo 1983, n. 2148; 19 novembre 1980, n. 6161) "fanno prova contro l'imprenditore" non può che riferirsi all'accertamento dei fatti e non riguarda, pertanto, le "valutazioni" in esse eventualmente espresse, che possono essere prese in considerazione solo se, e nei limiti in cui, siano state formulate nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge;
d) che
la Corte territoriale ha dato conto in modo adeguato del convincimento espresso circa la mancanza di un effettivo valore economico della partecipazione azionaria della Gianesi s.p.a. acquisita dalla Nuova Coi e il suo apprezzamento non può essere quindi riconsiderato in questa sede di legittimità, essendo fondato su valutazioni riservate alla cognizione esclusiva del giudice del merito (Cass. 24 maggio 1991, n. 5869; 18 giugno 1992, n. 7548).
9 Non meno evidente è l'infondatezza del settimo motivo, con il quale il ricorrente denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 1710 c.c., nonché vizio di motivazione censura la sentenza impugnata perché, pur affermando che l'incarico ad amministrare era stato gratuito, non avrebbe poi considerato che, se fosse stata vera tale premessa, la sua responsabilità avrebbe dovuto essere valutata con "minor rigore".
Invero,
la Corte territoriale non ha disconosciuto la vigenza di tale principio, ma affermato che le irregolarità riscontrate erano così gravi, da dover essere sanzionate anche alla stregua del meno severo criterio di valutazione previsto dalla seconda parte del primo comma della norma in questione.
10 Resta l'ottavo motivo, che concerne il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale, con il quale denunziandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 2389, 769 ss., 1321 ss., 1460, 2043 ss., 2041 c.c., nonché vizio di motivazione la sentenza impugnata viene censurata:
per aver ritenuto che il comportamento del ricorrente era stato tale da lasciar desumere una sua implicita rinunzia al compenso di amministratore, senza considerare che gli elementi acquisiti non erano affatto univoci e che, comunque, tale atto, concretandosi in una liberalità, avrebbe comportato il rispetto di requisiti formali prescritti a pena di nullità, che nel caso di specie non erano stati rispettati;
per aver fatto applicazione dei principi in tema di compensatio lucri cum damno e di arricchimento senza causa ed essersi invece richiamata, pur in assenza di eccezione di parte, a quello espresso dall'art. 1460 c.c.
Va considerato, in proposito, che i giudici di primo grado avevano rigettato la domanda riconvenzionale per un duplice ordine di motivi, osservando che il Gianesi non poteva reclamare alcuna somma a titolo di compenso:
perché vi aveva implicitamente rinunziato;
perché, comunque, era inadempiente agli obblighi nascenti dal mandato.
Nella sentenza impugnata, pur ribadendo la correttezza del giudizio espresso dal Tribunale circa la sussistenza degli estremi di una rinuncia implicita al compenso, si pone tuttavia in rilievo che nessuna censura era stata formulata dall'appellante in ordine all'altro argomento posto a fondamento della decisione appellata.
La circostanza non è contestata dal ricorrente e comunque risulta pacificamente dagli atti.
Deve pertanto ritenersi che la statuizione di rigetto in ordine alla domanda riconvenzionale fosse ormai passata in giudicato, in base alla ratio decidendi non impugnata e, come tale, non ulteriormente sindacabile (Cass. 22 luglio 1987, n. 6369; 28 marzo 1981, n. 1786). E ciò rende inammissibili, in quanto ultronee, le doglianze formulate dal ricorrente sono diversi profili circa il mancato accoglimento della riconvenzionale.
11 - Il ricorso deve essere quindi respinto in ogni sua parte. Le spese seguono la soccombenza e possono essere liquidate come in dispositivo.

P.Q.M

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese nella misura di lire 525.900 liquidando gli onorari in L. 15.000.000.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997.