Cassazione civile, SEZIONE I, 2 maggio 1997, n. 3805
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Antonio SENSALE Presidente
" Pellegrino SENOFONTE Consigliere
" Mario R. VIGNALE "
" Vincenzo PROTO "
" Giuseppe MARZIALE Rel. "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da>
EDILIO GIANESI, elettivamente domiciliato in Roma, Via
Barberini, n. 86, presso lo studio dell'avv. Franco Salvucci, che lo
rappresenta e difende unitamente all'avv. Giorgio Baldini del Foro di
Milano, in virtù di procura in calce al ricorso
Ricorrente
contro
NUOVA COI S.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, Via dei
Tre Orologi, n. 12, presso lo studio dell'avv. Alba Torrese, che la
rappresenta e difende, unitamente all'avv. Stefano Taurini del Foro
di Milano, in virtù di procura in calce al controricorso
Resistente
avverso
la sentenza n. 2415-93, emessa dalla Corte d'Appello di Milano il 23
novembre 1993.
udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza dell'8
gennaio 1997 dal Consigliere dott. Giuseppe Marziale;
udito, per il ricorrente, l'avvocato Salvucci;
udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott.
Giovanni Lo Cascio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
1 Con atto notificato il 31 gennaio 1987 la società Nuova Coi s.r.l.
conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, Edilio Gianesi, esponendo:
che il convenuto, il quale aveva ricoperto la carica di amministratore unico
fino al 20 settembre 1985, aveva posto in essere una serie di operazioni illegittime
e gravemente lesive per il patrimonio della società;
che in particolare, dopo aver ricevuto dalla società Ge.Pa.G. la somma di L.
122.400.000 per la sottoscrizione di una parte delle azioni emesse in esecuzione
di una delibera di aumento del capitale sociale, aveva arbitrariamente restituito
tale somma alla società sottoscrittrice, destinandola alla esecuzione dell'aumento
di capitale deliberato da una diversa società (
che, inoltre, il Gianesi, al fine di fronteggiare una crisi finanziaria sua
personale e di altre società a lui facenti capo, aveva prelevato in più riprese
dalle casse sociali, a partire dal settembre 1980, la somma di 270 milioni di
lire, imputandola successivamente all'acquisto di azioni della s.p.a. Gianesi
della quale era amministratore e socio, che il bilancio della la s.p.a. Gianesi
(costituita dal convenuto nel 1974 e rimasta inattiva fino a tutto il 1979)
già nel 1980 evidenziava perdite non irrilevanti;
che tale situazione era andata progressivamente aggravandosi negli esercizi
successivi e aveva portato all'azzeramento del valore della partecipazione acquistata
a seguito della ammissione della società a concordato preventivo con cessione
dei beni;
che l'assemblea della società, ritualmente convocata, aveva deliberato, in data
25 marzo 1986, di promuovere l'azione sociale di responsabilità nei confronti
dell'ex amministratore a norma dell'art. 2393 c.c.
Tanto premesso, la società attrice chiedeva la condanna del convenuto al pagamento
della somma di L. 392.400.000, con interessi e rivalutazione.
Costituendosi in giudizio, il Gianesi si opponeva all'accoglimento della domanda
deducendo, in particolare, che l'incarico di amministratore era stato da lui
abbandonato fin dal 20 settembre 1982 e che nessun danno la società aveva subito
per effetto delle operazioni la cui legittimità era stata contestata e, in via
riconvenzionale, chiedeva la condanna dell'attrice al pagamento del compenso
a lui spettante quale amministratore, chiedendo al Tribunale di provvedere alla
sua liquidazione.
Il Tribunale, con sentenza depositata il 29 maggio 1989, accoglieva parzialmente
la domanda attrice, precisando che la società Nuova Coi non aveva provato di
aver subito un danno dalla (pur arbitraria) restituzione delle somme versate
dalla Ge.Pa.G. in sottoscrizione dell'aumento di capitale Il convenuto veniva
così condannato al pagamento della somma di L. 270.000.000 (corrispondente all'ammontare
dei prelevamenti di denaro poi imputati all'acquisto delle azioni della s.p.a.
Gianesi), oltre interessi e rivalutazione. La riconvenzionale era invece respinta,
sul duplice rilievo che vi erano elementi i quali lasciavano intendere che l'incarico
conferito al Gianesi era stato gratuito e che, comunque, egli non aveva diritto
a compenso, non avendo adempiuto alle proprie obbligazioni.
2 La sentenza veniva appellata, con atto notificato il 28 settembre 1989, dal
Gianesi, il quale censurava la sentenza:
- per aver rigettato la richiesta di pagamento del compenso, senza considerare
che la tardiva richiesta non era elemento che, di per se, poteva lasciar presumere
che l'avente diritto avesse inteso rinunziarvi;
per aver accolto (sia pure parzialmente) la richiesta risarcitoria avanzata
sul duplice rilievo che i prelievi di danaro dalle casse sociali erano stati
sicuramente illegittimi e che il trasferimento delle azioni non era stato idoneo
ad eliminare il danno così arrecato alla società in quanto esse erano praticamente
prive di valore! senza considerare:
- che i valori espressi dal bilancio di esercizio redatto per il 1980 dalla
s.p.a. Gianesi non riflettevano l'effettiva consistenza del patrimonio sociale
e che, pertanto, il valore reale delle azioni acquisite dalla Nuova Coi era,
in quel momento, superiore al valore nominale;
- che le avverse congiunture che avevano colpito la società Gianesi in epoca
successiva non potevano riflettersi sul valore che esso aveva quando la cessione
era stata effettuata;
- che nel bilancio redatto per l'anno 1982 la partecipazione era stata iscritta
per il valore di L. 187.000.000, con una diminuzione(solo) del 30%, rispetto
al valore nominale al quale erano state a suo tempo acquistate;
- che il 24 febbraio 1983
Gianesi al valore nominale per una somma complessiva di L. 250.000.000;
- che, infine, la ritenuta gratuità del mandato ad amministrare, avrebbe dovuto
indurre a valutare "con minor rigore" la sua responsabilità, secondo
quanto stabilito dall'art. 1710 c.c.
Con la seconda comparsa conclusionale, depositata il 14 ottobre
che era stata prodotta una copia "informe" e scarsamente leggibile
della delibera con la quale l'assemblea aveva autorizzato la proposizione dell'azione
sociale di responsabilità;
che, comunque, da tale documento risultava che a detta riunione non aveva preso
parte uno dei sindaci e che, pertanto, non essendo stata fornita la prova della
sua rituale convocazione a norma dell'art. 2384 c.c., doveva ritenersi che fosse
stata priva di rilievo giuridico.
2.1 L'appello era però respinto dalla Corte d'Appello di Milano che dopo aver
osservato che l'appellante aveva prodotto all'udienza collegiale, senza che
la controparte si opponesse, una copia autentica del verbale assembleare, nel
quale si dava atto che l'assemblea era stata "ritualmente convocata"
e che tale dato di fatto, rimasto incontroverso per tutto il corso del giudizio,
non poteva essere messo in dubbio per la prima volta con la comparsa conclusionale
rilevava:
che non era stata fornita la prova che azioni della s.p.a.
Gianesi trasferite alla Nuova Coi avessero un valore (quanto meno) pari all'ammontare
delle somme illegittimamente distratte dall'appellante;
che le prove assunte in quella fase di giudizio avevano escluso che, dopo il
mese di settembre 1982, erano pervenute alla Nuova Coi offerte per l'acquisto
del pacchetto azionario della s.p.a. Gianesi;
che il comportamento tenuto dal Gianesi fin dalla costituzione della società
(1976), rappresentava "indice inequivoco" di una sua rinuncia al compenso
e che, comunque, non era stata censurata l'ulteriore affermazione addotta a
sostegno del rigetto della riconvenzionale, concernente il mancato adempimento
degli obblighi nascenti dal mandato.
che la gravità delle irregolarità riscontrate era tale da giustificare un'affermazione
di responsabilità del Gianesi anche applicando il criterio di "minor rigore"
indicato dall'art. 1710 c.c. per il caso di gratuità del mandato.
3 Edilio Gianesi propone ricorso, chiedendo la cassazione della sentenza impugnata
con otto motivi. La società Nuova Coi resiste con controricorso. Entrambe le
parti hanno depositato memorie difensive.
4 Il ricorrente censura la sentenza impugnata:
con i primi tre motivi, per non aver riconosciuto, se non l'inesistenza giuridica,
almeno l'invalidità della delibera con la quale, il 25 marzo 1986, Ìassemblea
dei soci della società Nuova Coi aveva autorizzato la proposizione dell'azione
sociale di responsabilità nei suoi confronti;
con il quarto, il quinto, il sesto e il settimo motivo, per aver ritenuto esistenti
gli addebiti mossi dalla controparte al suo operato di amministratore, senza
neppure considerare che, quando l'incarico è gratuito, la responsabilità dell'amministratore
deve essere considerata con minor rigore;
con l'ottavo motivo, per non aver accolto la domanda riconvenzionale.
5 Prima di scendere all'esame di tali doglianze è necessario farsi carico di
una questione che non è stata sollevata dalle parti ma che, riguardando l'individuazione
del giudice competente per materia, rientra tra quelle che possono essere rilevate
anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, alla stregua di quanto stabilito
dall' art. 38, primo comma, c.p.c., nel suo testo originario, che continua ad
essere applicabile ai giudizi che, come quello in esame, erano pendenti alla
data del 30 aprile 1995 (art. 90, legge 26 novembre 1990, n. 353, così come
riformulato, da ultimo, dall'art. 9 del D.L. 18 ottobre 1995, n. 432).
Il giudizio concerne, da un lato, l'accertamento dell'azione sociale di responsabilità
promossa dalla s.r.l. Nuova Coi nei confronti dell'ex amministratore unico Edilio
Gianesi, il quale, come risulta pacificamente dagli atti, era anche socio di
detta società; dall'altro, l'accertamento del suo diritto a percepire, per l'attività
espletata, il compenso previsto dall'art. 2389 c.c.
5.1 Con sentenza emanata il 14 dicembre 1994, n. 10680, questa Corte ha statuito,
a Sezioni Unite, che la controversia in cui l'amministratore di una società
di capitali chieda la condanna della medesima al pagamento di una somma dovuta
per effetto dell'attività di esercizio delle funzioni gestorie è soggetta al
rito del lavoro, a norma dell'art. 409, n. 3, c.p.c.
La questione aveva dato luogo, in precedenza, a orientamenti contrastanti di
questa stessa Corte che mentre con alcune decisioni aveva attribuito al rito
ordinario le controversie tra amministratore e società relative allo svolgimento
di compiti strettamente connessi all'ufficio ricoperto (Cass. 19 settembre 1991,
n. 9788, 23 agosto 1991, n. 9076, 3 aprile 1991, n. 3980) con altre aveva invece
ritenuto che dette controversie rientrassero nella cognizione del giudice del
lavoro perché inerenti ad un rapporto che, pur non essendo configurabile come
di lavoro subordinato, presenta tuttavia i caratteri propri di quelli previsti
dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c.
(Cass. 2 ottobre 1991, n. 10259; 24 marzo 1981, n. 1722).
Le Sezioni Unite dopo aver rilevato che il legislatore, pur avendo differenziato
il rito del lavoro rispetto a quello ordinario "allo scopo di offrire attraverso
forme giuridiche semplificate, Ìattenuazione dei poteri delle parti ed il rafforzamento
di quelli del giudice uno strumento più rapido ed efficace di realizzazione
delle giuste pretese del lavoratore, inteso quale soggetto economicamente più
debole rispetto al datore di lavoro e perciò tendente al conseguimento di prestazioni
necessarie anzitutto ad assicurare a sè e alla sua famiglia un'esistenza libera
e dignitosa", ha poi esteso detta tutela al di là dell'area coperta dal
lavoro subordinato, fino a comprendere "i rapporti che la dottrina ha chiamato
parasubordinati e che, esclusa ogni sottoposizione a poteri organizzativi e
disciplinari del datore, siano caratterizzati dalla durata e da un collegamento
con l'organizzazione economica dell'altra parte... tale da influire sulla rapidità
ed esattezza di realizzazione delle relative pretese patrimoniali" ha osservato
che la presenza di queste caratteristiche nelle prestazioni espletate dall'amministratore
è "innegabile", precisando che la qualificazione dell'amministratore
quale "organo" della società non toglie che, nei rapporti interni,
l'uno e l'altra rilevino come distinti centri d'imputazione di situazioni giuridiche
e che tra di essi possa conseguentemente instaurarsi un rapporto intersoggettivo
di natura obbligatoria.
5.2 Se questi principi fossero invocabili nel caso di specie non potrebbe esservi
dubbio che la domanda proposta dal Gianesi, avendo carattere retributivo, rientrerebbe
tra quelle attribuite alla cognizione del pretore in funzione del giudice del
lavoro e che debbono, conseguentemente, essere decise secondo il rito stabilito
dagli artt. 413 ss. c.p.c.
E potrebbe non infondatamente ritenersi che a conclusioni non diverse dovrebbe
giungersi anche per la domanda avanzata dalla Nuova Coi, avente ad oggetto l'accertamento
della responsabilità del Gianesi a norma degli artt. 2392 e 2393 c.c., posto
che anche tale domanda trova pur sempre il suo fondamento nel rapporto "di
servizio" che lega l'amministratore alla società (e quindi ad un rapporto
che, in base a quanto statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza sopra richiamata,
deve essere annoverato tra quelli contemplati dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c.)
e che la relativa controversia, essendo già pendente alla data del 30 aprile
1995, non potrebbe essere soggetta all'applicazione del nuovo testo dell'art.
48 dell'ordinamento giudiziario (introdotto dall'art. 88 della legge 26 novembre
1990, n. 353, ed entrato in vigore il 30 aprile 1995), che riserva alla cognizione
del Tribunale in sede ordinaria, nella composizione collegiale, "i giudizi
di responsabilità da chiunque promossi contro gli organi amministrativi e di
controllo, i direttori generali e i liquidatori".
5.3 Deve tuttavia riconoscersi che l'esame della complessa questione, inizialmente
rimessa alle Sezioni Unite, è ormai precluso.
Invero per quanto attiene all'azione di responsabilità proposta nei confronti
del Gianesi non può che prendersi atto della mancata impugnazione, da parte
della società Nuova Coi, della pronunzia di parziale rigetto adottata al riguardo
dal Tribunale e della conseguente formazione di un giudicato (interno) implicito
su tale questione, che non era stata espressamente affrontata, dal momento che
il riconoscimento della propria competenza costituisce l'antecedente logico,
essenziale ed imprescindibile di ogni statuizione di merito (Cass. 30 agosto
1995, n. 9208).
La cognizione del Tribunale, nella sede ordinaria, su tale domanda non può pertanto
essere rimessa in discussione. Nè, per giungere ad una diversa conclusione,
varrebbe richiamarsi al terzo comma dell'art. 40 del codice di rito (aggiunto
dall'art. 5 della legge 26 novembre 1990, n. 353, e immediatamente applicabile
anche rispetto ai giudizi in corso: art. 90, primo comma, della legge 26 novembre
1990, n. 353, così come riformulato, da ultimo, dall'art. 9 del D.L. 18 ottobre
1995, n. 432, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1995, n.
534), il quale dispone che "le cause, cumulativamente proposte o successivamente
riunite, debbono essere trattate col.... solo rito speciale quando una di tali
cause rientri tra quelle indicate negli artt. 409 e 442", anche nell'ipotesi
in cui la riunione, come nel caso di specie, trovi fondamento nelle ragioni
di connessione previste dall'art. 36 c.p.c.: l'attrazione in favore della cognizione
del giudice del lavoro trova infatti, nel caso di specie, un ostacolo insormontabile
nella immodificabilità della competenza del giudice ordinario; con l'ulteriore
conseguenza che, dovendo esser salvaguardata la trattazione unitaria delle cause
connesse, viene in tal, ipotesi ad essere eccezionalmente trattata e decisa
con il rito ordinario anche una causa (quella avanzata in via riconvenzionale
dal Gianesi nei confronti della società Nuova Coi ) che pure, stando ai principi
sopra enunciati, rientrerebbe tra quelle indicate negli artt. 409 e 442 c.p.c.
Ciò premesso, può passarsi all'esame del merito. 6 - Con i primi tre motivi
il ricorrente contesta, sono diversi profili, la validità della delibera in
data 25 marzo 1986, con la quale l'assemblea della società Nuova Coi autorizzò
la proposizione dell'azione sociale di responsabilità. Egli assume che i giudici
d'appello avrebbero errato a non considerare;
a) che la società non aveva fornito la prova dell'avvenuta convocazione dell'assemblea
nelle forme stabilite dall'art. 2484 c.c., e mancavano quindi i presupposti
per affermare che la convocazione fosse stata rituale, anche se nel verbale
si dava atto che l'assemblea era stata "regolarmente convocata";
b) che, pertanto, non essendo intervenuti tutti i componenti del collegio sindacale,
l'assemblea non poteva dirsi regolarmente costituita neppure ai sensi dell'art.
2366, ultimo comma, c.c., con l'ulteriore conseguenza che la deliberazione,
assunta in quell'occasione, con la quale era stata autorizzata la proposizione
dell'azione sociale di responsabilità, era da ritenersi inidonea a conseguire
gli effetti previsti Dall. 2393, primo comma, c.c.;
c) che al momento della cessione della sua quota di partecipazione nella Nuova
Coi, la partecipazione nella s.p.a.
Gianesi costituiva già parte integrante del patrimonio di tale società e la
sua consistenza era stata oggetto "di attento esame, di puntuale discussione
e, infine, di accordo" da parte degli attuali soci della Nuova Coi;
d) che quindi a meno di non voler dilatare "oltre ogni limite di ragionevolezza,
di giustizia e di diritto la separazione soggettiva tra società a responsabilità
limitata e soci che vi partecipano" era evidente che la deliberazione successivamente
assunta da quegli stessi soggetti, ai sensi dell'art. 2393, primo comma, c.c.,
si poneva in aperta contraddizione con le valutazioni e le determinazioni da
essi in precedenza espresse, rivelandosi "un artificio fraudolento"
posto in essere "per eludere le obbligazioni assunte stipulando il contratto
di acquisto delle quote".
6.1 Tali doglianze sono tutte infondate.
Quelle puntualizzate nelle lettere a) e b) del precedente paragrafo, muovono
dal presupposto che incombesse alla società l'onere di provare la validità della
delibera assembleare che aveva autorizzato la proposizione dell'azione di responsabilità.
Ma è agevole replicare che, in base al principio sancito dall'art. 2697 c.c.,
spetta invece a chi contesti la validità di un atto negoziale l'onere di dimostrare
l'esistenza dei fatti addotti a sostegno della sua invalidità. Invero fermo
restando che "chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve provare
i fatti che ne costituiscono il fondamento" deve osservarsi che non tutte
le circostanze necessarie per la produzione di un determinato effetto giuridico,
vanno annoverate tra i fatti "costitutivi", in quanto come può desumersi
dal secondo comma della medesima disposizione la ricorrenza dei requisiti di
carattere generale, che normalmente si accompagnano al fatto specifico (la conclusione
del contratto, il compimento dell'atto unilaterale) da cui deriva l'effetto
giuridico che interessa può darsi per scontata: sarà quindi chi ne assume l'inesistenza
a dover fornire, pertanto, la dimostrazione della loro (eccezionale) mancanza
nel caso concreto, che impedisce all'atto di spiegare la propria efficacia.
S'intende allora che pur dovendosi riconoscere che l'efficacia privilegiata
del verbale notarile non poteva estendersi all'attestazione riguardante la regolarità
della convocazione, riguardando questa adempimenti da effettuarsi prima della
riunione assembleare l'onere di contestare la ritualità della convocazione non
poteva che gravare su colui che aveva allegato l'esistenza di tale vizio della
delibera assembleare.
6.2 Quanto alle altre censure, specificate alle lettere c) e d) del n. 5, è
sufficiente rilevare che se è indubbio che il rapporto tra le persone giuridiche
e i suoi membri non può essere concepito alla stregua di quello che intercorre
tra due persone fisiche è altrettanto vero che la presenza di una organizzazione
sociale esclude che le situazioni imputate ai singoli soci possano identificarsi
con quelle che sono riferite agli stessi soggetti come individui (Cass. 3 aprile
1995, n. 3903; 12 dicembre 1995, n. 12733).
Appare quindi evidente che non può essere ravvisata alcuna ragione di illiceità,
e comunque di invalidità, nella deliberazione con la quale l'assemblea della
Nuova Coi ebbe ad autorizzare l'esercizio dell'azione di responsabilità nei
confronti del Gianesi nel fatto che essa sia stata adottata con il consenso
di quegli stessi soggetti che, in precedenza, avevano rilevato la quota del
Gianesi, essendo evidente che la loro partecipazione alla formazione di tali
atti si è realizzata, nelle due ipotesi, in ruoli diversi e a tutela di interessi
del tutto distinti. Come opportunamente si è posto in evidenza nella sentenza
impugnata, nella quale si è sottolineato, non meno esattamente, che la ritardata
percezione del danno non può comunque valere ad escluderne l'esistenza.
7 Del pari evidente è l'infondatezza della censura formulata con il quarto motivo,
con il quale il ricorrente denunziando violazione degli artt. 2475 e 2331 c.c.
contesta la sussistenza degli addebiti mossi al suo operato di amministratore
della Nuova Coi, deducendo che i prelevamenti di danaro dalle casse della società
da lui amministrata erano stati giustificati "da esigenze di liquidità
di altre società o soggetti facenti capo allo stesso gruppo aziendale".
Invero, il collegamento economico e funzionale tra imprese gestite da società
di un medesimo gruppo, controllate da una società madre, non fa venir meno la
distinta soggettività delle società in esso ricomprese nè comporta che l'interesse
delle une possa essere legittimamente sacrificato a quello delle altre (Cass.
8 maggio 1991, n. 5123; 5 febbraio 1990, n. 1439; 13 febbraio 1992, n. 1759;
20 aprile 1995, n. 4421).
8 Il quinto e il sesto motivo investono la sentenza impugnata nella parte in
cui è stata ritenuta congrua la liquidazione del danno, stimata dai giudici
di primo grado in L. 270.000.000.
La Corte territoriale dopo aver rilevato che il Gianesi aveva prelevato a più
riprese, dal settembre 1980 all'agosto del 1982, una somma pari a L.
8.1 Il ricorrente contesta la validità di detta conclusione, assumendo:
con il quinto motivo, che
con il sesto motivo, di non aver considerato disattendendo i principi in tema
di efficacia delle scritture contabili, sanciti dagli artt. 2709, 2214 e 2424
c.c. che nel bilancio della Nuova Coi, relativo all'esercizio 1982, il valore
della partecipazione era stato indicato in L. 187.000.000.
È tuttavia agevole replicare:
a) che, contrariamente a quanto assume il ricorrente, il convincimento circa
la mancanza di effettivo valore economico della partecipazione al capitale della
s.p.a. Gianesi è stato tratto dalla Corte territoriale dall'esame complessivo
delle risultanze processuali (e, in particolare, dall'analisi delle risultanze
contabili), anziché dalla sola circostanza relativa al fallimento della trattativa
avviata per la sua cessione a terzi;
b) che tale censura muove quindi da una premessa inesatta e questo vale ad escluderne
la fondatezza sono entrambi i profili prospettati;
c) che le violazioni di legge denunziate con il sesto motivo sono del pari infondate,
posto che il principio espresso dall'art. 2709 c.c., secondo cui i libri e le
altre scritture contabili (fra le quali certamente è da ricomprendere anche
il bilancio di esercizio: Cass. 26 marzo 1983, n. 2148; 19 novembre 1980, n.
6161) "fanno prova contro l'imprenditore" non può che riferirsi all'accertamento
dei fatti e non riguarda, pertanto, le "valutazioni" in esse eventualmente
espresse, che possono essere prese in considerazione solo se, e nei limiti in
cui, siano state formulate nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge;
d) che
9 Non meno evidente è l'infondatezza del settimo motivo, con il quale il ricorrente
denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 1710 c.c., nonché vizio
di motivazione censura la sentenza impugnata perché, pur affermando che l'incarico
ad amministrare era stato gratuito, non avrebbe poi considerato che, se fosse
stata vera tale premessa, la sua responsabilità avrebbe dovuto essere valutata
con "minor rigore".
Invero,
10 Resta l'ottavo motivo, che concerne il mancato accoglimento della domanda
riconvenzionale, con il quale denunziandosi violazione e falsa applicazione
degli artt. 2389, 769 ss., 1321 ss., 1460, 2043 ss., 2041 c.c., nonché vizio
di motivazione la sentenza impugnata viene censurata:
per aver ritenuto che il comportamento del ricorrente era stato tale da lasciar
desumere una sua implicita rinunzia al compenso di amministratore, senza considerare
che gli elementi acquisiti non erano affatto univoci e che, comunque, tale atto,
concretandosi in una liberalità, avrebbe comportato il rispetto di requisiti
formali prescritti a pena di nullità, che nel caso di specie non erano stati
rispettati;
per aver fatto applicazione dei principi in tema di compensatio lucri cum damno
e di arricchimento senza causa ed essersi invece richiamata, pur in assenza
di eccezione di parte, a quello espresso dall'art. 1460 c.c.
Va considerato, in proposito, che i giudici di primo grado avevano rigettato
la domanda riconvenzionale per un duplice ordine di motivi, osservando che il
Gianesi non poteva reclamare alcuna somma a titolo di compenso:
perché vi aveva implicitamente rinunziato;
perché, comunque, era inadempiente agli obblighi nascenti dal mandato.
Nella sentenza impugnata, pur ribadendo la correttezza del giudizio espresso
dal Tribunale circa la sussistenza degli estremi di una rinuncia implicita al
compenso, si pone tuttavia in rilievo che nessuna censura era stata formulata
dall'appellante in ordine all'altro argomento posto a fondamento della decisione
appellata.
La circostanza non è contestata dal ricorrente e comunque risulta pacificamente
dagli atti.
Deve pertanto ritenersi che la statuizione di rigetto in ordine alla domanda
riconvenzionale fosse ormai passata in giudicato, in base alla ratio decidendi
non impugnata e, come tale, non ulteriormente sindacabile (Cass. 22 luglio 1987,
n. 6369; 28 marzo 1981, n. 1786). E ciò rende inammissibili, in quanto ultronee,
le doglianze formulate dal ricorrente sono diversi profili circa il mancato
accoglimento della riconvenzionale.
11 - Il ricorso deve essere quindi respinto in ogni sua parte. Le spese seguono
la soccombenza e possono essere liquidate come in dispositivo.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997.