Cassazione civile, SEZIONE I, 14 maggio 1997, n. 4259


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott.    Mario             CORDA                       Presidente
"       Pellegrino        SENOFONTE                   Consigliere
"       Alessandro        CRISCUOLO                   Rel. "
"       Ugo Riccardo      PANEBIANCO                       "
"       Giulio            GRAZIADEI                        "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GALLI COLOMBO,     elettivamente domiciliato in ROMA VIA  PO  21,
presso la SEDE CISL, rappresentato e difeso  dall'avvocato  INNOCENZO
BERNARDINETTI, giusta delega in calce al ricorso;
Ricorrente
contro
COOPERATIVA TARTUFI SRL;
Intimata
avverso la sentenza n.  359-93  della  Corte  d'Appello  di  PERUGIA,
depositata il 24-12-93;
udita la relazione della causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del
30-09-96 dal Relatore Consigliere Dott. Alessandro CRISCUOLO;
udito il P.M. in persona del  Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
Marcello Filippo IORIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con citazione in data 14 settembre 1984 il sig. Colombo Galli convenne in giudizio davanti al Tribunale di Terni la società Cooperativa Tartufi, con sede in quella città, esponendo: che dal dicembre del 1983 egli era socio della detta cooperativa, costituita il 27 febbraio 1974; che in precedenza, fin dal 1974, egli aveva avanzato continue richieste di ammissione alla cooperativa medesima, ma tali richieste erano state sempre disattese ad onta del suo buon diritto ad ottenere l'ammissione, nascente dal possesso di tutti i requisiti all'uopo necessari; che, a causa di tale reiterato rifiuto, egli non aveva potuto esercitare la raccolta dei tartufi nei terreni della cooperativa (ancorché legittimato a farne parte), subendo così un danno quantificabile in circa cento milioni di lire. Chiese pertanto: a) che si dichiarasse il suo diritto - ex art. 3 della legge n. 568 del 1970 - alla libera escavazione dei tartufi a partire dal 1974, anno della costituzione della cooperativa, nei terreni di quest'ultima, con condanna della medesima al risarcimento dei danni per avergli impedito l'esercizio del diritto attraverso l'operato dell'azienda Pastorale del Comune di Terni; b) che si dichiarasse che, ai sensi dell'art. 4 della legge 17 luglio 1970 n. 568, i terreni e i boschi incolti dovevano essere destinati alla libera raccolta dei tartufi; c) che si dichiarasse che i soci della cooperativa potevano esercitare la raccolta dei tartufi soltanto quando fossero proprietari ovvero detentori di boschi naturali e di terreni incolti.
La convenuta contestò l'avversa pretesa, chiedendone il rigetto.
All'esito dell'istruzione il tribunale adito, con sentenza dell'11 luglio 1989, rigettò la domanda e condannò l'attore al pagamento delle spese giudiziali.
Su gravame del Galli
la Corte d'Appello di Perugia, con sentenza n. 359-93 in data 21 ottobre - 24 dicembre 1993, rigettò l'impugnazione e condannò l'appellante al pagamento delle spese del grado, considerando: che l'ammissione di nuovi soci in un sodalizio sociale è atto di autonomia privata, le società non sono obbligate ad accettare come socio chiunque ne faccia domanda, nè l'aspirante socio ha alcun correlativo diritto al riguardo; che l'assunto secondo cui la domanda di ammissione andava comunque esaminata dal consiglio di amministrazione, ai sensi dell'art. 5 dello statuto sociale, e non essere rigettata sic et simpliciter, com'era avvenuto, risultava dedotto per la prima volta in grado di appello e non poteva quindi essere esaminato, trattandosi di domanda nuova per mutamento della causa petendi ex art. 345 c.p.c.; che, in ogni caso, il reclamo era previsto soltanto per i nuovi soci e non per coloro i quali non erano stati ammessi a soci; che, quanto alla domanda concernente il diritto alla libera escavazione dei tartufi (c.d. "seconda domanda"), la pretesa dell'appellante era infondata, perché le disposizioni normative da lui invocate non conclamavano affatto il suo diritto alla escavazione dei tartufi nei terreni della società, della quale all'epoca non era socio, emergendo anzi dall'art. 3 della legge 17 luglio 1970, n. 568 l'escavazione riservata dei tartufi medesimi; che non avevano rilevanza, ai fini della decisione, gli esposti presentati dal Galli alla Prefettura e la Procura della Repubblica, con i quali si lamentavano presunte irregolarità attribuite al presidente della Comunità Montana, che aveva affittato i terreni da tartufi della Comunità alla cooperativa, della quale era a sua volta presidente; che sui presunti usi civici (invocati dal Galli a fondamento del suo diritto) la decisione andava adottata "incidenter tantum" (non essendovi richiesta di pronunzia con autorità di giudicato, e non ravvisandosi continenza, litispendenza o pregiudizialità con altra causa nei confronti della Regione Umbria, menzionata dal Galli in citazione), e la questione appariva priva di consistenza, perché l'atto del 30 luglio 1961 (richiamato dall'appellante) riguardava - sul piano soggettivo - gli abitanti dei castelli di Appecano e Acquasparta, luoghi diversi dalla residenza del Galli, e - sul piano oggettivo - il legnatico e il pascolo e non la escavazione dei tartufi; che l'appellante non era legittimato a dolersi di presunte violazioni dello statuto sociale (quinto motivo di gravame), perché all'epoca del fatto (28 febbraio 1983) egli non era socio, essendolo diventato soltanto nel dicembre del detto anno 1983; che il punto sulla sussistenza e sulla quantificazione del presunto danno era assorbito, in quanto esso, per le esposte considerazioni, non era imputabile a fatto e colpa della cooperativa.
Avverso la suddetta sentenza il Galli ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi di annullamento.
L'intimata non ha spiegato attività difensiva.

Diritto

Con il primo mezzo di cassazione il ricorrente denunzia violazione ed errata applicazione degli artt. 2225, 1332, 2597 c.c., in riferimento agli artt. 4 e 5 dello statuto sociale della Cooperativa Tartufi in data 27 febbraio 1974, alla legge della Regione Umbria n. 38 del 2 maggio 1980 (richiamante la legge 17 luglio 1970 n. 568) e all'art. 360 n. 3 c.p.c.
Premesso che l'azione da lui promossa aveva natura risarcitoria, per non aver potuto procedere - sia come socio della detta cooperativa sia come titolare di regolare licenza - alla raccolta di tartufi nei boschi di proprietà del Comune di Terni e nelle altre zone indicate in ricorso, sostiene che
la Corte territoriale avrebbe errato nell'affermare che la cooperativa non era obbligata ad accettarlo come socio. La Corte medesima, invero, avrebbe dovuto prima stabilire, sulla base dello statuto della cooperativa, se il consiglio di amministrazione avesse un potere insindacabile sulla domanda di ammissione di un nuovo socio; e poiché l'art. 5 dello statuto sociale prevedeva il reclamo del richiedente non ammesso ai probiviri sociali, sarebbe ovvio che il consiglio di amministrazione non avesse il potere insindacabile di ammettere o non ammettere il nuovo socio (avendo questi, in caso di rigetto, il diritto di appellarsi ai probiviri e, dopo una modifica statutaria adottata il 28 febbraio 1983, all'assemblea).
Nel caso di specie mai la cooperativa avrebbe comunicato ad esso Galli il rigetto della domanda di ammissione, pur avendo l'obbligo di farlo.
Inoltre, comunque egli avrebbe avuto il diritto soggettivo ad essere iscritto alla cooperativa sin dal 1974, ai sensi degli artt. 3 e 4 della legge n. 568 del 1970, della legge 2 maggio 1980 n. 38 e dell'art. 4 della legge 16 febbraio (NDR: così nel testo) 1985 n. 752, le quali, riconoscendo che la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, renderebbe ovvio il diritto d'iscrizione alle cooperative aventi come scopo sociale la raccolta dei tartufi.
Con il secondo motivo, poi, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., in ordine alla invocata violazione dell'art. 5 dello statuto sociale, nonché omessa o insufficiente motivazione sul punto, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.
La Corte perugina avrebbe errato nel ritenere domanda nuova il richiamo all'art. 5 dello statuto sociale, in quanto tale richiamo non innovava in alcun modo la domanda ma costituiva soltanto un'eccezione, o piuttosto una semplice specificazione della pretesa risarcitoria, fondata sull'illegittimità della mancata iscrizione alla cooperativa.
I due mezzi - che, per essere tra loro strettamente connessi, possono formare oggetto di esame congiunto - non hanno fondamento.
È vero che l'affermazione della Corte di Perugia, secondo cui il richiamo alla (asserita) violazione dell'art. 5 dello statuto sociale da parte della cooperativa costituirebbe domanda nuova per mutamento della causa petendi ex art. 345 c.p.c., non può essere condivisa.
Infatti il Galli aveva chiesto l'accertamento del suo diritto a vedere accolta la domanda d'iscrizione al sodalizio e quindi ad essere ammesso tra i soci della cooperativa.
Nel quadro di tale domanda il richiamo alla citata norma statutaria (che prevedeva una procedura di reclamo avverso il diniego d'iscrizione disposto dal consiglio di amministrazione della società, secondo quanto si deduce in ricorso) non modificava in alcun modo le ragioni giuridiche e l'oggetto della domanda medesima, che restava identica, nè introduceva nuovi accertamenti di fatto, essendo ancorato alla fonte di prova (documentale) costituita dallo statuto sociale già invocato dal ricorrente, ma si traduceva soltanto in un'argomentazione aggiuntiva certamente consentita in secondo grado dall'art. 345, comma secondo, c.p.c. nel testo (applicabile alla fattispecie) anteriore alla riforma attuata con l'art. 52 della legge 26 novembre 1990 n. 353.
Tuttavia, chiarito il punto che precede nell'esercizio del potere correttivo attribuito a questa Corte dall'art. 384 comma secondo c.p.c., la pronunzia di rigetto adottata dalla Corte di merito sulla domanda in esame risulta conforme a diritto e deve dunque essere confermata.
Invero le società cooperative (caratterizzate per lo specifico scopo istituzionale perseguito nello svolgimento dell'attività d'impresa, ossia per lo scopo mutualistico), ancorché formino oggetto di una particolare ed articolata disciplina legislativa (contenuta nel codice ed in leggi speciali) hanno però una struttura a base contrattuale (cfr. l'art. 2518 c.c.) che vincola i soci all'osservanza dei doveri sociali e li rende titolari dei relativi diritti, ma non attribuisce di regola situazioni giuridiche soggettive a terzi estranei al sodalizio, i quali perciò non possono invocare il patto sociale per fondare su questo diritti a proprio favore. Pertanto l'aspirante socio, in quanto ancora estraneo alla società, non può vantare di regola un diritto soggettivo ad essere ammesso nella società e gli amministratori non sono obbligati ad accogliere la sua domanda (art. 2525 c.c.), quando anche egli sia in possesso di tutti i requisiti soggettivi stabiliti dalla legge o dall'atto costitutivo.
Nell'ordinamento si rinvengono norme le quali stabiliscono un obbligo di ammissione per determinate categorie di cooperative, quali le cooperative edilizie a contributo statale (artt. 93, 94, 101 T.U. 28 aprile 1938 n. 1165), le cooperative di produzione e lavoro ammesse ai pubblici appalti (art. 3 R.D. 12 febbraio 1911 n. 278) e, per i consorzi, quelli costituiti nell'ambito della L. 25 maggio 1970 n. 364, recante l'istituzione del Fondo di solidarietà nazionale (artt. 14, 15, 17 legge cit.). Ma proprio il carattere eccezionale di tali espresse previsioni normative ribadisce la regola generale dianzi enucleata, alla stregua della quale di regola non è configurabile un diritto soggettivo dell'aspirante socio all'ammissione. Nè in contrario varrebbe invocare il c.d. principio della "porta aperta" affermato per le società cooperative: esso si riferisce alla semplificazione delle procedure di ammissione ma non incide sul diritto di essere ammesso nel sodalizio. La domanda di ammissione resta una proposta contrattuale che la società - e per essa gli amministratori (art. 2525 cit.) - è libera di accettare o meno.
Se dunque (di regola ed a parte i casi espressamente previsti dalla legge) non è ravvisabile una posizione soggettiva tutelabile (di diritto soggettivo o anche d'interesse legittimo) per il terzo in ordine all'ammissione della società, non può neppure essere configurato un diritto al risarcimento del danno per lesione di tale supposta ma inesistente posizione soggettiva.
Nè esso potrebbe esser radicato sul disposto dell'art. 2395 c.c. che, in tema di società per azioni, attribuisce il diritto al risarcimento del danno al socio o al terzo che siano stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori. La norma è applicabile anche in tema di società cooperative per il richiamo operato dall'art. 2516 c.c., ma nella specie manca il fatto costitutivo della pretesa risarcitoria in essa contemplata, non potendosi qualificare illecita la condotta degli amministratori che, essendo liberi di accettare o non accettare la domanda del Galli, si sono orientati negativamente (almeno fino al 1983).
Il ricorrente, richiamando una sentenza di questa Corte (Cass., 3 giugno 1976 n. 2005), sostiene però che lo statuto della Cooperativa tartufi stabiliva che l'aspirante socio, in caso di rigetto della sua domanda di ammissione da parte del consiglio di amministrazione, poteva proporre reclamo ai probiviri sociali, e ciò condurrebbe ad escludere l'attribuzione al detto consiglio di un potere insindacabile di ammettere o non ammettere il nuovo socio (appunto perché quest'ultimo avrebbe avuto il diritto di appellarsi ai probiviri). Ma la cooperativa mai avrebbe comunicato il rigetto della domanda di ammissione avanzata da esso Galli, laddove egli avrebbe avuto diritto alla comunicazione di tale rigetto: di qui nascerebbe la pretesa risarcitoria azionata, essendo stato pregiudicato il suo diritto di ricorrere all'organo di controllo.
Neppure codesta prospettazione può essere condivisa.
Non si può escludere, in linea di principio, che lo statuto di una cooperativa sia articolato in modo tale da attribuire al terzo (aspirante socio), che chieda di essere ammesso nel sodalizio, un vero e proprio diritto all'iscrizione nel concorso di determinati requisiti, o - quanto meno - un diritto ad ottenere una pronuncia espressa sulla domanda di ammissione. Si tratta di un problema d'interpretazione contrattuale, da risolvere volta per volta secondo le circostanze del caso concreto.
Non può però esser condiviso l'assunto del ricorrente, il quale sembra voler sostenere la tesi secondo cui la sola previsione nello statuto sociale di un meccanismo (interno) di reclamo avverso la decisione del consiglio di amministrazione da un lato escluderebbe l'attribuzione a quest'organo di un giudizio insindacabile e, dall'altro, farebbe sorgere in testa all'aspirante socio il diritto ad ottenere una pronunzia espressa sulla sua domanda di ammissione nonché ad averne formale comunicazione. La previsione statutaria di una procedura di reclamo avverso un deliberato (o anche un comportamento omissivo) del consiglio di amministrazione non significa di per sè che quest'ultimo sia obbligato a provvedere sulla domanda di ammissione, ma può ben esaurirsi nella semplice individuazione di un secondo momento valutativo, anch'esso del tutto libero (come il primo) e peraltro attivabile dall'interessato (aspirante socio) anche in mancanza di una pronunzia espressa del detto consiglio.
In altre parole - fermo il punto, dianzi illustrato, che il terzo aspirante socio non vanta (al di fuori delle ipotesi legali) un diritto soggettivo ad essere ammesso in una cooperativa - il Galli non può basare l'esistenza di un suo diritto soggettivo su una previsione statutaria che, a quanto si desume dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso per cassazione, non vincolava in alcun modo la libertà del sodalizio di accettare o meno la domanda di un nuovo socio, rendendone obbligatoria l'ammissione in presenza di determinate condizioni.
Quanto al richiamo agli artt. 3 e 4 della legge 17 luglio 1970 n. 568, alla legge della Regione Umbria 2 maggio 1980 n. 38 e all'art. 4 della legge 16 dicembre 1985 n. 752, si deve in primo luogo notare che quest'ultima ha espressamente abrogato la citata legge n. 568 del 1970 (art. 20
1. L. n. 752-1985), alla quale peraltro bisognerebbe fare riferimento avuto riguardo al periodo in contestazione (1974-1983). Entrambe le normative, comunque, prevedono che la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati (art. 3, primo comma dell'una e dell'altra legge), ma da tale proposizione non discende affatto il diritto del ricorrente ad essere iscritto alle cooperative che abbiano come scopo sociale la raccolta dei tartufi. Com'è evidente, il diritto alla raccolta dei tartufi (non già del tutto libero, come sembra ritenere il Galli, ma esercitabile nel quadro della citata normativa) è ben distinto dallo (asserito) diritto ad essere ammesso ad una cooperativa costituita per la raccolta di quel prodotto. Per quest'ultimo profilo, invero, valgono le considerazioni dianzi svolte, in quanto la costituzione di una cooperativa - come posto in luce dalla sentenza impugnata - è atto di autonomia negoziale che di regola non obbliga il sodalizio ad ammettervi chiunque ne faccia domanda.
Conclusivamente, i primi due motivi del ricorso devono essere disattesi.
Con il terzo mezzo di cassazione il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 2055 c.c., dell'art. 3 della L. 17 luglio 1970 n. 568 e della legge regionale umbra n. 38 del 2 maggio 1980 (che richiama la cennata legge n. 568 del 1970) in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.
La Corte territoriale avrebbe errato nel rigettare la domanda risarcitoria basata sulla circostanza che la cooperativa, a mezzo dei guardiani della azienda Silvio Pastorale, avrebbe impedito ad esso Galli di esercitare il suo diritto di raccogliere i tartufi, benché provvisto di tesserino come raccoglitore, e ciò in violazione dell'art. 2 della L. n. 568 del 1970 e della legge regionale del maggio
1980. L'errore della corte di merito sarebbe ravvisabile, in primo luogo, nell'aver ritenuto insussistenti - senza alcuna motivazione - i presupposti per far luogo alla applicazione dell'art. 2055 c.c. circa la responsabilità solidale dell'azienda Silvio Pastorale e della Cooperativa Tartufi nella determinazione del danno lamentato dall'istante; e, in secondo luogo, nell'avere affermato che dalle invocate disposizioni normative non si desumeva affatto il diritto di esso ricorrente alla escavazione dei tartufi nei terreni della cooperativa, ed anzi poteva desumersi il contrario essendo prevista dall'art. 3 della legge n. 568 del 1970 l'escavazione riservata dei tartufi medesimi.
Tale interpretazione sarebbe inesatta, perché l'art. 3 della legge citata avrebbe stabilito che la raccolta dei tartufi era libera nei boschi naturali e nei terreni incolti, mentre i proprietari dei terreni potevano riservare la raccolta apponendo dei cartelli a distanza di tre metri, distanza che, come emerso dalla prova, non sarebbe stata rispettata; inoltre la cooperativa non sarebbe stata proprietaria dei terreni ed i vari esposti di esso Galli avrebbero dimostrato l'irregolarità di gestione della cooperativa medesima.
Tali censure non hanno alcun fondamento.
La Corte territoriale, pur rilevando che mancava la prova della riferibilità alla convenuta cooperativa dei fatti lamentati dal Galli, ha tuttavia esaminato tale profilo osservando che le disposizioni normative richiamate dal ricorrente non gli attribuivano in alcun modo il diritto alla escavazione dei tartufi nei terreni della società, onde legittimamente questa attività era stata impedita allo stesso Galli, all'epoca non ancora socio della cooperativa in questione.
La suddetta proposizione è senz'altro corretta alla luce dell'art. 3 della L. 17 luglio 1970 n. 368 (NDR: così nel testo).
Questa norma definiva libera la raccolta dei tartufi nei boschi naturali e nei terreni incolti, ma aggiungeva che il proprietario del terreno poteva riservarsela con la semplice apposizione di cartelli posti ad almeno tre metri di altezza dal suolo, lungo il confine, ad una distanza tale da esser visibili da ogni punto di accesso. È chiaro che, quando il proprietario del terreno si era riservata la raccolta dei tartufi, cessava la libertà del terzo di effettuarla nel terreno medesimo. È altrettanto chiaro che le previsioni circa le modalità di apposizione dei cartelli erano finalizzate ad assicurarne la visibilità ma non incidevano certo sulla efficacia della praticata riserva e, quindi, sulla legittimità dell'impedimento opposto alla raccolta ad opera di terzi. Che la cooperativa non fosse proprietaria dei terreni è circostanza irrilevante se essa ne aveva la disponibilità in virtù di un titolo legittimo, il che non è contestato e si traduce, comunque, in un accertamento di fatto precluso nella presente sede di legittimità.
Quanto alle asserite irregolarità di gestione della cooperativa, a parte l'impossibilità di dare ingresso in questa sede ad accertamenti di merito in proposito, non si comprende quale rilevanza esse potrebbero avere per sostenere il diritto (e la conseguente pretesa risarcitoria) vantati dal ricorrente.
Con il quarto mezzo di cassazione quest'ultimo deduce violazione degli artt. 29, 295 c.p.c. e dell'art.
29 L. 16 giugno 1927 n. 1766, nonché errata interpretazione della concessione del 30 luglio 1561, in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, c.p.c. Sarebbe erronea la motivazione della Corte di merito sul contenuto e sulla portata della transazione stipulata tra il Municipio di Terni ed i castelli di Appecano ed Aquapalombo in data 30 luglio 1561, perché esso Galli, abitando a Giungano, farebbe parte del Municipio di Terni e, come tale, avrebbe diritto a partecipare all'uso dei boschi ceduti a detto Comune, mentre la legge 16 giugno 1927 non riguarderebbe il caso di specie non essendo in questione diritti di uso civico su terreno del privato.
Neppure questo motivo è fondato.
La sentenza impugnata - nell'esaminare la pretesa dell'appellante, secondo cui il diritto alla escavazione dei tartufi (anche nei terreni della cooperativa) comunque gli competeva in base agli usi civici derivanti dalla antica "transazione" in data 30 luglio 1561, stipulata tra il municipio di Terni ed i castelli di Appecano ed Acquasparta (v. pag. 6, punto 3, della sentenza medesima) - ha fatto cenno ad un'altra causa, richiamata dall'attore nella citazione in primo grado, che sarebbe stata pendente nei confronti della Regione Umbria davanti al Tribunale di Terni; e sul punto ha ritenuto di poter decidere in via incidentale, sia perché non v'era richiesta di pronuncia con efficacia di giudicato ex art. 34 c.p.c., sia perché rispetto all'altra causa non era ravvisabile litispendenza o continenza, in quanto essa concerneva soggetti diversi (a parte le attribuzioni in materia dei commissari di cui all'art.
29 L. 16 giugno 1927 n. 1766), sia perché non era ravvisabile pregiudizialità ex art. 295 c.p.c.
Come si vede, dunque,
la Corte territoriale non ha affatto ritenuto che la controversia in esame avesse ad oggetto diritti di uso civico, come sembra affermare il ricorrente. Anzi ha ritenuto il contrario, tant'è che poi ha esaminato la questione nel merito, e le suddette argomentazioni erano finalizzate proprio a consentire tale esame superando i prospettabili aspetti di rito. Non sussiste perciò alcuna violazione della normativa sul riordinamento degli usi civici.
Nè è ravvisabile violazione degli artt. 29 e 295 c.p.c.; per questa parte, anzi, la censura è addirittura inammissibile perché il Galli, dopo aver enunciato le suddette norme, non dice neppur per accenni in quale parte dell'iter argomentativo della Corte di merito andrebbe ravvisata la presunta violazione di legge.
Per il resto la sentenza impugnata afferma che il Galli non aveva titolo per invocare l'antico atto del 1561, sia perché la "concessione" riguardava gli abitanti dei castelli di Appecano ed Acquasparta (luoghi diversi dalla residenza dell'attore), sia perché essa aveva ad oggetto il legnatico ed il pascolo e non la escavazione di tartufi. Si tratta di apprezzamenti di fatto ai quali il ricorrente si limita ad opporre una sua diversa prospettazione senza però esplicitare le ragioni che dovrebbero dimostrare, sotto il profilo del vizio di motivazione (unico deducibile in proposito), l'errore compiuto dalla Corte.
Il motivo in esame, dunque, non può trovare ingresso.
Infine, con il quinto mezzo, il Galli lamenta violazione degli artt. 345 e 213 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché motivazione omessa, insufficiente, contraddittoria circa i mezzi istruttori da lui richiesti con l'atto di appello, inerenti ad un punto decisivo della controversia. In particolare: a)
la Corte d'Appello sarebbe incorsa in contraddizione perché, dopo aver affermato che non risultava provata la sussistenza dei presupposti per ravvisare una responsabilità solidale (ex art. 2055 c.c.) tra la cooperativa e l'azienda Silvio Pastorale in ordine ai danni cagionati ad esso Galli, avrebbe poi denegato la prova da lui richiesta dichiarando assorbito il punto sulla sussistenza e quantificazione del danno; b) egli aveva chiesto che la Corte di merito ordinasse al Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici della Regione Umbria di comunicare se gli usi civici nascenti dall'atto del 30 luglio 1561 fossero ancora in vigore, o se fossero stati liquidati e in quale forma, e la corte avrebbe del tutto omesso di pronunciare su tale richiesta; c) analoga omissione sarebbe stata compiuta con la mancata pronuncia circa le altre richieste istruttorie, riguardanti tra l'altro la inadempienza della cooperativa che non avrebbe deciso sulla domanda di ammissione a socio da lui avanzata.
Le suddette doglianze non hanno fondamento.
Va premesso che, per costante giurisprudenza, il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutte le risultanze processuali e tutte le argomentazioni delle parti, essendo sufficiente che indichi gli elementi del proprio convincimento, dovendosi per implicito ritenere disattesi tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene specificamente non menzionati, siano incompatibili con la soluzione adottata.
Ciò posto, si osserva: quanto al punto sub a) la sentenza impugnata, pur avendo considerato non provati gli estremi per azionare nei confronti della cooperativa la responsabilità solidale ex art. 2055 c.c., ha comunque esaminato la questione, ritenendo infondata la pretesa dell'appellante "perché dalle disposizioni di legge da lui citate non si ricava affatto il diritto del medesimo all'escavazione di tartufi nei terreni della società, della quale non era all'epoca socio", sicché "legittimo appare quindi l'avere impedito tale attività al Galli, all'epoca non ancora socio". Tale ragionamento (che, come sopra si è visto, si sottrae alle censure del ricorrente) rendeva evidentemente superflua una prova diretta a dimostrare circostanze che, secondo l'accertamento della Corte di merito, non costituivano un illecito, in quanto esso Galli non aveva diritto a raccogliere tartufi nei terreni che erano nella disponibilità della cooperativa; quanto al punto sub b)
la Corte perugina ha ritenuto che il Galli non avesse titolo per invocare l'atto del 1561 e tale accertamento rendeva del tutto irrilevante la richiesta d'informazioni; quanto al punto sub c), la sentenza impugnata ha ritenuto che il ricorrente non potesse vantare un diritto soggettivo ad essere ammesso come socio e non fosse legittimato, appunto perché non socio, a dedurre violazioni dello statuto sociale (v. pag. 10, punto 5, della suddetta sentenza), onde anche il mezzo istruttorio articolato sul punto si palesava irrilevante.
Non sussistono, pertanto, le denunziate carenze di motivazione, in quanto le circostanze cui esse sono riferite non avevano rilievo nel quadro della pronunzia (rivelatasi corretta) adottata dalla Corte territoriale.
Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.
Nessun provvedimento va emesso in ordine alle spese giudiziali, poiché l'intimata non ha spiegato attività difensiva.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso.
Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 1996, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.