Cassazione civile, SEZIONE I, 21 gennaio 1999, n. 521
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Pellegrino SENOFONTE - Presidente -
Dott. Giovanni VERUCCI - Rel. Consigliere -
Dott. Giulio GRAZIADEI - Consigliere -
Dott. Francesco FELICETTI - Consigliere -
Dott. Laura MILANI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DORONZO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA NOMENTANA 60
B-9, presso l'avvocato PLACCO GIOVAN VINCENZO, che lo rappresenta e
difende unitamente agli avvocati BOTTINELLI BERNARDO MARIA, FEDERICO
DI MAIO, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
VISCONTEA COMMISSIONARIA SpA in liquidazione coatta amministrativa,
in persona del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA VIA TOSCANA 10, presso l'avvocato DOMENICO RIZZO,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MASSIMO
DATTRINO, TINO SINIBALDO, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3488-95 della Corte d'Appello di MILANO,
depositata il 19-12-95;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
21-09-98 dal Consigliere Dott. Giovanni VERUCCI;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Di Maio, che ha chiesto
l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'Avvocato Persiani, con delega, che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Orazio FRAZZINI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con ricorso ai sensi degli artt.
Viscontea Commissionaria in L.c.a. chiedeva al Tribunale di Milano che, accertata
la responsabilità ex artt. 2392 e segg. cod. civ. degli amministratori succedutisi
nel tempo, costoro fossero condannati al risarcimento dei danni: in particolare,
che Giuseppe Doronzo, amministratore di essa società dal 20 settembre 1985 al
24 settembre 1986, fosse condannato al risarcimento del danno per non aver provveduto
al recupero di precedenti finanziamenti erogati e per averne effettuati altri
al di fuori di ogni previsione statutaria ed in violazione degli obblighi di
diligenza e perizia.
I commissari liquidatori precisavano che la soc. Viscontea Commissionaria faceva
parte del gruppo nel senso previsto dalla legge 1 agosto 1986, n. 430 ed in
cui fiduciaria era la s.p.a. Fidimpresa, posta in liquidazione coatta amministrativa
il 26 luglio 1986 e dichiarata insolvente l'11 settembre 1986: con sentenza
del 9 marzo 1987, il Tribunale di Milano aveva accertato il collegamento tra
la soc. Fidimpresa e la soc. Viscontea Commissionaria, dichiarando lo stato
d'insolvenza di quest'ultima, che era poi stata posta in l.c.a. con decreto
del 17 aprile 1987.
I convenuti, tra i quali il Doronzo, si costituivano, contestando la domanda
risarcitoria.
Con sentenza del 30 giugno 1994, confermata dalla Corte d'Appello con sentenza
del 19 dicembre 1995, il Tribunale adito condannava, tra l'altro, il Doronzo
al risarcimento dei danni nella misura di lire 500.000.000.
La Corte territoriale osservava, per quanto in questa sede rileva, che l'eccezione
di difetto di legittimazione attiva dei commissari liquidatori, dedotta sotto
il profilo che i finanziamenti contestati erano stati effettuati con denaro
dei clienti, era priva di fondamento, atteso che i commissari si erano limitati
a riferire di una liquidazione di titoli dei clienti, senza affermare che il
prezzo ricavato era stato impiegato nei finanziamenti alle società collegate
(in particolare,
Con riferimento al merito dell'impugnazione,
Sulla base di tali premesse,
Per la cassazione di tale sentenza il Doronzo ha proposto ricorso con due motivi,
illustrati anche con memoria. Resiste la soc. Viscontea Commissionaria in l.c.a.
con controricorso.
Con il primo motivo, denunziando errata applicazione dell'art. 2
della legge 1 agosto 1986 n. 430, nonché errata valutazione dei suoi effetti,
il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che non esiste
un interesse superiore del gruppo rispetto agli interessi delle singole società:
pur non essendo in discussione in via generale, tale principio non può essere
affermato con riferimento al gruppo di società fiduciaria, disciplinato dalla
legge n. 430 del 1986 al fine specifico di consentire ai fiducianti di recuperare
i beni affidati alla fiduciaria. Secondo il ricorrente, il "gruppo"
è la risposta dell'ordinamento all'unitarietà dell'operato degli amministratori
della società fiduciaria, in relazione all'unitarietà dei patrimoni dei fiducianti,
i quali hanno diritto di far affidamento sui beni del gruppo, che devono concorrere
alla ricostituzione del patrimonio fiduciario, separato da quello della società
fiduciaria: l'art.
Nei termini prospettati, il motivo pone una questione sulla quale non risultano
precedenti di questa Corte: la rilevanza che, quanto alla responsabilità degli
amministratori ex art. 2392 e segg. cod. civ., può avere la configurabilità
del c.d. gruppo di società fiduciaria nel sistema del d.l. 5 giugno 1986, n.
233 (convertito, con modificazioni, nella legge 1 agosto 1986, n. 430), con
particolare riferimento all'ipotesi in cui l'amministratore della fiduciaria
rivesta tale carica anche in una o più delle società controllate e-o finanziate
dalla fiduciaria medesima.
Dalla sentenza impugnata risulta che, nel caso di specie, società fiduciaria
era
Ciò premesso, va rilevato che, nel sostenere la tesi dell'unicità del danno
arrecato alla Fidimpresa ed alla Viscontea e, quindi, dell'inconfigurabilità
di una duplice responsabilità, il ricorrente non mette in discussione i principi
affermati dalla Corte territoriale in tema di gruppo di società, contestandone
soltanto la validità con riferimento al c.d. gruppo di società fiduciaria: non
sembra, però, che si possa prescindere da una sia pur sommaria ricognizione
di tali principi, non soltanto perché costituiscono l'architrave del ragionamento
seguito dal giudice di merito, ma anche - e soprattutto - in ragione della diversità
concettuale e di disciplina positiva che lo stesso ricorrente prospetta in relazione
al sistema della legge n. 430 del 1986.
È noto che nel nostro ordinamento manca una disciplina generale dell'impresa
di gruppo in senso stretto e, dunque, del c.d. gruppo di società, al di fuori
delle regole poste in materia di società collegate e-o controllate e sì da configurare
il "gruppo" come autonomo centro d'imputazione di diritti, oltre che
come un'aggregazione per la realizzazione di interessi economici comuni da ciò
si è tratta costantemente l'affermazione che, nonostante il controllo o collegamento,
ciascuna delle società del gruppo conserva propria personalità giuridica ed
autonoma qualità di imprenditore (per l'accertamento dello stato d'insolvenza,
ai fini della dichiarazione di fallimento, cfr., per tutte, Cass. 4550-92) e
che il concetto di interesse sociale, come quello di pregiudizio a tale interesse,
va visto in relazione all'autonomia delle singole società del gruppo, con l'ulteriore
conseguenza, da un lato, che anche tra imprese facenti parte di un medesimo
raggruppamento può sussistere un conflitto d'interessi non giustificabile in
un interesse della capogruppo che si pretenda superiore e, dall'altro lato,
che non è possibile stemperare la responsabilità degli amministratori in una
valutazione globale, prescindendo dalla tutela del patrimonio della singola
società e riguardando l'eventuale vantaggio conseguito da altra società del
gruppo ("ex multis", Cass. 5123-91).
Tuttavia, lo sviluppo del fenomeno aggregativo per effetto di precise esigenze
economico - finanziarie e le sollecitazioni della dottrina non potevano non
trovare adeguata risposta anche dalla giurisprudenza di questa Corte: si è affermato,
allora, che, in tema di revocatoria fallimentare, allorquando si tratti di dimostrare
la sussistenza in capo all'"accipiens" della consapevolezza dello
stato d'insolvenza di una società del gruppo, detta prova può essere desunta
anche dalla circostanza della crisi del gruppo (Cass. 5900-95); che l'atto a
titolo gratuito compiuto da una società controllata, in forza di direttive impartite
dalla capogruppo, non comporta necessariamente l'effettivo depauperamento della
prima, che può conseguire vantaggi compensativi da altre operazioni, in armonia
con l'interesse - talora definito "logica" - di gruppo (Cass. 2001-96);
che nell'ipotesi di fideiussione rilasciata dall'amministratore di una società
di persone per assicurare il finanziamento bancario ad una società di capitali
amministrativa dalla stessa persona, non v'è conflitto di interessi quando tutti
i soci della prima siano anche soci della seconda, dovendosi tener conto non
soltanto del collegamento economico ed operativo, ma anche che l'autonomia giuridica
della società di persone non osta a che su di essa si riverberi il buon andamento
della società di capitali (Cass. 8472-98).
Trattasi di principi che, all'evidenza, non mettono comunque in discussione
la configurazione del gruppo come quello in cui ad un'impresa unitaria in senso
economico corrispondono più società sul piano giuridico, nè la conseguente autonomia
patrimoniale di ciascuna società, anche con riferimento alla regola posta dall'art.
2740 c.c., e nemmeno la valutazione della responsabilità degli amministratori
in relazione alla gestione della singola società, pur quando rivestano contemporaneamente
tale qualità in diversa società del gruppo: in altri termini, che non esiste
unità in senso giuridico e che in nome dell'interesse o logica di gruppo non
può essere sacrificato il patrimonio della singola società, ove questa non consegua,
sia pure in via indiretta, un preciso vantaggio da un'altra operazione, posta
in essere secondo l'indirizzo economico unitario. Nella giurisprudenza di questa
Corte, infine, è ricorrente l'affermazione che le speciali disposizioni dettate
per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi o per regolare
determinate materie rivestono natura eccezionale, non autorizzano una diversa
configurazione del gruppo e non sono, in ogni caso, estensibili al di fuori
delle ipotesi considerate e delle finalità perseguite.
Anche nell'evoluzione legislativa non è dato riscontrare un concetto unitario
ed univoco di gruppo, nè una disciplina che ne ammetta la configurazione come
centro autonomo d'imputazione di diritti e d'interessi: solo in settori specifici
ed a fini limitati, infatti, è stato riconosciuto il fenomeno aggregativo, dovendosi
anche osservare che, allo stato, la rilevanza di un interesse unitario sembra
ristretta all'ambito della disciplina dei gruppi creditizi.
Alla ricognizione normativa effettuata dalla Corte di merito si può aggiungere,
da ultimo, il d. lgs.vo 24 febbraio 1998, n. 58 ("testo unico delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della
legge 6 febbraio 1996, n. 52"): in particolare, l'art.
È, comunque, un quadro normativo che, pur rilevando innegabilmente una tendenza
a valorizzare la realtà economico - finanziaria espressa dall'impresa di gruppo,
tuttavia rimane caratterizzato da evidente asistematicità, mirando essenzialmente,
per un verso, ad accentuare la rilevanza e gli effetti del controllo e-o del
collegamento in determinati settori e, per altro verso, ad evitare limitazioni
di responsabilità in conseguenza di più o meno articolati sistemi di aggregazione
societaria: ma con una configurazione ed in un'ottica che, anche in ragione
di tali finalità, di regola non stabiliscono ne implicano il superamento dell'autonomia
patrimoniale di ciascuna società.
Contrariamente all'assunto del ricorrente, alla medesima conclusione deve pervenirsi
anche con riferimento al d.l. n. 233-86, convertito nella legge n. 430 del 1986
("Norme urgenti sulla liquidazione coatta amministrativa delle società
fiduciarie e di revisione e disposizioni sugli enti di gestione fiduciaria"),
nel cui ambito non è dato rinvenire alcuna norma che affermi o presupponga non
soltanto un concetto di gruppo diverso da quello ora delineato, ma anche la
perdita di autonomia giuridica e patrimoniale delle singole società.
In assenza di qualsiasi uso del termine "gruppo", l'art. 2, comma
1, ne delinea il concetto sulla base del controllo diretto o indiretto, dell'unicità
di direzione per effetto della composizione degli organi amministrativi, del
finanziamento continuativo o prevalente: come è noto, la formulazione della
norma è sostanzialmente derivata dall'art. 3 della legge n. 95 del 1979 (c.d.
legge Prodi), pur ampliandolo nel criterio sub d) in punto di finanziamento
passivo, onde non v'è ragione per ritenere che, sotto questo profilo, l'art.
Si può convenire con la difesa del ricorrente quanto all'individuazione della
finalità perseguita dalla legge n. 430 del 1986, ossia quella che la liquidazione
coatta deve consentire ai fiducianti di rientrare in possesso dei beni amministrativi
per loro conto dalla società fiduciaria, sulla base del principio di separazione
del patrimonio dei fiducianti da quello della fiduciaria, dal momento che quest'ultima,
per definizione, amministra beni non propri: d'altro canto, l'effettiva proprietà
in capo ai fiducianti dei beni affidati alla fiduciaria è previsto espressamente
dal medesimo art. 2, comma
In primo luogo, anche volendo ammettere che l'obiettivo di permettere ai fiducianti
di rientrare in possesso dei beni amministrati dalla fiduciaria si realizzi
necessariamente tramite una "cogestione" della crisi, con attrazione
di tutte le società del gruppo alla medesima procedura di liquidazione (ma,
sia pure in fattispecie diversa, v.
Cass. 10031-97 per la tutela a carattere reale del fiduciante), si deve comunque
rilevare che detta attrazione non prescinde dalla condizione che venga dichiarato
lo stato di insolvenza della società controllata, collegata o finanziata: dovendosi
aggiungere che la competenza per la dichiarazione dello stato di insolvenza
della società collegata con una fiduciaria posta in l.c.a., a norma della legge
n. 430-86, spetta al tribunale del luogo dove la singola società ha la sua sede
principale, in quanto le disposizioni di detta legge non derogano al principio
posto dall'art.
Ma quel che preme maggiormente rilevare è che il meccanismo ricostruttivo non
implica in alcun modo la creazione di un patrimonio unico del "gruppo",
nel quale si confondano i patrimoni delle singole società, con la conseguenza
che l'amministratore della fiduciaria, il quale rivesta tale carica anche in
altra società del gruppo, dovrebbe esser esentato dal rispetto dei doveri di
buona amministrazione di quest'ultima in nome di un preteso interesse superiore
del gruppo e della funzione di ricostituzione della "massa" dei beni
di proprietà dei fiducianti: se da un lato, infatti, la legge n. 430-86 non
prevede minimamente l'effetto della creazione di un'unica massa passiva per
tutte le procedure di liquidazione coatta relative alle società dello stesso
gruppo, in necessaria corrispondenza al presunto "continuum" patrimoniale,
dall'altro lato nel medesimo art. 2, comma 4, è contenuta una norma che - come
il giudice di merito ha esattamente osservato - presuppone l'autonomia soggettiva
e patrimoniale delle singole società; si può dire, anzi, che si colloca in posizione
antitetica rispetto a qualsiasi pur ampio concetto di gruppo ed agli effetti
che si voglia farne derivare. Si tratta della c.d. revocatoria straordinaria:
"Nei confronti delle società di cui al comma 1 (direttamente o indirettamente
controllate, sottoposte alla stessa direzione e-o finanziate: n.d.r.), ancorché
non ne sia stato accertato lo stato di insolvenza, il commissario delle società
poste in liquidazione coatta amministrativa può esperire l'azione revocatoria
di cui all'art. 67 del predetto regio decreto (16 marzo 1942, n. 267: n.d.r.)
relativamente agli atti, indicati al primo comma, n. 1) 2) e 3) dello stesso
articolo posti in essere nei cinque anni anteriori alla sentenza dichiarativa
dello stato di insolvenza della società posta in liquidazione coatta amministrativa
e, relativamente agli atti indicati al n. 4) e al secondo comma del medesimo
articolo, posti in essere nei tre anni anteriori".
Secondo il ricorrente, la norma, esprimendo l'esigenza che la ricostruzione
del patrimonio dei terzi - fiducianti avvenga presso tutte le realtà economiche
"pseudo - indipendenti" che gravitano attorno al nucleo centrale rappresentato
dalla società fiduciaria, costituisce un elemento rafforzativo della tesi della
ricostituzione di una massa unica dei beni affidati, consentendo al commissario
di inseguire il bene di proprietà del fiduciante presso le altre società: non
è in contrasto, quindi, con l'unicità patrimoniale del gruppo cui deve corrispondere
l'unicità del danno che l'amministratore arrechi alla società fiduciaria e ad
altra (o altre) società dello stesso gruppo, nella quali ricopra la stessa carica.
La finezza argomentativa non riesce, tuttavia, a celare la fragilità della tesi,
che si risolve nel sostanziale oblio dell'elemento qualificante della revocatoria
in questione, ossia il presupposto che non sia stato accertato lo stato di insolvenza
della società oggetto della stessa revocatoria: tale presupposto, infatti, implica
che la società fiduciaria e le altre società conservino autonomia soggettiva
e patrimoniale e, proprio a motivo di ciò, si è voluto uno strumento per ricostruire
il patrimonio della società posta in l.c.a. e non certamente per creare un patrimonio
unico tra tutte le società. È sin troppo evidente, poi, che nessun rilievo può
avere il prolungamento dei periodi sospetti riguardo a quelli previsti per la
revocatoria ex art.
Concludendo: anche nel c.d. gruppo di società fiduciaria le singole società
mantengono autonomia giuridica e patrimoniale, onde l'interesse o logica di
gruppo non può pregiudicarne il patrimonio, se al danno di un'operazione non
corrisponda un vantaggio derivante da altra operazione; il sistema di tutela
dei beni dei fiducianti, posto dalla legge n. 430 del 1986, non comporta alcuna
deroga a tale principio, che, anzi, trova espressa conferma nella disciplina
della revocatoria di cui all'art. 2, comma 4; il danno cagionato dall'amministratore
al patrimonio di una società del gruppo non è giuridicamente parte del danno
arrecato al patrimonio della società fiduciaria; ne deriva che, ove per il danno
subito dal patrimonio della fiduciaria sia stata esclusa la responsabilità dell'amministratore
che rivesta tale carica anche in altra società del gruppo, non per ciò solo
lo stesso amministratore deve essere ritenuto esente da ogni responsabilità
per il danno cagionato al patrimonio della società controllata, collegata e-o
finanziata.
La Corte milanese ha fatto corretta applicazione di tali principi al caso di
specie, avendo avuto anche cura di precisare che, sebbene nei rapporti infragruppo
il danno di un'operazione possa trovare compensazione con il vantaggio di un'altra
operazione, tuttavia il Doronzo si è limitato a prospettare astrattamente l'inconfigurabilità
di un conflitto di interessi e la compensabilità del danno, senza provare e
neppure allegare un vantaggio che la soc. Viscontea Commissionaria avesse tratto
dalle operazioni di finanziamento effettuate in favore della Unifin e della
Sogefin. Ove a ciò si aggiunga che il ricorrente non contesta in alcun modo
sia l'esistenza del danno subito dalla Viscontea, sia la rilevanza giuridica
degli elementi posti dal giudice di merito a base dell'affermazione di responsabilità,
la censura si rivela priva di qualsiasi fondamento.
Il ricorrente lamenta, con il secondo motivo, che
Anche tale doglianza non può essere accolta,
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso va rigettato.
Sussistono giusti motivi, ravvisabili nella novità della questione prospettata,
per compensare interamente le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 1998.