Cassazione civile, SEZIONE I, 21 gennaio 1999, n. 521


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Pellegrino SENOFONTE                - Presidente -
Dott. Giovanni   VERUCCI            - Rel. Consigliere -
Dott. Giulio     GRAZIADEI               - Consigliere -
Dott. Francesco  FELICETTI               - Consigliere -
Dott. Laura      MILANI                  - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DORONZO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA NOMENTANA  60
B-9, presso l'avvocato PLACCO GIOVAN VINCENZO, che lo  rappresenta  e
difende unitamente agli avvocati BOTTINELLI BERNARDO MARIA,  FEDERICO
DI MAIO, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
VISCONTEA COMMISSIONARIA SpA in liquidazione  coatta  amministrativa,
in persona del Commissario  Liquidatore  pro  tempore,  elettivamente
domiciliata in ROMA VIA TOSCANA 10, presso l'avvocato DOMENICO RIZZO,
che  la  rappresenta  e  difende  unitamente  agli  avvocati  MASSIMO
DATTRINO, TINO SINIBALDO, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n.  3488-95  della  Corte  d'Appello  di  MILANO,
depositata il 19-12-95;
udita la relazione della causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del
21-09-98 dal Consigliere Dott. Giovanni VERUCCI;
udito  per  il  ricorrente,  l'Avvocato  Di  Maio,  che  ha   chiesto
l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'Avvocato  Persiani,  con  delega,  che  ha
chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del  Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
Orazio FRAZZINI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso ai sensi degli artt. 2 l. n. 430-86 e 206 l.f., la s.p.a.
Viscontea Commissionaria in L.c.a. chiedeva al Tribunale di Milano che, accertata la responsabilità ex artt. 2392 e segg. cod. civ. degli amministratori succedutisi nel tempo, costoro fossero condannati al risarcimento dei danni: in particolare, che Giuseppe Doronzo, amministratore di essa società dal 20 settembre 1985 al 24 settembre 1986, fosse condannato al risarcimento del danno per non aver provveduto al recupero di precedenti finanziamenti erogati e per averne effettuati altri al di fuori di ogni previsione statutaria ed in violazione degli obblighi di diligenza e perizia.
I commissari liquidatori precisavano che la soc. Viscontea Commissionaria faceva parte del gruppo nel senso previsto dalla legge 1 agosto 1986, n. 430 ed in cui fiduciaria era la s.p.a. Fidimpresa, posta in liquidazione coatta amministrativa il 26 luglio 1986 e dichiarata insolvente l'11 settembre 1986: con sentenza del 9 marzo 1987, il Tribunale di Milano aveva accertato il collegamento tra la soc. Fidimpresa e la soc. Viscontea Commissionaria, dichiarando lo stato d'insolvenza di quest'ultima, che era poi stata posta in l.c.a. con decreto del 17 aprile 1987.
I convenuti, tra i quali il Doronzo, si costituivano, contestando la domanda risarcitoria.
Con sentenza del 30 giugno 1994, confermata dalla Corte d'Appello con sentenza del 19 dicembre 1995, il Tribunale adito condannava, tra l'altro, il Doronzo al risarcimento dei danni nella misura di lire 500.000.000.
La Corte territoriale osservava, per quanto in questa sede rileva, che l'eccezione di difetto di legittimazione attiva dei commissari liquidatori, dedotta sotto il profilo che i finanziamenti contestati erano stati effettuati con denaro dei clienti, era priva di fondamento, atteso che i commissari si erano limitati a riferire di una liquidazione di titoli dei clienti, senza affermare che il prezzo ricavato era stato impiegato nei finanziamenti alle società collegate (in particolare,
la Unifin e la Sogefin): circostanza, del resto, impossibile perché i finanziamenti erano stati erogati nel 1985, mentre la liquidazione dei titoli era avvenuta nell'ultimo trimestre del 1986.
Con riferimento al merito dell'impugnazione,
la Corte milanese osservava che, secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalente, non esiste una disciplina legale dell'impresa di gruppo che valga a superare lo schermo della personalità giuridica delle singole società collegate e, in tema di responsabilità degli amministratori, ad apportare deroghe al rigoroso regime stabilito dal codice civile: la figura del gruppo di imprese descrive essenzialmente un fenomeno economico, essendo giuridicamente rilevante solo in materie espressamente disciplinate da specifiche norme e limitatamente ai fini in esse previsti, mentre, in tema di gruppo di società fiduciaria, l'art. 2, comma 4, l. n. 430-86, prevedendo l'azione revocatoria fallimentare della l.c.a. nei confronti delle altre società del gruppo, ne presuppone l'autonomia soggettiva e patrimoniale. Secondo la Corte territoriale, quindi, non esiste un interesse superiore del gruppo rispetto agli interessi delle singole società, con la conseguenza che la situazione di conflitto d'interessi e la violazione del dovere di non operare in tale situazione è configurabile anche nel caso di operazioni infragruppo, dovendosi comunque tener conto, ai fini della responsabilità dell'amministratore, dell'effettività del conflitto produttivo di danni alla società del gruppo, atteso che il danno di un'operazione può trovare compensazione con il vantaggio di un'altra operazione.
Sulla base di tali premesse,
la Corte d'Appello riteneva che la responsabilità del Doronzo emergesse dalle seguenti circostanze: a) era "dominus" del gruppo e, in particolare, sia amministratore della finanziante soc. Viscontea Commissionaria che presidente della finanziata Unifin; b) dal novembre '85 al marzo '86, quale amministratore della Viscontea, aveva concesso all'Unifin ed alla Sogefin finanziamenti per complessive lire 2.564.000.000 al tasso del 5%, mentre la Viscontea pagava alle banche interessi passivi del 20%; c) non era stata prevista alcuna forma di garanzia ed entro il 1986 era stato dichiarato lo stato d'insolvenza delle società finanziate; d) lo statuto della soc. Viscontea escludeva la possibilità di finanziamenti a società nelle quali non avesse una partecipazione; e) il Doronzo, che non aveva neppure tentato di recuperare i finanziamenti erogati, non aveva concretamente prospettato alcun speculare vantaggio per la viscontea a seguito delle operazioni di finanziamento.
Per la cassazione di tale sentenza il Doronzo ha proposto ricorso con due motivi, illustrati anche con memoria. Resiste la soc. Viscontea Commissionaria in l.c.a. con controricorso.

Diritto

Con il primo motivo, denunziando errata applicazione dell'art. 2 della legge 1 agosto 1986 n. 430, nonché errata valutazione dei suoi effetti, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che non esiste un interesse superiore del gruppo rispetto agli interessi delle singole società: pur non essendo in discussione in via generale, tale principio non può essere affermato con riferimento al gruppo di società fiduciaria, disciplinato dalla legge n. 430 del 1986 al fine specifico di consentire ai fiducianti di recuperare i beni affidati alla fiduciaria. Secondo il ricorrente, il "gruppo" è la risposta dell'ordinamento all'unitarietà dell'operato degli amministratori della società fiduciaria, in relazione all'unitarietà dei patrimoni dei fiducianti, i quali hanno diritto di far affidamento sui beni del gruppo, che devono concorrere alla ricostituzione del patrimonio fiduciario, separato da quello della società fiduciaria: l'art. 2 l. n. 430-86 è stato voluto per imprimere alla liquidazione quella medesima unitarietà che avrebbe avuto la direzione del gruppo, sì da ricomprendere le società finanziate, con la conseguenza che il danno di cui deve rispondere l'amministratore delle diverse società è unico, in relazione all'unicità del patrimonio che ha disperso o contribuito a disperdere. La Corte di merito avrebbe dovuto considerare che esso Doronzo era stato già chiamato a rispondere del danno asseritamente cagionato alla società fiduciaria (andando, peraltro, esente da ogni responsabilità) e che non poteva, quindi, ulteriormente rispondere dei danni arrecati alla società commissionaria, che si era avvalsa dei beni dei fiducianti.
Nei termini prospettati, il motivo pone una questione sulla quale non risultano precedenti di questa Corte: la rilevanza che, quanto alla responsabilità degli amministratori ex art. 2392 e segg. cod. civ., può avere la configurabilità del c.d. gruppo di società fiduciaria nel sistema del d.l. 5 giugno 1986, n. 233 (convertito, con modificazioni, nella legge 1 agosto 1986, n. 430), con particolare riferimento all'ipotesi in cui l'amministratore della fiduciaria rivesta tale carica anche in una o più delle società controllate e-o finanziate dalla fiduciaria medesima.
Dalla sentenza impugnata risulta che, nel caso di specie, società fiduciaria era
la Fidimpresa s.p.a., dapprima posta in l.c.a. e, poi, dichiarata insolvente, mentre non è contestato che la Viscontea s.p.a. - di cui è stato accertato il collegamento con la Impresa e dichiarato lo stato di insolvenza, con conseguente messa in liquidazione coatta amministrativa - fosse una commissionaria, che provvedeva ad acquistare o vendere beni secondo lo schema contrattuale dell'art. 1731 c.c.: il Doronzo è stato, sia pure per un breve periodo, amministratore della Fidimpresa, nonché della Viscontea dal 20 settembre 1985 al 24 settembre 1996. L'odierno ricorrente, inoltre, è stato presidente della Unifin, società a favore della quale, oltre che alla Sogefin, la Viscontea ha effettuato finanziamenti: è parimenti incontestato, infine, che, chiamato a rispondere di danni asseritamente cagionati al patrimonio della fiduciaria, è stato mandato esente da ogni responsabilità al riguardo.
Ciò premesso, va rilevato che, nel sostenere la tesi dell'unicità del danno arrecato alla Fidimpresa ed alla Viscontea e, quindi, dell'inconfigurabilità di una duplice responsabilità, il ricorrente non mette in discussione i principi affermati dalla Corte territoriale in tema di gruppo di società, contestandone soltanto la validità con riferimento al c.d. gruppo di società fiduciaria: non sembra, però, che si possa prescindere da una sia pur sommaria ricognizione di tali principi, non soltanto perché costituiscono l'architrave del ragionamento seguito dal giudice di merito, ma anche - e soprattutto - in ragione della diversità concettuale e di disciplina positiva che lo stesso ricorrente prospetta in relazione al sistema della legge n. 430 del 1986.
È noto che nel nostro ordinamento manca una disciplina generale dell'impresa di gruppo in senso stretto e, dunque, del c.d. gruppo di società, al di fuori delle regole poste in materia di società collegate e-o controllate e sì da configurare il "gruppo" come autonomo centro d'imputazione di diritti, oltre che come un'aggregazione per la realizzazione di interessi economici comuni da ciò si è tratta costantemente l'affermazione che, nonostante il controllo o collegamento, ciascuna delle società del gruppo conserva propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore (per l'accertamento dello stato d'insolvenza, ai fini della dichiarazione di fallimento, cfr., per tutte, Cass. 4550-92) e che il concetto di interesse sociale, come quello di pregiudizio a tale interesse, va visto in relazione all'autonomia delle singole società del gruppo, con l'ulteriore conseguenza, da un lato, che anche tra imprese facenti parte di un medesimo raggruppamento può sussistere un conflitto d'interessi non giustificabile in un interesse della capogruppo che si pretenda superiore e, dall'altro lato, che non è possibile stemperare la responsabilità degli amministratori in una valutazione globale, prescindendo dalla tutela del patrimonio della singola società e riguardando l'eventuale vantaggio conseguito da altra società del gruppo ("ex multis", Cass. 5123-91).
Tuttavia, lo sviluppo del fenomeno aggregativo per effetto di precise esigenze economico - finanziarie e le sollecitazioni della dottrina non potevano non trovare adeguata risposta anche dalla giurisprudenza di questa Corte: si è affermato, allora, che, in tema di revocatoria fallimentare, allorquando si tratti di dimostrare la sussistenza in capo all'"accipiens" della consapevolezza dello stato d'insolvenza di una società del gruppo, detta prova può essere desunta anche dalla circostanza della crisi del gruppo (Cass. 5900-95); che l'atto a titolo gratuito compiuto da una società controllata, in forza di direttive impartite dalla capogruppo, non comporta necessariamente l'effettivo depauperamento della prima, che può conseguire vantaggi compensativi da altre operazioni, in armonia con l'interesse - talora definito "logica" - di gruppo (Cass. 2001-96); che nell'ipotesi di fideiussione rilasciata dall'amministratore di una società di persone per assicurare il finanziamento bancario ad una società di capitali amministrativa dalla stessa persona, non v'è conflitto di interessi quando tutti i soci della prima siano anche soci della seconda, dovendosi tener conto non soltanto del collegamento economico ed operativo, ma anche che l'autonomia giuridica della società di persone non osta a che su di essa si riverberi il buon andamento della società di capitali (Cass. 8472-98).
Trattasi di principi che, all'evidenza, non mettono comunque in discussione la configurazione del gruppo come quello in cui ad un'impresa unitaria in senso economico corrispondono più società sul piano giuridico, nè la conseguente autonomia patrimoniale di ciascuna società, anche con riferimento alla regola posta dall'art. 2740 c.c., e nemmeno la valutazione della responsabilità degli amministratori in relazione alla gestione della singola società, pur quando rivestano contemporaneamente tale qualità in diversa società del gruppo: in altri termini, che non esiste unità in senso giuridico e che in nome dell'interesse o logica di gruppo non può essere sacrificato il patrimonio della singola società, ove questa non consegua, sia pure in via indiretta, un preciso vantaggio da un'altra operazione, posta in essere secondo l'indirizzo economico unitario. Nella giurisprudenza di questa Corte, infine, è ricorrente l'affermazione che le speciali disposizioni dettate per l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi o per regolare determinate materie rivestono natura eccezionale, non autorizzano una diversa configurazione del gruppo e non sono, in ogni caso, estensibili al di fuori delle ipotesi considerate e delle finalità perseguite.
Anche nell'evoluzione legislativa non è dato riscontrare un concetto unitario ed univoco di gruppo, nè una disciplina che ne ammetta la configurazione come centro autonomo d'imputazione di diritti e d'interessi: solo in settori specifici ed a fini limitati, infatti, è stato riconosciuto il fenomeno aggregativo, dovendosi anche osservare che, allo stato, la rilevanza di un interesse unitario sembra ristretta all'ambito della disciplina dei gruppi creditizi.
Alla ricognizione normativa effettuata dalla Corte di merito si può aggiungere, da ultimo, il d. lgs.vo 24 febbraio 1998, n. 58 ("testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52"): in particolare, l'art.
11, a mente del quale la Banca d'Italia, sentita la Consob, "determina la nozione di gruppo rilevante ai fini della verifica dei requisiti previsti dagli articoli 19, comma 1, lett. h) e 34, comma 1, lett. f)"; ossia quelli per l'autorizzazione, rispettivamente, all'esercizio dei servizi di investimento da parte delle SIM ed all'esercizio del servizio di gestione collettiva del risparmio e su base individuale di portafogli di investimento; entrambi, peraltro, nel senso che "la struttura del gruppo di cui è parte la società non sia tale da pregiudicare l'effettivo esercizio della vigilanza sulla società stessa....".
È, comunque, un quadro normativo che, pur rilevando innegabilmente una tendenza a valorizzare la realtà economico - finanziaria espressa dall'impresa di gruppo, tuttavia rimane caratterizzato da evidente asistematicità, mirando essenzialmente, per un verso, ad accentuare la rilevanza e gli effetti del controllo e-o del collegamento in determinati settori e, per altro verso, ad evitare limitazioni di responsabilità in conseguenza di più o meno articolati sistemi di aggregazione societaria: ma con una configurazione ed in un'ottica che, anche in ragione di tali finalità, di regola non stabiliscono ne implicano il superamento dell'autonomia patrimoniale di ciascuna società.
Contrariamente all'assunto del ricorrente, alla medesima conclusione deve pervenirsi anche con riferimento al d.l. n. 233-86, convertito nella legge n. 430 del 1986 ("Norme urgenti sulla liquidazione coatta amministrativa delle società fiduciarie e di revisione e disposizioni sugli enti di gestione fiduciaria"), nel cui ambito non è dato rinvenire alcuna norma che affermi o presupponga non soltanto un concetto di gruppo diverso da quello ora delineato, ma anche la perdita di autonomia giuridica e patrimoniale delle singole società.
In assenza di qualsiasi uso del termine "gruppo", l'art. 2, comma 1, ne delinea il concetto sulla base del controllo diretto o indiretto, dell'unicità di direzione per effetto della composizione degli organi amministrativi, del finanziamento continuativo o prevalente: come è noto, la formulazione della norma è sostanzialmente derivata dall'art. 3 della legge n. 95 del 1979 (c.d. legge Prodi), pur ampliandolo nel criterio sub d) in punto di finanziamento passivo, onde non v'è ragione per ritenere che, sotto questo profilo, l'art.
2 l. n. 430-86 si discosti dall'ordinaria concezione della società di gruppo. Non sembra superfluo aggiungere che, secondo autorevole dottrina, lo stesso art. 3 l. n. 95-79 non pone in discussione i principi di autonomia delle singole società del gruppo e dell'inconfigurabilità di un interesse di quest'ultimo che prevalga su quello della società, atteso che la previsione del coinvolgimento degli amministratori della società esercitante la direzione unitaria nella responsabilità per i danni cagionati alla società collegata dipende dall'accertamento in concreto di un concorso degli amministratori di una società del gruppo nella gestione di altra società dello stesso gruppo, il cui patrimonio sia stato danneggiato, ma non dall'applicazione del principio secondo cui gli amministratori della società controllante rispondono della gestione delle società controllate.
Si può convenire con la difesa del ricorrente quanto all'individuazione della finalità perseguita dalla legge n. 430 del 1986, ossia quella che la liquidazione coatta deve consentire ai fiducianti di rientrare in possesso dei beni amministrativi per loro conto dalla società fiduciaria, sulla base del principio di separazione del patrimonio dei fiducianti da quello della fiduciaria, dal momento che quest'ultima, per definizione, amministra beni non propri: d'altro canto, l'effettiva proprietà in capo ai fiducianti dei beni affidati alla fiduciaria è previsto espressamente dal medesimo art. 2, comma
10. l. n. 430-86 per i titoli azionari e le altre partecipazioni sociali. Al riguardo, vanno senz'altro qui ribaditi i principi affermati da questa Corte con le recenti sentenze nn. 9355-97 e 10031-97 (e, in precedenza, da Cass. 6478-84), secondo cui l'essenza del rapporto intercorrente tra società fiduciaria e fiducianti risiede nell'intestazione di beni appartenenti effettivamente ad altri proprietari e la proprietà della fiduciaria, pur non potendo dirsi fittizia, ha comunque carattere meramente formale: tuttavia, non possono essere accettate le conseguenze che il ricorrente pretende di trarne.
In primo luogo, anche volendo ammettere che l'obiettivo di permettere ai fiducianti di rientrare in possesso dei beni amministrati dalla fiduciaria si realizzi necessariamente tramite una "cogestione" della crisi, con attrazione di tutte le società del gruppo alla medesima procedura di liquidazione (ma, sia pure in fattispecie diversa, v.
Cass. 10031-97 per la tutela a carattere reale del fiduciante), si deve comunque rilevare che detta attrazione non prescinde dalla condizione che venga dichiarato lo stato di insolvenza della società controllata, collegata o finanziata: dovendosi aggiungere che la competenza per la dichiarazione dello stato di insolvenza della società collegata con una fiduciaria posta in l.c.a., a norma della legge n. 430-86, spetta al tribunale del luogo dove la singola società ha la sua sede principale, in quanto le disposizioni di detta legge non derogano al principio posto dall'art.
195 l.f. (così Cass. 3790-92; cfr. anche cass. 9963-91 per l'ipotesi di dichiarazione dello stato di insolvenza della fiduciaria).
Ma quel che preme maggiormente rilevare è che il meccanismo ricostruttivo non implica in alcun modo la creazione di un patrimonio unico del "gruppo", nel quale si confondano i patrimoni delle singole società, con la conseguenza che l'amministratore della fiduciaria, il quale rivesta tale carica anche in altra società del gruppo, dovrebbe esser esentato dal rispetto dei doveri di buona amministrazione di quest'ultima in nome di un preteso interesse superiore del gruppo e della funzione di ricostituzione della "massa" dei beni di proprietà dei fiducianti: se da un lato, infatti, la legge n. 430-86 non prevede minimamente l'effetto della creazione di un'unica massa passiva per tutte le procedure di liquidazione coatta relative alle società dello stesso gruppo, in necessaria corrispondenza al presunto "continuum" patrimoniale, dall'altro lato nel medesimo art. 2, comma 4, è contenuta una norma che - come il giudice di merito ha esattamente osservato - presuppone l'autonomia soggettiva e patrimoniale delle singole società; si può dire, anzi, che si colloca in posizione antitetica rispetto a qualsiasi pur ampio concetto di gruppo ed agli effetti che si voglia farne derivare. Si tratta della c.d. revocatoria straordinaria:
"Nei confronti delle società di cui al comma 1 (direttamente o indirettamente controllate, sottoposte alla stessa direzione e-o finanziate: n.d.r.), ancorché non ne sia stato accertato lo stato di insolvenza, il commissario delle società poste in liquidazione coatta amministrativa può esperire l'azione revocatoria di cui all'art. 67 del predetto regio decreto (16 marzo 1942, n. 267: n.d.r.) relativamente agli atti, indicati al primo comma, n. 1) 2) e 3) dello stesso articolo posti in essere nei cinque anni anteriori alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza della società posta in liquidazione coatta amministrativa e, relativamente agli atti indicati al n. 4) e al secondo comma del medesimo articolo, posti in essere nei tre anni anteriori".
Secondo il ricorrente, la norma, esprimendo l'esigenza che la ricostruzione del patrimonio dei terzi - fiducianti avvenga presso tutte le realtà economiche "pseudo - indipendenti" che gravitano attorno al nucleo centrale rappresentato dalla società fiduciaria, costituisce un elemento rafforzativo della tesi della ricostituzione di una massa unica dei beni affidati, consentendo al commissario di inseguire il bene di proprietà del fiduciante presso le altre società: non è in contrasto, quindi, con l'unicità patrimoniale del gruppo cui deve corrispondere l'unicità del danno che l'amministratore arrechi alla società fiduciaria e ad altra (o altre) società dello stesso gruppo, nella quali ricopra la stessa carica.
La finezza argomentativa non riesce, tuttavia, a celare la fragilità della tesi, che si risolve nel sostanziale oblio dell'elemento qualificante della revocatoria in questione, ossia il presupposto che non sia stato accertato lo stato di insolvenza della società oggetto della stessa revocatoria: tale presupposto, infatti, implica che la società fiduciaria e le altre società conservino autonomia soggettiva e patrimoniale e, proprio a motivo di ciò, si è voluto uno strumento per ricostruire il patrimonio della società posta in l.c.a. e non certamente per creare un patrimonio unico tra tutte le società. È sin troppo evidente, poi, che nessun rilievo può avere il prolungamento dei periodi sospetti riguardo a quelli previsti per la revocatoria ex art.
67 l.f., non potendo ragionevolmente ritenersi che la soggezione alla revocabilità dell'atto per un termine alquanto ampio escluda, di per se stessa, l'autonomia patrimoniale della società.
Concludendo: anche nel c.d. gruppo di società fiduciaria le singole società mantengono autonomia giuridica e patrimoniale, onde l'interesse o logica di gruppo non può pregiudicarne il patrimonio, se al danno di un'operazione non corrisponda un vantaggio derivante da altra operazione; il sistema di tutela dei beni dei fiducianti, posto dalla legge n. 430 del 1986, non comporta alcuna deroga a tale principio, che, anzi, trova espressa conferma nella disciplina della revocatoria di cui all'art. 2, comma 4; il danno cagionato dall'amministratore al patrimonio di una società del gruppo non è giuridicamente parte del danno arrecato al patrimonio della società fiduciaria; ne deriva che, ove per il danno subito dal patrimonio della fiduciaria sia stata esclusa la responsabilità dell'amministratore che rivesta tale carica anche in altra società del gruppo, non per ciò solo lo stesso amministratore deve essere ritenuto esente da ogni responsabilità per il danno cagionato al patrimonio della società controllata, collegata e-o finanziata.
La Corte milanese ha fatto corretta applicazione di tali principi al caso di specie, avendo avuto anche cura di precisare che, sebbene nei rapporti infragruppo il danno di un'operazione possa trovare compensazione con il vantaggio di un'altra operazione, tuttavia il Doronzo si è limitato a prospettare astrattamente l'inconfigurabilità di un conflitto di interessi e la compensabilità del danno, senza provare e neppure allegare un vantaggio che la soc. Viscontea Commissionaria avesse tratto dalle operazioni di finanziamento effettuate in favore della Unifin e della Sogefin. Ove a ciò si aggiunga che il ricorrente non contesta in alcun modo sia l'esistenza del danno subito dalla Viscontea, sia la rilevanza giuridica degli elementi posti dal giudice di merito a base dell'affermazione di responsabilità, la censura si rivela priva di qualsiasi fondamento.
Il ricorrente lamenta, con il secondo motivo, che
la Corte territoriale non abbia considerato che, per la parte dei finanziamenti operati con i beni dei clienti (secondo quanto affermato dai commissari nel ricorso introduttivo del giudizio), i commissari medesimi non erano legittimati a promuovere l'azione di responsabilità, perché le somme affidate alla commissionaria non entrano nel patrimonio di quest'ultima, ma restano proprietà dei clienti, che sono gli unici legittimati a far valere la responsabilità degli amministratori.
Anche tale doglianza non può essere accolta,
la Corte di merito avendo escluso - con accertamento fattuale insindacabile in sede di legittimità - che i finanziamenti fossero stati operati con il prezzo ricavato dalla liquidazione di titoli dei clienti, tanto più che essa era avvenuta nell'ultimo trimestre dell'anno 1986, mentre le erogazioni erano state effettuate nel 1985: viene radicalmente meno, quindi, il presupposto di fatto sul quale si fonda la censura e non assume alcun rilievo la natura del rapporto tra cliente e società commissionaria.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso va rigettato.
Sussistono giusti motivi, ravvisabili nella novità della questione prospettata, per compensare interamente le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 1998.