Cassazione penale, SEZIONE V, 15 novembre 1999, n. 5503
SEZIONE QUINTA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Pasquale LACANNA - PRESIDENTE;
1. Dott. Franco MARRONE - CONSIGLIERE;
2. Dott. Pasquale MARONE - CONSIGLIERE;
3. Dott. Andrea COLONNESE - CONSIGLIERE;
4. Dott. Aniello NAPPI - CONSIGLIERE;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
<D'A. R.> n. Napoli il 1.1.1946
avverso l'ordinanza del Tribunale di Milano in data 22.7.1999
Visti gli atti, l'ordinanza denunziata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Marrone
Udito il Procuratore Generale dr. Gianfranco Ciani
che ha concluso per rigetto del ricorso
Udito il difensore avv. Felice Frojo del foro di Napoli
1). Il Tribunale di Milano, in sede di riesame ha confermato l'ordinanza
del GIP in data 6.7.1999 colla quale era stata disposta la custodia cautelare
in carcere nei confronti di <R. D'A.> per il delitto continuato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale e documentale.
Si tratta del fallimento di sei società per azioni e di una società a r.l. dichiarato
dal Tribunale di Milano, nelle quali l'indagato ha svolto funzioni di amministratore
di diritto (in alcune: <G.> e <C. I.>) e di fatto nelle altre.
Ha ritenuto il Tribunale:
- che il G.i.p. aveva esaurientemente esposto la sussistenza del quadro indiziario
ed innanzi alla completezza del provvedimento non ci si può che ad esso riportare,
tanto più che la difesa non aveva ritenuto di esporre alcuno specifico motivo
di censura in sede di presentazione della richiesta di riesame nè all'udienza
camerale
- che all'indagato viene sostanzialmente imputato il "progetto" -
realizzato - di acquisizione della maggior parte delle società di due importanti
gruppi nel settore dell'impiantistica e dell'alta tecnologia (gruppo <G.>
e gruppo <C.>), ponendo, quindi, in essere una serie sistematica di operazioni
che hanno portato al depauperamento delle stesse ed alla dichiarazione di fallimento,
il tutto in un breve arco temporale
- che, quanto all'acquisto della <C. H. S.>, l'indagato era divenuto azionista
di maggioranza (53,02) %)attraverso la sua <G. S.>; che la sottoscrizione
dell'aumento di capitale deliberato - in mancanza di liquidità - avvenne con
il conferimento di due società immobiliari (<B. T.> e <S. T.>, entrambe
costituite il 28.5.1993, con identica sede e rappresentanti legali, con volume
d'affari pari a 'zerò, negli anni 1993 e 1994), nonché di crediti che
- che analoga era la situazione con riferimento all'ingresso dell'indagato nella
compagine sociale del gruppo <G. S.> che già possedeva e controllava altri
importanti gruppi industriali, in quanto nel 1995, e precisamente il 22.5.1995,
l'intero pacchetto azionario della <G.>, e cosi di tutto il gruppo (e
dunque anche la <Da B. S. S.>), fu acquistato dal gruppo D'Andria (<G.
S.>), con pagamento stabilito principalmente a mezzo cambiali, di cui la
prima protestata, con la conseguenza che le successive neppure vennero messe
all'incasso
- che le modalità di acquisizione rendono evidente, anche in questo caso, la
totale mancanza della necessaria liquidità da parte dell'acquirente che non
sostenne alcun esborso e che, con il meccanismo dell'avallo da parte delle società
cadute, fece indirettamente cadere su di esso il peso economico della operazione
- che la bancarotta documentale relativa al fallimento della <G. S.>è
provata dalla relazione del. curatore che ha rilevato la totale assenza dei
libri e scritture contabili che consentono la ricostruzione delle vicende societarie.
Quanto alle esigenze cautelari il Tribunale ha rilevato che sussiste il concreto
pericolo: di inquinamento probatorio, di fuga e di reiterazione di analoghe
condotte criminose.
2). Col ricorso la difesa deduce:
I- La violazione dell'art. 606, comma 1, lett. E) cod. proc. pen. in relazione
all'art. 309 e 125 s.c. per avere l'ordinanza impugnata omesso di motivare sui
gravi indizi di colpevolezza richiamando la motivazione del provvedimento emesso
dal Giudice per le indagini preliminari.
II- L'illogicità della motivazione sui gravi indizi di colpevolezza: - in relazione
all'operazione di acquisizione del patrimonio.
Sostiene, a tale proposito, la difesa che il Tribunale non abbia motivato sulla
distrazione del patrimonio, ma abbia descritto le modalità di acquisizione,
da parte dell'indagato, della <C. H.> e della <G.> per evidenziare
come lo stesso non disponesse delle risorse finanziarie necessarie per effettuare
tali acquisizioni; mentre, in effetti, l'operazione che ha portato il <D'A.>
ad entrare nella compagine sociale delle sue società ha seguito un moderno ma
assolutamente lecito schema di autofinanziamento, qual'è quello del c.d. leverage
buyout.
- in relazione all'operazione di finanziamento tra società del gruppo; al quale
proposito sostiene che erroneamente Il Tribunale ha evidenziato che le distrazioni
di rilevanti somme di denaro si sarebbero consumate principalmente attraverso
la concessione di finanziamenti non garantiti e senza alcun utile, in favore
di altre società collegate alle fallite, ma non ha considerato il profilo della
riconducibilità di operazioni di finanziamento tra società del gruppo allo schema
della bancarotta fraudolenta ed è incorso in un errore logico, in quanto rispetto
alle capogruppo che gestiscono il servizio di tesoreria, la concessione di finanziamenti
a società controllate a tassi nulli o a tassi di favore può rispondere ad una
ben precisa logica economica quale potrebbe essere quella di agevolare la propria
controllata evitandole una crisi di liquidità od altro
- in relazione alla bancarotta documentale in quanto la contestazione che riguarda
il <D'A.>, infatti, concerne sette società ma l'ordinanza si limita a
prendere in considerazione le risultanze della dott.ssa <O.>; e dalla
stessa motivazione del provvedimento risulta che il curatore "dalla documentazione
richiesta o ottenuta dagli istituti bancari" ha potuto ricostruire i movimenti
finanziari della società.
III - Violazione dell'art. 606, Comma 1, lett. E) cod. proc. pen. in relazione
all'art. 309, 125 e 274 s.c. per non aver l'ordinanza impugnata motivato e,
comunque, per aver illogicamente motivato nulla esistenza delle esigenze cautelari.
IV - Violazione dell'art. 606, comma 1, lett. E) cod. proc. pen. in relazione
all'art. 309, 125 e 275 s.c. per non aver l'ordinanza impugnata motivato e,
comunque, per aver illogicamente motivato sul criterio di adeguatezza e proporzionalità.
3). il ricorso non è fondato.
a) In tema di misure cautelari, la motivazione dell'ordinanza del Tribunale
del riesame che, quanto alla esistenza e gravità degli indizi, rinvii per relationem
alla motivazione dell'ordinanza del GIP applicativa della misura è legittima,
qualora - come nel caso in esame - nessuna censura sul punto venga sollevata
dalla difesa in sede di presentazione della richiesta di riesame o nell'udienza
camerale.
In tal caso, infatti, al giudica del riesame non può ritenersi essere stato
devoluto il problema riguardante la esistenza degli indizi e la loro gravità.
Quanto poi alla valutazione degli elementi difensivi emergenti dall'interrogatorio
dell'indagato, va osservato che tutta la complessa e argomentata motivazione
dell'ordinanza impugnata riguarda proprio la confutazione del "progetto"
di acquisizione delle società prospettato proprio dall'indagato.
b) La tesi - esposta dalla difesa col secondo motivo di ricorso - colla quale
sostiene che il <D'A.> è l'entrato nella compagine sociale" della
<C. H.> e della <G.> seguendo "un moderno ma assolutamente
lecito schema di autofinanziamento, qual'è quello del c.d. <L. B. O.>"
non è accoglibile.
L'istituto del <L.>, sorto negli Stati Uniti d'America, consiste nell'acquisizione
di una società (società bersaglio - target company) da parte di un'altra società
la quale ultima contrae un prestito con un terzo (di solito altra società),
garantendo tale prestito con le azioni o con il patrimonio della società bersaglio.
Tale istituto non è importabile in Italia, ostando il principio fissato nell'art.
2358 Cod. Civ. per il quale "la società non può accordare prestiti nè fornire
garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni proprie (co. 1), nè
può accettare azioni proprie in garanzia".
Il meccanismo finanziario utilizzato mediante il <L.> è perciò illecito
in Italia, quanto meno nei limiti sovra esposti.
C) La ordinanza impugnata non è censurabile neppure con riguardo alla osservazione
difensiva secondo la quale il Tribunale non ha motivato sulla distrazione del
patrimonio ma si è limitato a descrivere le modalità di acquisizione delle due
società.
Senonché, le modalità di acquisizione della <C. H. S.> e del gruppo <G.
S.> cono tali da configurare entrambe delle ipotesi di distrazione dei beni
delle due società, posto che il corrispettivo delle loro azioni era o inesistente
(<B. e S. T.> e crediti vantati) o costituito da immobili supervalutati
e già ipotecati oppure ancora da cambiali mai onorate.
d) Il principio affermato dalla difesa sui finanziamenti della società - capo
gruppo alle società controllate a tassi nulli o di favore è in astratto condivisibile,
in quanto ben può il finanziamento essere stato effettuato nell'interesse della
capo - gruppo per agevolare la controllata a risolvere una crisi di liquidità
o altro.
Ma nel caso in esame la situazione è ben diversa, posto che - secondo la ricostruzione
del Tribunale - l'ipotesi prospettata dalla difesa non ha radici fattuali.
La censura perciò si risolve in un inammissibile sindacato (in questa sede)
a valutazioni di merito.
e) La censura attinente alla bancarotta documentala (che sarebbe non configurabile
perché il curatore ha ricostruito i movimenti finanziari delle società sulla
base della documentazione richiesta e ottenuta dagli istituti bancari) non tiene
conto della costante giurisprudenza di questa Corte per la quale la ricostruzione
aliunde della documentazione non esclude la bancarotta fraudolenta documentale.
La necessità di acquisire presso terzi la documentazione, costituisce la riprova
che la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili era tale da non rendere
possibile le ricostruzione di patrimonio o del movimento di affari della società.
f) La motivazione relativa alle esigenze cautelari e al criterio di adeguatezza
e proporzionalità della misura applicata (censurata col terzo o quarto motivo
di ricorso) non può certo definirsi apodittica, nè comunque affetta da vizi
logici. Ciascuna delle tre ipotesi previste dagli artt. 274 e 275 c.p.p. sono
state esaminato dal Tribunale - che ha argomentatamente ritenuto sussistenti
sia il pericolo di inquinamento della prova (con riferimento all'attività svolta
dall'indagato per ostacolare la ricostruzione delle operazioni economiche e
l'individuazione dei responsabili) sia il pericolo di fuga (essendosi l'indagato
reso più volte irreperibile nel corso delle procedure fallimentari), sia il
pericolo di reiterazione di analoghe condotta criminose (data la pericolosità
sociale del prevenuto e la sua propensione a gestire società con modalità illecite
"a soli fini personali propri e dei suoi collaboratori"), sia l'adeguatezza
della misura applicata (in quanto proporzionata alla entità dei fatti e alla
sanzione che potrà essere irrogata).
Pertanto il ricorso va rigettato
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art, 94 Disp. Attuaz.
c.p.p.
Così deciso in Roma il 15 novembre 1999
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 4 FEB. 2000