Tribunale di Roma 6 luglio 2004, decr.

Pres. Deodato – Rel. Vannucci

Nel vigore delle nuove norme, la disciplina di cui all’art. 2409 c.c. è applicabile anche alle

s.r.l. dotate di collegio sindacale. L’art. 2476, comma 3, c.c., non costituisce, infatti, disciplina

esaustiva dal contenuto specializzante (e come tale escludente necessariamente l’applicazione

dell’art. 2409 c.c.), perché da un lato non consente al socio di denunciare le irregolarità dei

sindaci connesse alle irregolarità degli amministratori e, dall’altro, non consente ai sindaci che

intendano adempiere fino in fondo ai loro doveri di provocare il controllo giudiziario di tipo

cautelare previsto dalla disposizione menzionata. In ragione dell’assenza del rapporto di

specialità tra tali norme, il richiamo contenuto nell’art. 2477, comma 4, c.c. alle disposizioni in

tema di s.p.a. è tale da comprendere anche l’applicabilità dell’art. 2409 c.c. alle s.r.l. (I).

Per i procedimenti instaurati dopo il 1° gennaio 2004, alle denunzie di cui all’art. 2409 c.c. si

applica la disciplina dei procedimenti camerali, con conseguente identificazione del ricorso

quale atto richiesto per la proposizione delle istanze (II).

Alla luce della natura giurisdizionale del procedimento previsto dall’art. 2409 c.c. (sia dal lato

soggettivo che oggettivo) devono trovare applicazione gli artt. 82 ss. c.p.c. (in tema di

necessità del patrocinio di difensore abilitato per la parte che stia in giudizio davanti al

tribunale), richiamati dall’art. 25, comma 3, D.Lgs. n. 5/2003 (III).

La pronuncia sulle spese deve essere emessa nei procedimenti camerali in materia societaria

nei confronti di più parti intrapresi dopo il 1° gennaio 2004, in quanto coinvolgono, ancorché

indirettamente, diritti ed obblighi (del socio, degli amministratori e degli organi di controllo)

facenti rispettivamente capo a parti contrapposte (IV).

Il Tribunale di Roma (omissis)

OSSERVA

1) Con ricorso depositato il 22 ottobre 2002 E.S., F.F., A.F. e S.F., complessivamente

titolari di quote di partecipazione al capitale della N.V.C. s.r.l. in misura superiore al 10%

dell’intero, denunciarono irregolarità nella gestione della stessa società e chiesero la

revoca di amministratori e sindaci ai sensi dell’art. 2409 c.c.

Dopo l’instaurazione del contraddittorio in ordine a tale istanza con amministratori,

sindaci e pubblico ministero, con decreto del 9 giugno 2003 venne disposta ispezione

giudiziaria della società in questione onde accertare la sussistenza delle irregolarità

specificamente indicate in tale atto.

Sulla base del contenuto della relazione depositata dall’ispettore giudiziario il 28

novembre 2003, con decreto depositato il 21 aprile 2004 l’istanza di revoca è stata

rigettata ed è stata disposta l’integrale compensazione fra le parti private costituite delle

spese da ciascuna di esse rispettivamente anticipate nel procedimento.

2) Con ricorso depositato l’8 maggio 2004 gli stessi E.S., F.F., A.F. e S.F., evidenziando

la sussistenza di fatti, costituenti a loro avviso gravi irregolarità gestorie imputabili agli

amministratori di N.V.C., non considerati nel decreto di rigetto del 21 aprile 2004 perché

verificatisi successivamente alla discussione svoltasi all’udienza camerale del 17 marzo

2004 in ordine agli accertamenti effettuati dall’ispettore giudiziario, hanno chiesto la

revoca del decreto di rigetto, con “immediata revoca” degli amministratori dall’incarico

gestorio e “contestuale nomina dell’amministratore giudiziario”.

Il ricorso è stato notificato, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale di

discussione, ai soli amministratori della società ed al pubblico ministero.

Con memoria depositata il 3 giugno 2004 si sono costituiti di persona i componenti il

collegio sindacale della società (A.M., G.C. e B.C.) che hanno dichiarato di avere avuto

contezza del contenuto del ricorso sopra indicato e hanno chiesto, previa autorizzazione a

stare in giudizio di persona, il rigetto delle istanze dei soci ricorrenti.

Con memoria depositata lo stesso giorno 3 giugno 2004 gli amministratori (G.D.R., G.V.

e F.D.L.) si sono costituiti (a mezzo di difensori muniti di procura speciale) ed hanno

dedotto: l’inammissibilità dell’istanza ex art. 2409 c.c. in quanto proposta

successivamente all’entrata in vigore della disciplina di riforma del diritto delle società di

capitali e cooperative (D.Lgs. n. 6/2003) e di quella dei procedimenti in materia di diritto

societario (D.Lgs. n. 5/2003) in riferimento ad istituto (quello del controllo camerale di

cui all’art. 2409 c.c.) non applicabile alle s.r.l. in conseguenza della diversa disciplina

recata dal decreto n. 6/2003; nel merito, la manifesta infondatezza dell’istanza stessa.

All’udienza camerale di discussione del 9 giugno 2004 il pubblico ministero, chiamato

dai ricorrenti a partecipare al procedimento, ha chiesto il rigetto dell’istanza contenuta nel

ricorso sopra indicato.

3) Alla luce di quanto esposto nel precedente paragrafo 1) risulta con alquanta evidenza

che il procedimento ex art. 2409 c.c. intrapreso da E.S., F.F., A.F. e S.F. con ricorso

depositato il 22 ottobre 2002 è stato definito, con la negazione della sollecitata nomina di

amministratore giudiziario e con la regolamentazione delle spese del procedimento

stesso, con decreto depositato il 21 aprile 2004.

Premesso che i decreti emessi nell’ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione

rispettivamente previsti dagli artt. 737 – 742-bis c.p.c. e dagli artt. 25-33 del decreto n.

5/2003 non sono inidonei a costituire cosa giudicata, in senso formale (art. 324 c.p.c.) e

sostanziale (art. 2909 c.c.), potendo essere modificati e revocati in ogni tempo (art. 742

c.p.c. e art. 26, secondo e terzo comma, decreto n. 5/2003), come pacificamente ritenuto

da dottrina e giurisprudenza unanimi (cfr., per tutte, Cass. 26 febbraio 1993, n. 2395;

Cass. 17 dicembre 2003, n. 19391), è del pari evidente che il ricorso con il quale le stesse

persone fisiche sopra indicate hanno chiesto la “revoca” del decreto del 21 aprile 2004, e

la conseguente nomina di amministratore giudiziario negata da tale decreto, costituisce

nuova denuncia di gravi irregolarità di gestione.

Il procedimento che si attiva sulla denuncia di cui all’art. 2409 c.c. ha natura di

procedimento camerale di volontaria giurisdizione (giurisprudenza costante: cfr.,

comunque, Cass. 26 febbraio 2002, n. 2776) con pluralità di parti, dal momento che a

seguito di presentazione della denuncia il secondo comma dell’articolo menzionato

prevede che in ordine alla stessa debbano essere sentiti amministratori e sindaci.

Per i procedimenti instaurati dopo il 1° gennaio 2004 la disciplina dei procedimenti

camerali plurilaterali di cui agli artt. 30, 31 e 32 del D.Lgs. n. 5/2003 è espressamente

dichiarata applicabile alle denunzie di cui all’art. 2409 c.c. dall’art. 33 dello stesso

decreto; con conseguente identificazione del ricorso (art. 125 c.p.c.) quale atto richiesto

dalla legge processuale per l’introduzione delle istanze che a mezzo di tale procedimento

si fanno valere (art. 737 c.p.c. per i procedimenti iniziati prima del 1° gennaio 2004; art.

25 del decreto n. 5/2003 per i procedimenti iniziati dopo tale data).

Ai fini della determinazione della “pendenza” del procedimento di cui all’art. 41 del

decreto n. 5 del 2003 ed all’art. 223-novies, primo comma, disp. att. c.c., introdotto con

l’art. 9, secondo comma, lett. b), del decreto n. 6/2003 (secondo cui “i procedimenti

previsti dall’art. 2409 del codice, pendenti alla data del 1° gennaio 2004, proseguono

secondo le norme anteriormente vigenti”) occorre pertanto far riferimento al momento

del deposito del ricorso, al pari di quanto previsto per qualunque processo civile che inizi

con tale atto (mentre la pendenza del processo da introdurre con citazione si determina

dal giorno della notificazione di tale atto: cfr., per tutte Cass. 18 febbraio 1999, n. 1358);

Da ciò deriva che al procedimento instaurato con il ricorso in esame si applicano: a) le

regole di diritto processuale previste dagli artt. 25 – 27 e 30-33 del decreto n. 5/2003; b)

le regole di diritto sostanziale e processuale contenute nelle disposizioni del codice civile

in materia di società di capitali come modificate dal decreto n. 6/2003.

Il ricorso stesso instaura quindi un nuovo procedimento ex art. 2409 c.c. sulla base di

denuncia relativa a fatti accaduti successivamente all’emissione del rigetto dell’istanza di

revoca di amministratori e sindaci sopra richiamato; con conseguente applicabilità

dell’art. 26, secondo comma, del citato decreto n. 5.

4) L’art. 25, terzo comma, del decreto n. 5/2003 prevede che nel caso di provvedimento

di volontaria giurisdizione da emettere nei confronti di più parti “si applicano gli artt. 82,

comma secondo, 83 e 84 del codice di procedura civile e il tribunale provvede in

composizione collegiale”.

Prima dell’entrata in vigore della disposizione da ultimo indicata la giurisprudenza

onoraria di questo tribunale era ferma nel ritenere che, alla luce della natura

giurisdizionale del procedimento previsto dall’art. 2409 c.c. (sia dal lato soggettivo, che

oggettivo) e come evidenziato da dottrina e giurisprudenza (secondo Cass. 23 novembre

1994, n. 9913, resa specificamente in materia di necessità di assistenza di difensore nel

processo esecutivo davanti al pretore, l’art. 82 c.p.c. “regola in via generale le condizioni

per l’inserimento delle parti.. in relazione a qualsiasi tipo di processo, cognitivo,

esecutivo o camerale”), allo stesso dovessero trovare applicazione, in assenza di specifica

indicazione normativa di segno contrario, gli artt. 82 e segg. c.p.c. (in tema di necessità

del patrocinio di difensore abilitato per la parte che stia in giudizio davanti al tribunale)

che, essendo compresi fra le disposizioni generali del libro primo del codice di procedura

civile, trovano applicazione generale per tutti i giudizi, anche non contenziosi, avanti il

tribunale, salve le deroghe disposte dalla legge per determinati casi specifici (cfr., per

tutte, Trib. Roma. 21 marzo 2001, decr., M. c. amministratore unico della M. s.r.l.).

Tale conclusione vale, a maggior ragione, dopo l’entrata in vigore del citato art. 25, terzo

comma, che però, in maniera affatto incongrua rispetto all’indicazione del tribunale in

composizione collegiale quale organo giurisdizionale abilitato a decidere sulle istanze di

cui si discute, richiama il secondo comma dell’art. 82 c.p.c., relativo al processo avanti il

giudice di pace e non anche, come sarebbe stato logico attendersi, il terzo comma dello

stesso art. 82 sul patrocinio nel processo avanti il tribunale, la corte di appello e la corte

di cassazione: il che induce a domandarsi se in ipotesi, ferma la regola generale contenuta

nella prima parte del secondo comma, secondo cui “le parti non possono stare in giudizio

se non col ministero o con l’assistenza di un difensore”, la norma richiamante non

intenda attribuire al tribunale il potere autorizzatorio assegnato al giudice di pace dalla

seconda parte dello stesso secondo comma.

In realtà, come unanimemente ritenuto dalla dottrina fin qui formatasi sulla base di prima

lettura della disposizione in esame, la norma stessa chiarisce solo l’obbligatorietà per la

parte di stare in giudizio con l’assistenza di difensore; come evidenziato dal richiamo

congiunto anche alle disposizioni rispettivamente contenute nell’art. 83 c.p.c. (sulla

procura alle liti) e nell’art. 84 c.p.c. (sui poteri del difensore munito di procura).

D’altra parte, la seconda parte dell’art. 82, secondo comma, c.p.c., attribuisce il potere

autorizzatorio a stare in giudizio di persona solo al giudice di pace; con conseguente

inapplicabilità della specifica disposizione in questione ai procedimenti camerali

plurilaterali in materia societaria avanti il tribunale.

La costituzione di M, C. e C., componenti il collegio sindacale della società, è dunque

inammissibile perché avvenuta senza il patrocinio di difensore con procura.

5) N.V.C. s.r.l. ha un capitale di €. 969.000 ed è dotata di collegio sindacale.

L’art. 2327 c.c. prevede che il capitale minimo per costituire una s.p.a. sia pari ad €.

120.000 (prima del 1° gennaio 2004 tale ammontare minimo era fissato dallo stesso

articolo, come modificato dall’art. 4, secondo comma, del D.Lgs. n. 213/1998, in €.

100.000 e l’art. 223-ter disp. att. c.c. consente alle s.p.a. costituite prima del 1° gennaio

2004 con un capitale inferiore ad €. 120.000 a tale momento di “conservare la forma della

s.p.a. per il tempo, stabilito antecedentemente alla data del 1° gennaio 2004, per la loro

durata”).

L’art. 2477, secondo comma, c.c. prevede l’obbligo di nomina del collegio sindacale di

s.r.l. il cui capitale “non è inferiore a quello minimo stabilito per le s.p.a.”.

Si tratta quindi di accertare se il procedimento di cui all’art. 2409 c.c. sia applicabile a

s.r.l. obbligatoriamente dotata di collegio sindacale quale effetto della consistenza del

proprio capitale.

Prima dell’entrata in vigore della riforma recata dal decreto n. 6/2003, nelle s.r.l. in cui

non esisteva collegio sindacale il controllo del socio sulla gestione della società da parte

dei relativi amministratori aveva un contenuto alquanto limitato, alla luce del precetto

contenuto nell’art. 2489 c.c.

L’art. 2488, primo comma, c.c., prevedeva poi l’obbligatorietà di nomina del collegio

sindacale per le s.r.l. il cui capitale non fosse inferiore a quello indicato dall’art. 2327 c.c.

Il terzo comma dello stesso articolo rendeva applicabili al collegio sindacale “le

disposizioni degli artt. 2397 e seguenti”; con la conseguenza che in tale ipotesi il

controllo del socio sulla gestione avveniva per via mediata, attraverso il collegio

sindacale cui il socio poteva denunciare “fatti censurabili” di gestione, per effetto del

precetto contenuto nell’art. 2408 c.c. Fra le disposizioni richiamate vi era, ovviamente,

quella di cui all’art. 2409 c.c., collocata fra le disposizioni del codice relative al collegio

sindacale delle s.p.a. ed affidante al tribunale un controllo esterno sull’amministrazione

della società per il caso in cui i controlli interni (affidati al collegio sindacale: art. 2403

c.c.) si fossero rivelati insufficienti ad assicurare un’amministrazione rispettosa di leggi e

di statuto (vedi sul punto il punto 984 della relazione del Ministro Guardasigilli per

l’approvazione del testo del codice civile).

Il successivo quarto comma dello stesso art. 2488 c.c. prevedeva infine espressamente

l’applicazione diretta dell’art. 2409 c.c. alle s.r.l. “anche quando manca il collegio

sindacale”: il rinvio espresso all’art. 2409 c.c. era quindi funzionale alla imposta

applicabilità della disposizione anche alle società prive di collegio sindacale; essendo

altrimenti sufficiente il rinvio “alle disposizioni degli artt. 2397 e seguenti” contenuto nel

richiamato terzo comma dell’articolo in questione (vedi sul punto il punto 1019 della

citata relazione del Ministro Guardasigilli) .

Tale chiaro assetto normativo è stato mutato in maniera rilevante dalla disciplina recata

dal decreto n. 6/2003.

Per quanto qui interessa, è da rimarcare che la L. n. 366/2001, recante delega al governo

per la riforma del diritto societario, non reca alcuna indicazione in ordine all’applicazione

dell’art. 2409 c.c. fra i principi generali della delega relativa alla disciplina della s.r.l. (art.

3); limitandosi, per quanto qui interessa, ad enunciare il principio di “rilevanza centrale

del socio e dei rapporto contrattuali tra i soci” (art. 3, primo comma, lett. a), con

conseguente “ampia autonomia statutaria riguardo.. agli strumenti di tutela degli interessi

dei soci, con particolare riferimento alle azioni di responsabilità” (art. 3, secondo comma,

lett. e).

La stessa legge sancisce per contro espressamente l’obbligo per il legislatore delegato:

a) di “prevedere la denunzia al tribunale da parte dei sindaci.. di gravi irregolarità

nell’adempimento dei doveri degli amministratori” (art. 4, secondo comma, lett. a), n. 4);

b) di “prevedere anche per le cooperative il controllo giudiziario disciplinato dall’art.

2409 c.c., salvo quanto previsto dall’art. 70, settimo comma, del testo unico delle leggi in

materia bancaria e creditizia, di cui al D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385” (art. 5, secondo

comma, lett. g).

Il mantenimento, o meno, del controllo giudiziario del tipo di quello di cui si discute non

era quindi imposto al governo dalla legge di delega per la disciplina delle s.r.l.;

manifestando, peraltro, la legge formale citata un favore per l’estensione della disciplina

contenuta nell’art. 2409 c.c. oltre i limiti (relativi a legittimazione e ad ambito di

applicabilità in riferimento a specifici tipi societari) segnati dal codice del 1942.

La regolamentazione delle s.r.l. emanata in attuazione della delega (artt. 2462 – 2483 c.c.,

come modificati dall’art. 3 del decreto) non contiene alcun esplicito rinvio al controllo

esterno giudiziale sull’operato di amministratori e sindaci nell’ambito del procedimento

di volontaria giurisdizione previsto dall’art. 2409 c.c. per le s.p.a..

L’art. 2476, secondo comma, c.c., attribuisce al socio il diritto di esercitare penetranti

attività di controllo diretto sulla gestione della società e lo legittima (in via concorrente

con la società) alla proposizione dell’azione sociale di responsabilità contro gli

amministratori ed alla richiesta di adozione di “provvedimento cautelare di revoca degli

amministratori ” contro i quali l’azione sociale è diretta, ovvero si intende dirigere: e ciò

per il caso di “gravi irregolarità nella gestione della società” (art. 2476, terzo comma

c.c.).

La relazione ministeriale illustrativa al decreto n. 6/2003, dopo aver richiamato il

principio relativo all’estensione dei poteri dei soci all’interno della società in funzione del

controllo dell’attività dei relativi amministratori, fa derivare da tale soluzione “il potere di

ciascun socio di promuovere l’azione sociale di responsabilità e di chiedere con essa la

provvisoria revoca giudiziale dell’amministratore in caso di gravi irregolarità” (punto

11). Dopo aver poi chiarito che la soluzione adottata renderebbe “superflua ed in buona

parte contraddittoria con il sistema la previsione di forme di intervento del giudice quali

quelle ora previste dall’art. 2409”, la stessa relazione evidenzia che tali “forme di

intervento” sono “sostanzialmente assorbite dalla legittimazione alla proposizione

dell’azione sociale di responsabilità da parte di ogni socio e dalla possibilità di ottenere in

quella sede provvedimenti cautelari come la revoca degli amministratori”: e ciò onde

 “fornire ai soci uno strumento in grado di consentire ad essi di risolvere i conflitti interni

alla società”.

Il contenuto della relazione in discorso non ha peraltro da essere enfatizzato in funzione

dell’interpretazione della norma giuridica, dovendo la legge interpretarsi per quello che

effettivamente prescrive (art. 12 preleggi) e non anche nella considerazione delle

intenzioni di coloro che l’hanno voluta; dacché, per dirla con autorevole dottrina che ha

approfondito in maniera esemplare la natura dell’attività di interpretazione giuridica, “la

legge è legge anche se è palesemente in contrasto con i motivi che la determinarono e

anche se il risultato è diverso o opposto a quello che venne perseguito” (per ordine di

concetti sostanzialmente analogo, in riferimento alla rilevanza dei lavori preparatori in

funzione della regola di interpretazione contenuta nell’art. 12, primo comma, delle

preleggi, cfr. Cass. 10 febbraio 1971, n. 339; Cass. 27 maggio 1971, n. 1571; Cass. 6

agosto 1984, n. 4631).

La norma di legge ricostruita attraverso il collegamento delle diverse disposizioni recate

dall’art. 3 del decreto n. 6/2003 è peraltro affatto chiara nel senso che nelle s.r.l. per le

quale non è obbligatoria la nomina di collegio sindacale ai sensi dell’art. 2477, secondo e

terzo comma, c.c., non vi è spazio per il procedimento previsto dall’art. 2409 c.c.

(giurisprudenza costante di questo tribunale dopo l’entrata in vigore dei decreti n. 5 e 6

del 2003: cfr., comunque i decreti 9 febbraio 2004; 28 aprile 2004; 7 maggio 2004, 8

giugno 2004).

Ciò è da affermare alla luce: a) dell’ampio diritto al controllo sulla gestione riconosciuto

ai soci che non partecipano all’amministrazione della società (art. 2476, secondo comma,

c.c.); b) dell’indicazione (art. 2476, terzo comma, c.c.) delle “gravi irregolarità nella

gestione della società” (locuzione dal contenuto sostanzialmente identico a quello

dell’art. 2409, primo comma, c.c.) quale presupposto per l’emissione del “provvedimento

cautelare di revoca degli amministratori” (come tale non suscettibile di costituire cosa

giudicata e, per ciò, modificabile ovvero revocabile nella ricorrenza dei presupposti di cui

all’art. 669-decies, nel caso di provvedimento emesso in corso di causa, ovvero di cui

all’art. 23, terzo comma, D.Lgs. n. 5 del 2003, nel caso di provvedimento emesso ante

causam, al pari del decreto di revoca indicato “nei casi più gravi” dall’art. 2409, quarto

comma, c.c., ricorrendo le condizioni di cui all’art. 26, terzo comma, del citato decreto n.

5) che ciascun socio può richiedere (indipendentemente dalla consistenza della propria

partecipazione al capitale), contro gli amministratori verso i quali è diretta (o intende

dirigere) l’azione sociale di responsabilità, presupponente l’esistenza di un danno

cagionato alla società dall’operato degli amministratori (e non solo di un pregiudizio

potenziale richiesto dall’art. 2409, primo comma, c.c. per il caso di gravi irregolarità

nell’amministrazione); c) del mancato rinvio recettizio alla disciplina dell’art. 2409 c.c.

(contenuta fra le disposizioni relative al collegio sindacale delle s.p.a.) da parte degli

articoli del codice introdotti dal citato art. 3 del decreto n. 6 (ciò a differenza del precetto

contenuto nell’abrogato art. 2488, quarto comma, c.c., sopra citato).

L’art. 2477, quarto comma, c.c. prevede però che nei casi in cui sia obbligatoria la

nomina del collegio sindacale “si applicano le disposizioni in tema di s.p.a.”.

Si tratta quindi di accertare se per effetto di tale rinvio recettizio trovi applicazione la

disciplina del procedimento in discussione quando, come nella specie, la società sia

dotata di collegio sindacale obbligatorio.

La dottrina fin qui formatasi sulla base di una prima lettura della recente disciplina offre

due soluzioni interpretative fra loro antitetiche:

a) da un lato si sostiene che il precetto contenuto nell’art. 2476, terzo comma, c.c., in

tema di revoca degli amministratori in caso di “gravi irregolarità nella gestione della

società” sia, in buona sostanza, norma di diritto speciale, come tale esclusivamente

applicabile alle s.r.l. (ovviamente dotate di collegio sindacale obbligatorio) in luogo delle

norme generali sul controllo giudiziale sulla gestione dettate dall’art. 2409 c.c. per le

s.p.a. e che, di conseguenza, non sussista rinvio a tali norme da parte dell’art. 2477,

quarto comma, c.c.; che renderebbe quindi applicabili alle s.r.l. solo le disposizioni

comprese fra l’art. 2397 e l’art. 2408 c.c.;

b) in senso contrario, si evidenzia che il rinvio operato dalla disposizione da ultimo citata

alle “disposizioni in tema di s.p.a.” comprende anche la disciplina di cui all’art. 2409 c.c.,

dal momento che la norma contenuta nell’art. 2476, terzo comma, c.c., non contiene tutti

gli elementi propri della fattispecie regolata dallo stesso art. 2409 per le s.p.a. (come tali

obbligatoriamente dotate di collegio sindacale), in quanto, a differenza della disciplina

contenuta nell’articolo da ultimo indicato, in presenza di gravi irregolarità di gestione

imputabili agli amministratori non consente ai soci di provocare la revoca giudiziale del

collegio sindacale che sia venuto meno ai doveri di cui all’art. 2403 c.c. (art. 2409, quarto

comma, c.c.) ed al collegio sindacale di attivare il controllo giudiziale esterno sulle

irregolarità di gestione quando l’attività di controllo interno non abbia sortito effetti di

sorta in funzione dell’eliminazione delle stesse e delle relative conseguenze

pregiudizievoli per società e per i terzi che con la stessa hanno rapporti (art. 2409, ultimo

comma, c.c.).

L’interpretazione da ultimo riassunta merita consenso.

In primo luogo si osserva che l’art. 2409 c.c. è inserito nell’ambito delle disposizioni

disciplinanti il collegio sindacale in quanto il controllo giudiziale esterno da essa previsto

per le irregolarità di gestione degli amministratori si attiva quando l’attività di controllo

interno sulla gestione (costituente obbligazione propria del collegio sindacale: art. 2403,

primo comma, c.c.) non ha funzionato correttamente (sul presupposto, ovviamente, della

sussistenza delle gravi irregolarità).

Il citato articolo del codice, nel prevedere la partecipazione necessaria al procedimento

dei sindaci (secondo comma), la sospensione del procedimento nel caso in cui

l’assemblea sostituisca amministratori e sindaci “con soggetti di adeguata

professionalità” (terzo comma) e la facoltà per il tribunale di revocare, nei casi di

irregolarità connotate dal requisito della particolare gravità, “eventualmente anche i

sindaci” (quarto comma), evidenzia chiaramente che il controllo giudiziale riguarda

anche i comportamenti (omissivi ovvero commissivi) dei sindaci che non hanno

adempiuto ai doveri loro imposti dall’art. 2403 c.c.; consentendo ovvero non

contrastando adeguatamente le irregolarità degli amministratori potenzialmente dannose

per la società.

Inoltre, il settimo comma dell’art. 2409 c.c., nell’attribuire al collegio sindacale la

legittimazione alla presentazione della denunzia al tribunale, evidenzia chiaramente, a

fronte di possibilità di riscontro di comportamenti degli amministratori qualificabili come

“gravi irregolarità nella gestione”, la sussistenza di una specifica obbligazione

dell’organo di controllo consistente nella denuncia dei fatti stessi al tribunale; costituente

del resto naturale adempimento di quelle di carattere generale contenute nel precedente

art. 2403, tenuto conto della diligenza richiesta nell’adempimento dell’incarico dall’art.

2407, primo comma, c.c.

Al riguardo è opportuno evidenziare che la giurisprudenza della Suprema Corte formatasi

con riferimento alle norme del codice civile nella formulazione anteriore alla “novella”

del 2003, dopo aver evidenziato che fra i doveri imposti ai sindaci dall’art. 2403, primo,

terzo e quarto comma, c.c., vi era quello di controllo sull’intera gestione sociale (cfr., fra

le altre Cass. 7 maggio 1993, n. 5263; Cass. 28 maggio 1998, n. 5287), ebbe modo di

precisare che in presenza di gravi irregolarità di gestione la “sperimentata.. insufficienza

dei rimedi interni alla società non vale di per sé a determinare la non imputabilità

all’organo sindacale del fatto impeditivo dell’efficace adempimento del dovere di

controllo sull’amministrazione della società. Non essendo dubbia la legittimazione del

sindaco (non già a promuovere il procedimento ex art. 2409, bensì) a denunziare la

irregolarità al P.M. per l’esercizio dei poteri di iniziativa che gli spettano, anche una tale

iniziativa può divenire doverosa, quando sia rimasta, davvero, l’unica praticabile in

concreto, per poter legittimamente por fine alle illegalità di gestione riscontrate, o

interrompere la successione di comportamenti contra legem che arrecano pregiudizio al

patrimonio sociale. Rileva, a tal fine, la diretta incidenza del rimedio così esperibile non

sulla tutela di interessi in qualche modo esterni alla società, bensì proprio sulla legalità e

correttezza dell’azione sociale, nell’interesse della società stessa, che sono i valori

istituzionalmente affidati anche ai sindaci” (così, in motivazione, Cass. 17 settembre

1997, n. 9252, in tema di responsabilità dei sindaci ex art. 2407 c.c.).

L’introduzione, a partire dal 1° gennaio 2004, della legittimazione dei sindaci di s.p.a.

alla denuncia di cui all’art. 2409 c.c. non ha quindi solo valore processuale, ma

costituisce espressione esplicita di un dovere (esistente anche nel regime anteriore) di

costoro di denunciare i fatti di cui si discute ove l’intervento del tribunale sia l’ultima

strada praticabile per eliminare le irregolarità nell’amministrazione.

L’art. 2476, terzo comma, c.c., non costituisce all’evidenza, per le s.r.l. dotate per legge

di collegio sindacale, disciplina esaustiva, dal contenuto specializzante (come tale

escludente necessariamente l’applicazione dell’art. 2409), della reazione

dell’ordinamento alle irregolarità di gestione, proprio perché da un lato non consente al

socio di denunciare le irregolarità dei sindaci connesse alle irregolarità degli

amministratori e, dall’altro, non consente ai sindaci che intendano adempiere fino in

fondo ai loro doveri di provocare il controllo giudiziario di tipo cautelare previsto dalla

disposizione menzionata.

In ragione dell’assenza del rapporto di specialità fra le disposizioni in giuoco, il richiamo

operato dall’art. 2477, quarto comma, alle “disposizioni in tema di s.p.a.”, è quindi tale

da comprendere anche l’applicabilità dell’art. 2409 c.c. nel caso di specie.

Ulteriore conferma della correttezza dell’interpretazione adottata si rinviene nel

contenuto dell’art. 13 della legge n. 91 del 1981, in materia di rapporti tra società e

sportivi professionisti, come modificato dall’art. 8, lett. c), del D.Lgs. n. 37/2004.

Premesso che per le società sportive professionistiche a responsabilità limitata indicate

dall’art. 10 della stessa legge speciale, “in deroga all’art. 2477 c.c. è in ogni caso

obbligatoria … la nomina del collegio sindacale” (art. 10, primo comma), l’art. 13 citato

(intitolato “Controllo giudiziario”) prevede espressamente, che “il procedimento di cui

all’art. 2409 c.c. si applica alle società di cui all’art. 10, comprese quelle aventi forma di

s.r.l.” e che “il potere di denuncia spetta anche alle federazioni sportive nazionali”.

Prima della riforma recata dal citato decreto 37 si discuteva, in dottrina, se la denuncia di

cui all’art. 2409 per le irregolarità di gestione delle società sportive spettasse, in deroga

alla norma generale, solo alle federazioni sportive nazionali, posto che il testo previgente

dell’art. 13 statuiva solo che “le federazioni sportive nazionali possono procedere, nei

confronti delle società di cui all’art. 10, alla denuncia di cui all’art. 2409 c.c.” (la

giurisprudenza onoraria aveva, peraltro, interpretato la disposizione speciale come

introduttiva solo di una legittimazione alla denuncia ulteriore rispetto a quelle dei soci e

del pubblico ministero previste in via generale dall’art. 2409 al tempo vigente).

La modificazione operata dal legislatore delegato del 2004 da un lato conferma, come

ritenuto dalla giurisprudenza, che anche (e non solo) le federazioni sportive nazionali

hanno il potere di denuncia (così qualificandosi per tale parte l’art. 13 come “norma

speciale”) e dall’altro sancisce espressamente l’applicabilità dell’art. 2409 alle società

sportive professionistiche (dotate in ogni caso di collegio sindacale, anche in deroga

all’art. 2477 c.c.) che abbiano la forma di s.r.l..

Trova così esplicita conferma l’applicabilità dell’art. 2409 alle s.r.l. obbligatoriamente

dotate di collegio sindacale, determinata dal rinvio recettizio contenuto nel più volte

citato art. 2477, quarto comma; risultando altrimenti incomprensibilmente “asimmetrico”

e non giustificato da nulla il contenuto del citato art. 13, L. n. 91/1981 sul punto

specificamente in discussione.

La denuncia dei soci di N.V.C. è quindi ammissibile sotto il profilo esaminato.

Del procedimento non è parte necessaria il pubblico ministero (art. 70, n. 1), c.p.c.), posto

che tale organo di giustizia è titolare del potere di denuncia di cui all’art. 2409, primo

comma, c.c. solo in ordine alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio

 (art. 2409, ultimo comma), fra le quali non rientra N.V.C.

6) Come in precedenza evidenziato (punto 3), i fatti indicati nel ricorso depositato l’8

maggio 2004 non sono stati considerati nel decreto di rigetto del 21 aprile 2004 perché

verificatisi successivamente alla discussione svoltasi in camera di consiglio il 17 marzo

2004 in ordine agli accertamenti effettuati dall’ispettore giudiziario nell’ambito del

procedimento che quel decreto ha definito: sussiste quindi il presupposto richiesto

dall’art. 26, secondo comma, del decreto n. 5/2003 per accertare la fondatezza del merito

della denuncia.

Nel più volte citato decreto di rigetto si è rilevato che gli attuali amministratori della

società hanno posto in essere specifici comportamenti atti ad eliminare le conseguenze

dannose per N.V.C. delle irregolarità gestorie imputabili agli amministratori (fra i quali

G.L.R.) che ebbero a porle in essere, assumendo varie ed articolate decisioni ed in

particolare, per quanto qui specificamente interessa: a) proponendo all’assemblea di

N.V.C. di essere autorizzati ad esercitare azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.)

per il ristoro del pregiudizio patrimoniale derivato alla società nei confronti degli

amministratori in carica al tempo in cui vennero compiuti i fatti dannosi; b) ottenuta

l’autorizzazione di cui all’art. 2393 c.c. da parte dell’assemblea, richiedendo, al tribunale

di Roma (con esito parzialmente favorevole) autorizzazione ad eseguire sequestro

conservativo sui beni e sui crediti degli ex amministratori a tutela del credito risarcitorio;

c) quindi notificando agli amministratori citazione contenente l’azione sociale di

responsabilità.

In particolare, e per quanto interessa la denuncia, la società (in persona del presidente del

consiglio di amministrazione) ha da questo tribunale ottenuto decreto del 23 dicembre

2003 con il quale è stata autorizzata ad eseguire sequestro conservativo sui beni e sui

crediti di G.L.R. fino alla concorrenza di €. 750.000 a tutela del credito da risarcimento

del danno al patrimonio sociale derivato dalla violazione da parte di tale persona fisica

dei doveri di cui all’art. 2392 c.c.

Tale decreto è stato dichiarato inefficace (art. 669-sexies, secondo comma) il 13 gennaio

2004 dal giudice che lo aveva emesso sul presupposto che lo stesso, contenente anche

l’indicazione dell’udienza per la relativa conferma, revoca o modifica, non era stato

notificato a R..

I ricorrenti sostengono che tale declaratoria di inefficacia sarebbe stata volontariamente

provocata, onde favorire R. (socio di maggioranza), dagli amministratori di N.V.C. che

non hanno notificato per tempo il decreto.

La doglianza è manifestamente infondata sotto i seguenti profili: in primo luogo la

consegna di atto all’ufficiale giudiziario, con l’indicazione del soggetto e del luogo ove la

notificazione deve essere eseguita, è atto proprio del difensore con procura della parte

(art. 137, primo comma, c.p.c.); in secondo luogo non vi è prova dell’inerzia, risultando

invece effettuati vari tentativi per notificare il decreto a R. ai sensi degli artt. 139 e segg.

c.p.c.; infine, l’irreperibilità di R. nella propria residenza è fatto imputabile a costui.

Ottenuto il sequestro, N.V.C., in persona dei relativi amministratori, ha stipulato il 9

febbraio 2004 con R. transazione con la quale: la società si è obbligata a rinunciare

all’istanza di sequestro (ferma restando l’azione sociale); R., a garanzia del credito

risarcitorio vantato dalla società nei suoi confronti, ha versato €. 500.000 ed ha concesso

pegno sulla quota di partecipazione (pari al 51% dell’intero) al capitale di V.C. s.r.l.

(società immobiliare proprietaria dei fabbricati ove N.V.C. svolge la propria attività di

impresa) di cui è proprietario, con attribuzione a N.V.C. del diritto di voto in assemblea

straordinaria e nell’assemblea ordinaria relativa a specifici argomenti, ed attribuzione alla

stessa società a provocare modificazione dello statuto di V.R. relativa all’autorizzazione

assembleare per gli atti relativi a diritti reali su immobili di cui V.R. è titolare; garanzie

ed obblighi sono stati dalle parti condizionati all’emissione della sentenza relativa

all’azione sociale.

Ottenuta copia conforme all’originale di tale scrittura privata autenticata, il presidente del

consiglio di amministrazione di N.V.C. ha chiesto il 23 marzo 2004 all’amministratore

giudiziario di V.R. l’annotazione del pegno sul libro dei soci ed ha richiesto la

convocazione di assemblea straordinaria per le deliberazioni previste dal contratto di

pegno.

Il pegno è stato annotato il 29 marzo 2004 sul libro dei soci di V.R. dal relativo

amministratore giudiziario. Questi, aderendo alla richiesta del creditore pignoratizio, ha

convocato l’assemblea di V.R. per il giorno 15 aprile 2004.

Il 14 aprile 2004 l’amministratore unico di V.R., nominato dalla relativa assemblea dopo

la cessazione dell’incarico affidato dal tribunale all’amministratore giudiziario, ha

informato gli amministratori di N.V.C. del suo rifiuto di considerare valida la

convocazione dell’assemblea fatta dall’amministratore giudiziario perché, a suo dire, lo

stesso non era legittimato ad adottare tale decisione, essendo in tale momento decaduto

dall’incarico.

Il giorno successivo (15 aprile 2004), il presidente del consiglio di amministrazione di

N.V.C., preso atto del rifiuto, ha sollecitato l’amministratore unico di V.R. a “rinnovare”

l’annotazione di pegno sul libro dei soci fatta dall’amministratore giudiziario per l’ipotesi

in cui la stessa fosse stata fatta da soggetto non legittimato (amministratore giudiziario

dopo la cessazione dell’incarico) ed a convocare l’assemblea straordinaria con lo stesso

ordine del giorno di quella convocata per il 15 aprile 2004.

Fatto sta che il 15 aprile 2004 erano presenti presso lo studio del notaio incaricato di

redigere il verbale di assemblea straordinaria di V.R. il relativo amministratore unico ed

il presidente del consiglio di amministrazione di N.V.C.; non anche i soci di minoranza di

V.R. S.F., F.F., A.F. ed E.S.

Il 17 aprile 2004 l’amministratore unico di V.R. ha comunque autonomamente proceduto

ad ulteriore annotazione del pegno in questione sul libro dei soci.

Lo stesso amministratore ha quindi convocato l’assemblea di V.R. che, il giorno 21

maggio 2004, ha modificato lo statuto della società nel senso previsto dal contratto di

pegno.

Quale che sia il giudizio da dare in ordine all’operato dell’amministratore giudiziario e

quindi dell’amministratore unico di V.R. nella vicenda riassunta, è chiaro come il sole

che il ritardo nella modificazione statutaria è dipeso da fatti imputabili a terzi:

l’amministratore giudiziario; l’amministratore unico; i soci di minoranza di V.R. che, con

la loro presenza il giorno 15 aprile 2004, avrebbero potuto determinare la sanatoria

dell’eventuale irregolarità della convocazione, essendo quel giorno presenti tanto il

creditore pignoratizio della quota appartenente al socio di maggioranza R. quanto

l’amministratore unico della stessa V.R..

Nessuna irregolarità gestoria imputabile agli amministratori di N.V.C. è quindi da

ravvisare nei fatti indicati nel ricorso depositato l’8 maggio 2004.

7) Con riferimento alla disciplina anteriore alla riforma del 2003, da tempo la

giurisprudenza di questo tribunale era ferma nell’affermare che anche al procedimento di

cui all’art. 2409 c.c. doveva ritenersi applicabile la disciplina contenuta negli artt. 91 e

segg. c.p.c., con particolare riferimento al principio secondo cui l’onere delle spese del

processo deve essere posto a carico della parte soccombente (cfr., in tal senso, Trib.

Roma 28 marzo 1994, decr.; Trib. Roma 12 aprile 1995, decr.; App. Milano 1° giugno

1994, decr.; App. Milano 2 giugno 1992, decr.; Trib. Verona 31 gennaio 1991, decr.;

Trib. Cagliari 16 ottobre 1996, decr.; argomenti in tal senso anche in: Cass. n. 1416/1989;

Cass. n. 2021/1989; Cass. n. 498/1996 nella cui motivazione si legge, in termini

problematici, che nella dialettica fra colui che denunci irregolarità gestorie di

amministratori di società di capitali e gli amministratori e sindaci che tali fatti neghino,

propria del procedimento di cui all’art. 2409 c.c., è configurabile “un contrasto di

posizioni giuridicamente rilevante e idoneo, quindi, a giustificare l’ipotizzata condanna

alla rifusione delle spese di un soggetto nei confronti di un altro”).

Il procedimento in questione è infatti a struttura necessariamente plurilaterale (in

particolare, è fra l’altro in giuoco il diritto degli amministratori alla permanenza

dell’incarico per il tempo stabilito dallo statuto o dall’assemblea), sì che ad esso si

attaglia l’estensione del principio di causalità in materia di onere delle spese processuali

(che non riguarda, però, la società, costituente l’oggetto dell’accertamento giudiziale: in

tal senso, cfr. Cass. n. 498/1996).

Sebbene il procedimento in parola abbia la forma della volontaria giurisdizione, con esso

trova piena attuazione il principio del contraddittorio, sì che deve valere la regola

dell’onere delle spese a carico della parte che con il proprio comportamento, anteriore e

contemporaneo al processo, abbia dato luogo al procedimento nel quale abbia poi visto

respingere le proprie istanze.

Tale ordine di concetti (consapevolmente antitetici a quelli enunciati dalla giurisprudenza

di legittimità: cfr., fra le più recenti, Cass. n. 9636/1997; Cass. n. 15173/2000; Cass. n.

3750/2001) aveva trovato sostanziale conferma da parte della corte di appello di Roma

(adita in sede di reclamo contro provvedimento di questo tribunale di rigetto di istanze ex

art. 2409 c.c., contenente statuizione sulla ripartizione fra le parti delle spese del

procedimento) con decreto dell’8 giugno 2001 (procedimento G. c. S), dall’ampia e

puntuale motivazione critica dell’orientamento espresso dal giudice di legittimità.

Nel silenzio sul punto della legge processuale speciale, la questione relativa alla

necessità, o meno, di statuizione sulle spese si ripropone nel presente procedimento

camerale, necessariamente plurilaterale ed a parti contrapposte (nel caso di specie, anche

in concreto, posto che gli amministratori hanno espressamente sollecitato la condanna dei

ricorrenti al rimborso delle spese).

Non vi sono elementi normativi di segno nuovo che obblighino ad una soluzione diversa

da quella fino ad ora adottata, in quanto, come detto, il procedimento di cui all’art. 2409

c.c. coinvolge, ancorché indirettamente, diritti ed obblighi (del socio, degli

amministratori e degli organi di controllo) mettenti rispettivamente capo a parti

contrapposte; e ciò ancorché il decreto che il procedimento definisce non ha, come detto,

alcuna attitudine al giudicato (del resto neppure riscontrabile nell’ordinanza di rigetto di

istanza di provvedimento cautelare ante causam contenente pronuncia sulle spese ex art.

669-septies c.p.c. e nell’ordinanza cautelare ante causam di cui all’art. 23 del decreto n.

5/2003), non essendo il provvedimento negativo completamente preclusivo della

riproponibilità dell’istanza con lo stesso rigettata (art. 26, secondo comma) e potendo il

provvedimento di accoglimento essere revocato o modificato in ogni tempo in presenza

di nuove circostanze (art. 26, terzo comma).

Tale affermazione viene ulteriormente rafforzata, nell’assetto dei procedimenti camerali

in confronto di più parti, dalla necessità per i soggetti che agli stessi intendono

attivamente partecipare di avvalersi del patrocinio di un difensore, per quanto esposto nel

precedente punto 4).

Si conferma quindi l’orientamento secondo cui la pronunzia sulle spese deve essere

emessa nei procedimenti camerali in materia societaria nei confronti di più parti intrapresi

dopo il 1° gennaio 2004 (cfr. Trib. Roma, decr. 5 aprile 2004, 26 aprile 2004 e 24 maggio

2004, tutti in tema di procedimento ex art. 2367, secondo comma, c.c.).

I ricorrenti, che hanno dato causa al procedimento in cui sono rimasti soccombenti,

debbono essere condannati a rimborsare alle parti vittoriose validamente costituite le

spese da queste ultime anticipate nella misura liquidata (d’ufficio, in mancanza di nota

spese) in dispositivo (art. 91 c.p.c.); con esclusione delle spese generali di cui all’art. 15

della tariffa professionale approvata con D.M. 5 ottobre 1994 in quanto non costituenti

oggetto di apposita domanda da parte dei difensori con procura degli amministratori,

secondo l’interpretazione, maggiormente persuasiva, della giurisprudenza maggioritaria

della Suprema Corte sul punto (cfr. in tal senso, fra le altre, Cass. 23 gennaio 2002, n.

738; Cass. 25 febbraio 1999, n. 1637; Cass. 28 agosto 1998, n. 8558; cfr. però, in senso

contrario, più di recente, Cass. 2 luglio 2003, n. 10416; Cass. 17 gennaio 2003, n. 603).

P.Q.M.

1) ordina la separazione dal fascicolo d’ufficio del procedimento di volontaria

giurisdizione n. 73994/02 r.g. vol. degli atti e documenti depositati in tempo successivo al

deposito del decreto del 21 aprile 2004 e dispone che la cancelleria, previa

regolarizzazione amministrativa, provveda a costituire nuovo fascicolo d’ufficio in cui

inserirà gli atti e documenti di cui è stata disposta la separazione, unitamente a copia

autentica dello stesso decreto del 21 aprile 2004 ed all’originale del presente decreto;

2) dichiara inammissibile la costituzione nel procedimento, con memoria depositata il 3

giugno 2004, dei componenti il collegio sindacale della N.V.C. S.r.l. A.M., G.C. e B.C.;

3) rigetta l’istanza di revoca degli amministratori della N.V.C. s.r.l. proposta da E.S.,

F.F., A.F. e S.F. con ricorso depositato l’8 maggio 2004;

4) condanna E.S., F.F., A.F. e S.F. a rimborsare, in via solidale fra loro, agli

amministratori della N.V.C. S.r.l. G.D.R., G.V.e F.D.L. le spese del procedimento da

questi ultimi anticipate in via solidale, liquidate in complessivi €. 3.000, di cui €. 2.500

per onorari di avvocato, €. 400 per diritti di procuratore ed €. 100 per spese, oltre I.V.A. e

C.A.P. come per legge.