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 Modulo H – La psicologia di comunità e le scienze sociali

Come diventerà chiaro d’ora in avanti,« psicologia di comunità» è un concetto molto ampio. Uno psicologo di comunità potrebbe lavorare principalmente negli istituti per l’infanzia, un altro tentare di migliorare l’efficienza politica di un ghetto negro. Tuttavia vorrei sostenere che essi probabilmente hanno in comune alcuni atteggiamenti ed opinioni. Inquesto capitolo voglio sottolineare questi elementi comuni e fornire alcuni esempi di questi atteggiamenti nella pratica concreta, anche se il lettore deve avere presente che si tratta inevitabilmente di generalizzazioni.
Secondo me, il tema unificante della psicologia di comunità è che chi la pratica ha una definizione di ruolo diversa da quella degli altri psicologi, che secondo lui hanno una «mentalità corporativa», cioè:

 

la divisione netta dei problemi umani in settori e ambiti corporativi… La psicologia non può continuare a possedere il corpo di conoscenze della scienza psicologica, né può la pedagogia… possedere i metodi, di insegnamento, né la psichiatria i metodi della psicoterapia… C’è una specie di ducato o di feudo connesso a simili situazioni fortemente strutturate e politicamente potenti… I servizi istituzionalizzati hanno costruito forti basi di potere politico nella comunità, legandosi alle forze politiche militanti da un lato e alle clientele politiche dall’altro (da Rhodes, in Adelson e Kalis, 1970: 30).

 

I membri della corporazione rafforzano il proprio potere, perdendo di vista le persone che essi dovrebbero servire. Infatti la psicologia clinica inglese sembra si sia occupata recentemente di impiegare le proprie energie più per il problema del riconoscimento degli psicoterapisti − un esercizio monopolistico − piuttosto che di accertare la validità del proprio lavoro.
L’aspetto più significativo, quindi, di questa definizione alternativa di ruolo dipende dal fatto di servire gli interessi dell’utente/cliente, piuttosto che quelli della professione o dei suoi datori di lavoro. C’è un maggior senso di responsabilità, un impegno politico − oltre ad aiutare i gruppi tradizionali di clienti, gli psicologi dovrebbero essere direttamente implicati nei problemi sociali che investono la società in cui sono inseriti. Albee (1970), infatti, nel suo discorso come presidente dell’American Psychological Association sostenne:

 

Abbiamo insegnato per anni ai nostri studenti che i casi mentali includono quelle persone che sono «pericolose a se stesse e agli altri». Ma abbiamo scelto di intervenire con un numero molto ristretto di coloro che sono pericolosi per gli altri. Chi è più dannoso agli esseri umani suoi compagni di un razzista raffinato? Gli atteggiamenti e il comportamento del razzista, che possono ritrovarsi in molti luoghi attraverso le nostre istituzioni sociali ed economiche, compresi i nostri governi di stato e federali, sono molto più pericolosi agli altri della schizofrenia… Se gli psicologi professionisti fossero veramente interessati al benessere umano, dovrebbero dimenticare i «pazienti psichiatrici» per un secolo e prestare la loro attenzione alle cause psicologiche del razzismo, del sessismo e dell’origine del profitto come fonti di pericolo per una vita centrata sull’uomo (corsivo di Albee).

 

Se la psicologia di comunità si pone nell’ottica del cambiamento − istituzionale e sociale − quali sono le conseguenze teoriche e pratiche di una simile presa di posizione?
A livello teorico, gli psicologi di comunità sostengono che si dovrebbe considerare significativo per chi opera possedere come quadro di riferimento la conoscenza di una più ampia serie di scienze sociali. Una conoscenza del funzionamento individuale preso isolatamente è insufficiente, una conseguenza spiacevole delle divisioni oligopolistiche del mercato. Perché ci sia una teoria del comportamento dell’uomo relativamente completa, ci può essere soltanto una scienza sociale, non parecchie. Essi, pertanto, utilizzano liberamente concetti presi dall’economia, dalla sociologia, dalla teoria dell’organizzazione, dalla politica, ecc.
 
N.P. Bender, Psicologia di comunità, Zanichelli, Bologna 1979