Forum A – Unità A3
L’IMPRENDITORE COMMERCIALE,IL PICCOLO IMPRENDITORE E L’IMPRENDITORE AGRICOLO
► Riepiloghi
L’imprenditore è definito commerciale, secondo quanto dispone l’art. 2195 c.c., se esercita:
- un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi.
- un’attività intermediaria nella circolazione dei beni.
- un’attività di trasporto di persone o di cose
- un’attività bancaria o assicurativa.;
- altre attività ausiliarie delle precedenti. In questa generica categoria rientrano tutte le attività di supporto alle imprese, come quelle svolte dalle agenzie di marketing, di viaggio, di spedizione, di cambio.
Nel registro delle imprese debbono iscriversi, secondo quanto dispone l’art. 7 del d.p.r. n. 581 del 1995:
- gli imprenditori commerciali individuali;
- le società commerciali e le società cooperative;
- gli altri soggetti indicati dalla legge.
In apposite sezioni speciali debbono iscriversi:
- gli imprenditori agricoli;
- i piccoli imprenditori;
- le società semplici.
L’iscrizione nel registro delle imprese ha valore di pubblicità dichiarativa.
Le scritture contabili sono un sistema coordinato di annotazioni dalla cui lettura è possibile determinare il reddito, il patrimonio e la situazione finanziaria dell’impresa.
Sotto il profilo fiscale servono soprattutto per verificare la posizione contributiva dell’imprenditore e a questo fine sono soggette alle ispezioni del personale dell’amministrazione finanziaria.
Sotto il profilo civile servono soprattutto per determinare, in caso di insolvenza dell’imprenditore, la consistenza dell’attivo e del passivo, e per accertare che non vi siano state irregolarità nella gestione dell’impresa.
L’imprenditore che eserciti un’attività commerciale deve tenere, dispone l’art. 2214 c.c.:
– il libro giornale;
– il libro degli inventari;
– altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.
Le procedure concorsuali sono procedimenti giudiziari che consentono ai creditori di rivalersi in eguale proporzione sul patrimonio dell’imprenditore commerciale che non sia in grado di far fronte ai propri debiti con mezzi normali di pagamento.
Il fallimento è sicuramente la più grave tra queste procedure perché comporta l’eliminazione dell’impresa, la liquidazione di tutti i beni del debitore e la distribuzione del ricavato ai creditori.
Il concordato preventivo è una procedura con la quale l’imprenditore tende a prevenire un possibile fallimento presentando ai creditori (sotto il controllo del Tribunale) un piano idoneo a soddisfare in tutto o in parte i loro crediti.
L’institore è definito dall’art. 2203 c.c., come colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa commerciale o di una sede secondaria o di un ramo particolare di essa.
Il termine institore proviene dal verbo latino instare, che significa «sovrastare». L’institore, infatti, comunemente indicato come direttore generale, sovrasta per autorità tutti gli altri dipendenti dell’imprenditore.
Egli, come stabilisce l’art. 2204 c.c., può compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa a cui è preposto ma non può alienare o ipotecare beni immobili se a ciò non è stato espressamente autorizzato dall’imprenditore.
In generale i consorzi possono svolgere:
- attività interna, coordinando i rapporti tra le imprese aderenti;
- attività esterna, entrando in rapporto con i terzi per concordare i prezzi di acquisto di beni o servizi, i prezzi di vendita, l’assunzione di appalti e così via.
Il consorzio non è una società ma può assumere la forma giuridica di una società. Per esempio, se il consorzio è destinato a riunire molte imprese, a sviluppare un notevole volume di affari e magari a operare sul mercato nazionale e internazionale, è certamente opportuno costituire una «società consortile». Questa avrà come oggetto sociale lo scopo del consorzio e come organizzazione quella prevista per il tipo di società che si è scelto.
Il contratto di joint venture è finalizzato a costituire, tra le imprese aderenti, un legame temporaneo, limitato al solo compimento di un’opera. E ciò lo distingue nettamente dal contratto di consorzio che prevede, al contrario, la creazione di un’organizzazione stabile.
Sotto il profilo giuridico si tratta di un contratto associativo atipico che la l. n. 584 del 1977 indica come «raggruppamento di imprese».
Sono piccoli imprenditori, si legge nell’art. 2083 c.c.:
- i coltivatori diretti del fondo;
- gli artigiani;
- i piccoli commercianti;
- coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.
Per la legge fallimentare (d.lg. n. 5 del 2006) sono da considerare piccoli imprenditori coloro che dimostrano il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
- hanno ottenuto, nei tre esercizi antecedenti la data del fallimento (o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore) un attivo patrimoniale non superiore a euro 300 mila l’anno;
- hanno realizzato, nei tre esercizi antecedenti la data del fallimento (o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore) ricavi lordi per un ammontare non superiore a euro 200 mila l’anno;
- presentano debiti, anche non scaduti, per un ammontare non superiore a euro 500 mila.
- coltivazione del fondo;
- selvicoltura;
- allevamento di animali;
- attività connesse.
La coltivazione del fondo è l’attività diretta ad ottenere prodotti agricoli (grano, frutta, verdura, fiori) mediante lo sfruttamento del terreno o la cura degli alberi.
La selvicoltura è l’attività diretta alla coltivazione della selva, cioè del bosco, al fine di produrre legname.
L’allevamento di animali è l’attività diretta alla riproduzione e alla crescita di animali da carne, da latte, da lavoro, da lana, ecc.
Le attività connesse sono quelle dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o di servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature dell’azienda agricola.
► Approfondimenti
Di regola chi vuole svolgere un’attività imprenditoriale deve possedere la piena capacità di agire. In via eccezionale, tuttavia, possono essere titolari d’impresa anche:
– il minore, l’interdetto (art. 320 c.c) e l’inabilitato (art. 425 c.c) se l’impresa è pervenuta loro per eredità o per donazione e abbiano ottenuto dal tribunale, su parere favorevole del giudice tutelare, l’autorizzazione a continuarne (non ad iniziare) l’esercizio per mezzo di un rappresentante legale (genitore o tutore) oppure, nel caso dell’inabilitato, con l’assistenza del curatore.
– il minore emancipato il quale abbia ottenuto dal tribunale l’autorizzazione a continuare un’attività già esistente o ad iniziarne una nuova (art. 397). L’autorizzazione data dal tribunale può essere ritirata qualora l’attività si riveli dannosa per gli interessi dell’incapace.
L’incapace che sia stato autorizzato dal tribunale all’esercizio dell’impresa assume il ruolo di imprenditore e quindi si espone all’eventuale dichiarazione di fallimento.
Immaginiamo di vantare un credito nei confronti di un imprenditore e supponiamo di non disporre di alcuna prova che confermi in giudizio la nostra pretesa. Che fare?
Una soluzione potrebbe consistere nel chiedere all’imprenditore di mostrare al giudice i suoi libri contabili. Se questi sono stati tenuti regolarmente dovrà sicuramente risultarvi annotato il nostro credito e noi avremo così trovato la prova che ci mancava.
Non sarà sfuggito che con questa procedura si utilizzano i libri contabili dell’imprenditore per ricavarne una prova contro di lui.
Modifichiamo ora l’esempio e immaginiamo che un imprenditore pretenda di vantare un credito nei nostri confronti. In mancanza di altre prove esibisce in giudizio i suoi libri contabili dai quali risulta che gli dobbiamo la somma da lui richiesta. È accettabile questa
prova? Certamente no perché chiunque può scrivere sui propri libri che Tizio, Caio o Sempronio gli devono del denaro.
In generale, pertanto:
Le scritture contabili possono essere invocate come prova contro l’imprenditore e non dall’imprenditore stesso come prova a suo favore (art. 2709c.c.).
Possono valere come prova a favore di chi le ha predisposte, stabilisce l’art. 2710 c.c., solo se anche la controparte è un imprenditore.
Perché? Perché in tal caso questi ha la possibilità di presentare a confutazione le proprie scritture. Per esempio, immaginiamo di portare in Tribunale i nostri libri contabili dai quali risulta un credito a nostro favore per una fornitura di merce fatta all’impresa Alfa. Se i nostri libri fossero stati contraffatti l’impresa Alfa avrebbe buon gioco a presentare in giudizio i suoi mostrando che in essi non risulta alcuna merce in entrata oppure che il debito è stato estinto. Se non esibisce i
suoi libri, significa che le nostre scritture sono inconfutabili e pertanto il giudice può assumerle come prova a nostro favore.
L’imprenditore agricolo può essere proprietario del fondo oppure può averne acquistato la disponibilità stipulando con il proprietario un contratto di affitto o un contratto di tipo associativo.
L’affitto del fondo rustico è il contratto con il quale il proprietario concede il godimento di un fondo all’imprenditore agricolo il quale si obbliga a corrispondergli un canone periodico in denaro.
Previsto dall’art. 1628 c.c, questo contratto è stato successivamente modificato con leggi speciali volte ad offrire migliori garanzie all’agricoltore affittuario che sul fondo investe le proprie energie.
In particolare la legge n. 203 del 3 maggio 1982 ha fissato la durata minima del rapporto in 15 anni e ha introdotto un equo canone che viene aggiornato ogni tre anni da apposite commissioni tecniche provinciali sulla base del reddito catastale del terreno.
Il reddito catastale è il reddito che l’ufficio del catasto presume si possa ricavare da quel certo tipo di terreno.
Contratti associativi sono la mezzadria, la colonia parziaria e la soccida.
La mezzadria (art. 2141 c.c.) è il contratto con cui il proprietario terriero, detto concedente conferisce un podere (cioè un fondo dotato di casa e attrezzature) e il mezzadro conferisce il lavoro proprio e della propria famiglia al fine di svolgere attività agricola e dividere prodotti e utili.
La colonia parziaria (art. 2164 c.c.) differisce dalla mezzadria perché il proprietario non mette a disposizione un podere ma solo un fondo, cioè un terreno, e il coltivatore si impegna a fornire il lavoro proprio e non anche quello dei familiari.
La soccida (art. 2170 c.c.) è un contratto che ha per oggetto l’allevamento e lo sfruttamento del bestiame e nel quale le parti mettono insieme, secondo diverse combinazioni, la terra, il bestiame e il lavoro al fine di ripartire prodotti e utili che ne derivano.
I contratti di tipo associativo hanno segnato la dolorosa storia del mondo contadino per il grande potere che la legge assegnava ai proprietari terrieri. Per avere un’idea di quanto fosse impari questo rapporto, basti pensare che, nonostante il mezzadro consumasse sui
campi l’esistenza propria e dei propri figli, il codice civile (art. 2145 c.c ) assegnava la direzione dell’impresa al proprietario della terra e senza il consenso di questi (art. 2142 c.c.) il mezzadro non poteva neppure cambiare la composizione della propria famiglia, considerata
come forza lavoro contrattualmente vincolata.
Solo nel 1964, la legge n. 756 del 15 settembre ha vietato la stipulazione di nuovi contratti associativi e nel 1982 la legge n. 203 ha offerto alle parti la facoltà di convertire in affitto i contratti associativi ancora in corso.