Forum D – Unità D1
Dallo Statuto Albertino alla Costituzione Repubblicana
► Riepiloghi
Il 4 marzo 1848, in un clima di grande euforia popolare, il re di Sardegna, Carlo Alberto di Savoia, concedeva ai propri sudditi lo Statuto: una costituzione di tipo liberale che trasformava la monarchia sabauda da assoluta in costituzionale.
Per quanto fortemente modificato con leggi ordinarie durante il regime fascista, rimase formalmente in vigore fino al 1948, quando fu sostituito dalla Costituzione repubblicana.
Si chiamò statuto (da statuire, stabilire) per sottolineare che era stato stabilito, concesso unilateralmente dal re, e non era stato imposto con la forza da un’assemblea popolare sovrana, com’era accaduto nella Francia rivoluzionaria.
Era una costituzione flessibile e come tale poteva essere modificata dal Parlamento con una semplice legge ordinaria.
Lo Statuto albertino, concesso dal re Carlo Alberto di Savoia ai suoi sudditi il 4 marzo 1848, istituiva una monarchia costituzionale pura nella quale:
- Il potere legislativo veniva affidato congiuntamente al Parlamento e al re, il cui consenso, detto sanzione, era indispensabile perché le leggi entrassero in vigore. Il Parlamento era composto da una Camera dei deputati elettiva e da un Senato di nomina regia.
- Il potere esecutivo, secondo i canoni della monarchia costituzionale pura, spettava al re il quale, come si leggeva nell’art. 65 dello Statuto, nomina e revoca i suoi ministri.
- Il potere giudiziario, in fine, era affidato a giudici nominati dal Re ma dipendenti gerarchicamente dal Ministro Guardasigilli.
Il punto di partenza, nella genesi del fascismo, può essere individuato nella grave situazione economica e sociale nella quale era piombata l’Italia nei primi anni del Novecento.
L’agricoltura era in crisi soprattutto nel Mezzogiorno; nel Nord lo sviluppo industriale procedeva a singhiozzo, frenato da periodiche crisi recessive; il costo della vita aumentava; l’ordine pubblico era continuamente turbato da scioperi e manifestazioni seguite da dure repressioni.
Il tentativo di avviare una collaborazione con i socialisti, condotto da Giovanni Giolitti (che fu Capo del Governo, salvo brevi interruzioni, dal 1903 al 1914) non dette i frutti sperati. Il partito socialista era paralizzato nelle sue decisioni dalla contrapposizione tra riformisti, disposti a collaborare con il Governo per trovare una via d’uscita alla questione sociale, e massimalisti, fautori di una lotta ad oltranza contro lo Stato borghese.
Il risultato fu il protrarsi di una situazione di grande instabilità che accompagnò l’Italia fino alla drammatica esperienza della prima guerra mondiale.
Terminata la guerra, nel 1918, la situazione sociale si presentò ancora più tragica di quanto fosse in precedenza. Molte fabbriche, che durante il conflitto avevano lavorato per l’esercito, chiudevano i battenti; i reduci non trovavano lavoro; il costo della vita saliva; lo scontento era diffuso.
In questo scenario fece la sua comparsa, nel 1919, una nuova formazione politica fondata a Milano da Benito Mussolini, i Fasci italiani di combattimento, che esordì nella vita pubblica ponendosi in dura e aperta contrapposizione con i lavoratori in sciopero e con i partiti e i movimenti di sinistra.
Il 28 ottobre 1922, certo di aver conquistato l’appoggio di larghi strati della borghesia e sicuro della incapacità di popolari e socialisti di costituire una valida opposizione, Mussolini dette il via ad una marcia su Roma di tutte le squadre fasciste.
Doveva essere un tentativo di rivoluzione ma l’esercito ebbe l’ordine di non opporre resistenza e i fascisti entrarono nella capitale senza alcuna difficoltà. Due giorni più tardi il re Vittorio Emanuele III conferì al loro capo l’incarico di formare un governo.
Il 30 ottobre 1922, il re d’Italia Vittorio Emanuele II conferì l’incarico di formare il governo a Benito Mussolini, capo del neonato partito fascista.
In quel momento Mussolini si trovava in una posizione di estrema debolezza sul piano costituzionale poiché i deputati fascisti alla Camera erano soltanto 35, su un totale di 553 membri. Egli doveva sicuramente rafforzare questa esigua rappresentanza.
Il problema fu affrontato facendo approvare, innanzitutto, una nuova legge elettorale (la cosiddetta legge Acerbo) che assegnava ben due terzi dei seggi della Camera alla lista che avesse ricevuto più voti. Quindi furono indette, per l’anno successivo, nuove elezioni politiche alle quali l’opposizione si presentò frammentata: dal Partito socialista erano usciti nel 1921 i comunisti e più tardi i socialdemocratici. Ciascuna di queste tre formazioni concorreva con una propria lista e, così divise, non avevano alcuna reale possibilità di vincere.
I fascisti, invece, presentarono una lista unica insieme a esponenti del vecchio liberalismo e ai cattolici di destra.
Il listone, come fu chiamato, ottenne una vittoria schiacciante e, grazie anche al premio di maggioranza previsto dalla legge Acerbo, si aggiudicò 374 seggi su 553.
In un circostanziato discorso alla Camera il deputato socialista Giacomo Matteotti denunciò come le elezioni si fossero svolte in un clima di violenza e di intimidazione e come in talune sezioni elettorali la custodia delle urne contenenti le schede fosse stata affidata agli uomini della milizia fascista. Dieci giorni dopo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti.
Il 30 ottobre 1922 il re Vittorio Emanuele III aveva conferito a Benito Mussolini l’incarico di formare un governo. E con quell’atto prese il via il processo che avrebbe rapidamente trasformato lo Stato liberale italiano in uno stato dittatoriale.
A partire dal 1925 venne approvata una serie di decreti e di leggi, dette fascistissime, il cui contenuto possiamo così riassumere.
Concentrazione dei massimi poteri nella persona del Capo del Governo, responsabile del suo operato non più davanti al Parlamento ma solo davanti al re.
Soppressione delle libertà democratiche: fu limitata la libertà di riunione, di associazione, di manifestazione del pensiero e fu assoggettata a censura la stampa. Fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, formato da cinque consoli della Milizia e presieduto da un generale, con il compito di giudicare sulle attività antifasciste.
Fu istituito il confino di polizia, che consentiva all’autorità di pubblica sicurezza di deportare in località sperdute le persone sospette di essere contrarie al regime.
Venne istituita la polizia politica fascista denominata Ovra.
Soppressione del pluralismo politico: i partiti politici e i sindacati, diversi da quelli fascisti, vennero posti fuori legge. Persino nei Comuni i sindaci elettivi furono sostituti da podestà nominati dal Governo.
Nel 1929 una nuova legge elettorale consentì agli italiani di votare (con un sì o con un no) per una sola lista: quella fascista.
Soppressione della Camera dei deputati che venne sostituita con la Camera dei fasci e delle corporazioni, non più elettiva, composta esclusivamente di fascisti
Emanazione delle leggi razziali: a partire dal settembre 1938, la Gazzetta Ufficiale pubblicò diversi decreti sulla «difesa della razza». Il programma di epurazione si indirizzò soprattutto verso le scuole e le università. Nell’arco di poche settimane 4.000 docenti vennero allontanati dalle loro cattedre. Tra di loro nomi di prestigio internazionale, soprattutto nel campo della matematica e della fisica. Seimila studenti vennero espulsi dalle scuole pubbliche del Regno. Ai ragazzi di religione ebraica fu vietato di proseguire gli studi oltre la scuola dell’obbligo. I più grandi furono esentati dal servizio militare. I matrimoni misti vennero vietati.
E con ciò il regime fascista seppelliva, insieme alla democrazia, anche la dignità degli italiani.
Il 25 aprile 1945 l’Italia veniva definitivamente liberata dall’occupazione tedesca e con ciò terminava, per il nostro Paese, la triste esperienza del fascismo e della guerra.
Il 2 giugno 1946 gli italiani vennero chiamati alle urne per decidere se lo Stato avrebbe dovuto conservare la forma monarchica o assumere la forma repubblicana.
Prevalse, come ben sappiamo, la scelta repubblicana, ma con uno scarto di soli due milioni di voti. A favore della Repubblica si espressero 12.820.000 italiani, pari al 54,25% dei votanti; a favore
In quel referendum ai votanti venne consegnata anche un’altra scheda con la dovevano eleggere i componenti di un’Assemblea costituente che avrebbe redatto una nuova Carta costituzionale.
Il voto popolare premiò i tre partiti maggiormente radicati nel tessuto sociale; nell’ordine la Democrazia cristiana, il Partito socialista e il Partito comunista. Queste tre formazioni nel loro complesso raccolsero il 75% circa dei consensi.
L’Assemblea, costituita da 556 membri, tenne la sua prima seduta il 25 giugno 1946 a Montecitorio, sede della Camera dei deputati.
La nuova Costituzione italiana venne definitivamente approvata, con 453 voti favorevoli e 62 contrari, il 22 dicembre 1947, e entrò ufficialmente in vigore il 1° Gennaio del 1948.
La Costituzione italiana è una costituzione:
- lunga, in quanto è composta da 139 articoli (meno 6 abrogati dalla legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001) ai quali si aggiungono 18disposizioni transitorie e finali;
- rigida, in quanto può essere integrata o modificata soltanto con la complessa procedura prevista dall’art. 138 della Costituzione stessa e della quale ci occuperemo nel Forum E.
Strutturalmente la nostra carta costituzionale:
- si apre con l’enunciazione dei principi fondamentali che ne costituiscono la premessa;
- fissa, in una prima parte i principali diritti e doveri del cittadini;
- prosegue con una seconda parte nella quale è delineato l’ordinamento della repubblica, cioè il funzionamento dei principali organi dello Stato;
- termina con alcune disposizioni transitorie e finali, poste per regolare il trapasso dal vecchio al nuovo ordinamento.
► Approfondimenti
[4 marzo 1848]
CARLO ALBERTO
per la grazia di Dio
RE DI SARDEGNA, DI CIPRO E DI GERUSALEMME
Ecc. Ecc. Ecc.
Con lealtà di Re e con affetto di Padre Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri amatissimi sudditi col Nostro proclama dell’ 8 dell’ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare, in mezzo agli eventi straordinarii che circondavano il paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse colla gravità delle circostanze, e come prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del Nostro cuore fosse ferma Nostra intenzione di conformare le loro sorti alla ragione dei tempi, agli interessi ed alla dignità della Nazione.
Considerando Noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente Statuto Fondamentale come un mezzo il più sicuro di raddoppiare coi vincoli d’indissolubile affetto che stringono all’Italia Nostra Corona un Popolo, che tante prove Ci ha dato di fede, d’obbedienza e d’amore, abbiamo determinato di sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Iddio benedire le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione libera, forte e felice si mostrerà sempre più degna dell’antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire. Perciò di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue:
Art. 1. – La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi.
Art. 2. – Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la legge salica.
Art. 3. – Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato, e quella dei Deputati.
Art. 4. – La persona del Re è sacra ed inviolabile.
Art. 5. – Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l’assenso delle Camere.
Art. 6. – Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato; e fa i decreti e regolamenti necessarii per l’esecuzione delle leggi, senza sospenderne l’osservanza, o dispensarne.
Art. 7. – Il Re solo sanziona le leggi e le promulga.
Art. 8. – Il Re può far grazia e commutare le pene.
Art. 9. – Il Re convoca in ogni anno le due Camere: può prorogarne le sessioni, e disciogliere quella dei Deputati; ma in quest’ultimo caso ne convoca un’altra nel termine di quattro mesi.
Art. 10. – La proposizione delle leggi apparterrà al Re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d’imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato, sarà presentata prima alla Camera dei Deputati.
Art. 11. – Il Re è maggiore all’età di diciotto anni compiti.
Art. 12. – Durante la minorità del Re, il Principe suo più prossimo parente, nell’ordine della successione al trono sarà Reggente del Regno, se ha compiti gli anni vent’uno.
Art. 13. – Se, per la minorità del Principe chiamato alla Reggenza, questa è devoluta ad un parente più lontano, il Reggente, che sarà entrato in esercizio, conserverà la Reggenza fino alla maggiorità del Re.
Art. 14. – In mancanza di parenti maschi, la Reggenza apparterrà alla Regina Madre.
Art. 15. – Se manca anche la Madre, le Camere, convocate fra dieci giorni dai Ministri, nomineranno il Reggente.
Art. 16. – Le disposizioni precedenti relative alla Reggenza sono applicabili al caso, in cui il Re maggiore si trovi nella fisica impossibilità di regnare. Però, se l’Erede presuntivo del trono ha compiuti diciotto anni, egli sarà in tal caso di pieno diritto il Reggente.
Art. 17. – La Regina Madre è tutrice del Re finché egli abbia compiuta l’età di sette anni; da questo punto la tutela passa al Reggente.
Art. 18. – I diritti spettanti alla podestà civile in materia beneficiaria, o concernenti all’esecuzione delle Provvisioni d’ogni natura provenienti dall’estero, saranno esercitati dal Re.
Art. 19. – La dotazione della Corona è conservata durante il Regno attuale quale risulterà dalla media degli ultimi dieci anni. Il Re continuerà ad avere l’uso dei reali palazzi, ville e giardini e dipendenze, non che di tutti indistintamente i beni mobili spettanti alla corona, di cui sarà fatto inventario a diligenza di un Ministro responsabile. Per l’avvenire la dotazione predetta verrà stabilita per la durata di ogni Regno dalla prima legislatura, dopo l’avvenimento del Re al Trono.
Art. 20. – Oltre i beni, che il Re attualmente possiede in proprio, formeranno il privato suo patrimonio ancora quelli che potesse in seguito acquistare a titolo oneroso o gratuito, durante il suo Regno. Il Re può disporre del suo patrimonio privato sia per atti fra vivi, sia per testamento, senza essere tenuto alle regola delle leggi civili, che limitano la quantità disponibile. Nel rimanente il patrimonio del Re è soggetto alle leggi che reggono le altre proprietà.
Art. 21. – Sarà provveduto per legge ad un assegnamento annuo del Principe ereditario giunto alla maggiorità, od anche prima in occasione di matrimonio; all’appannaggio dei Principi della Famiglia e del Sangue Reale delle condizioni predette; alle doti delle Principesse; ed al dovario delle Regine.
Art. 22. – Il Re, salendo al trono, presta in presenza delle Camere riunite il giuramento di osservare lealmente il presente Statuto.
Art. 23. – Il Reggente prima d’entrare in funzioni, presta il giuramento di essere fedele al Re, e di osservare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato.
DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI
Art. 24. – Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi.
Art. 25. – Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato.
Art. 26. – La libertà individuale è guarentita.
Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch’essa prescrive.
Art. 27. – Il domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge, e nelle forme ch’essa prescrive.
Art. 28. – La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo.
Art. 29. – Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili. Tuttavia quando l’interesse pubblico legalmente accertato, lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto o in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi.
Art. 30. – Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re.
Art. 31. – Il debito pubblico è garantito. Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile.
Art. 32. – E’ riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia.
DEL SENATO
Art. 33. – Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato, aventi l’età, di quarant’anni compiuti, e scelti nelle categorie seguenti:
- 1° Gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato;
- 2° Il Presidente della Camera dei Deputati;
- 3° I Deputati dopo tre legislature, o sei anni di esercizio;
- 4° I Ministri di Stato;
- 5° I Ministri Segretarii di Stato;
- 6° Gli Ambasciatori;
- 7° Gli Inviati straordinarii, dopo tre anni di tali funzioni;
- 8° I Primi Presidenti e Presidenti del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti;
- 9° I Primi Presidenti dei Magistrati d’appello;
- 10° L’Avvocato Generale presso il Magistrato di Cassazione, ed il Procuratore Generale, dopo cinque anni di funzioni;
- 11° I Presidenti di Classe dei Magistrati di appello, dopo tre anni di funzioni;
- 12° I Consiglieri del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti, dopo cinque anni di funzioni;
- 13° Gli Avvocati Generali o Fiscali Generali presso i Magistrati d’appello, dopo cinque anni di funzioni;
- 14° Gli Uffiziali Generali di terra e di mare. Tuttavia i Maggiori Generali e i Contr’Ammiragli dovranno avere da cinque anni
quel grado in attività; - 15° I Consiglieri di Stato, dopo cinque anni di funzioni;
- 16° I Membri dei Consigli di Divisione, dopo tre elezioni alla loro presidenza;
- 17° Gli Intendenti Generali, dopo sette anni di esercizio;
- 18° I membri della Regia Accademia delle Scienze, dopo sette anni di nomina;
- 19° I Membri ordinarii del Consiglio superiore d’Istruzione pubblica, dopo sette anni di esercizio;
- 20° Coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria;
- 21° Le persone, che da tre anni pagano tremila lire d’imposizione diretta in ragione de’ loro beni, o della loro industria.
Art. 34. – I Principi della Famiglia Reale fanno di pien diritto parte del Senato. Essi seggono immediatamente dopo il Presidente. Entrano in Senato a vent’un anno, ed hanno voto a venticinque.
Art. 35. – Il Presidente e i Vice-Presidenti del Senato sono nominati dal Re. Il Senato nomina nel proprio seno i suoi Segretarii.
Art. 36. – Il Senato è costituito in Alta Corte di Giustizia con decreto del Re per giudicare dei crimini di alto tradimento, e di attentato alla sicurezza dello Stato, e per giudicare i Ministri accusati dalla Camera dei Deputati. In questi casi il Senato non è capo politico. Esso non può occuparsi se non degli affari giudiziarii, per cui fu convocato, sotto pena di nullità.
Art. 37. – Fuori del caso di flagrante delitto, niun Senatore può essere arrestato se non in forza di un ordine del Senato. Esso è solo competente per giudicare dei reati imputati ai suoi membri.
Art. 38. – Gli atti, coi quali si accertano legalmente le nascite, i matrimoni e le morti dei Membri della Famiglia Reale, sono presentati al Senato, che ne ordina il deposito ne’ suoi archivi.
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
Art. 39. – La Camera elettiva è composta di Deputati scelti dai Collegii Elettorali conformemente alla legge.
Art. 40. – Nessun Deputato può essere ammesso alla Camera, se non è suddito del Re, non ha compiuta l’età di trent’anni, non gode i diritti civili e politici, e non riunisce in sé gli altri requisiti voluti dalla legge.
Art. 41. – I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti. Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori.
Art. 42. – I Deputati sono eletti per cinque anni: il loro mandato cessa di pien diritto alla spirazione di questo termine.
Art. 43. – Il Presidente, i Vice-Presidenti e i Segretarii della Camera dei Deputati sono da essa stessa nominati nel proprio seno al principio d’ogni sessione per tutta la sua durata.
Art. 44. – Se un Deputato cessa, per qualunque motivo, dalle sue funzioni, il Collegio che l’aveva eletto sarà tosto convocato per fare una nuova elezione.
Art. 45. – Nessun Deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante delitto, nel tempo della sessione, né tradotto in giudizio in materia criminale, senza il previo consenso della Camera.
Art. 46. – Non può eseguirsi alcun mandato di cattura per debiti contro di un Deputato durante la sessione della Camera, come neppure nelle tre settimane precedenti e susseguenti alla medesima.
Art. 47. – La Camera dei Deputati ha il diritto di accusare i Ministri del Re, e di tradurli dinanzi all’Alta Corte di Giustizia.
DISPOSIZIONI COMUNI ALLE DUE CAMERE
Art. 48. – Le sessioni del Senato e della Camera dei Deputati cominciano e finiscono nello stesso tempo. Ogni riunione di una Camera fuori del tempo della sessione dell’altra è illegale, e gli atti ne sono intieramente nulli.
Art. 49. – I Senatori ed i Deputati prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni prestano il giuramento di essere fedeli al Re di osservare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato e di esercitare le loro funzioni col solo scopo del bene inseparabile del Re e della Patria.
Art. 50. – Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad acuna retribuzione od indennità.
Art. 51. – I Senatori ed i Deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle Camere.
Art. 52 – Le sedute delle Camere sono pubbliche. Ma, quando dieci membri ne facciano per iscritto la domanda, esse possono deliberare in segreto.
Art. 53. – Le sedute e le deliberazioni delle Camere non sono legali né valide, se la maggiorità assoluta dei loro membri non è presente.
Art. 54. – Le deliberazioni non possono essere prese se non alla maggiorità de’ voti.
Art. 55. – Ogni proposta di legge debb’essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all’altra per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re. Le discussioni si faranno articolo per articolo.
Art. 56. – Se un progetto di legge è stato rigettato da uno dei tre poteri legislativi, non potrà essere più riprodotto nella stessa sessione.
Art. 57. – Ognuno che sia maggiore di età ha il diritto di mandare petizioni alle Camere, le quali debbono farle esaminare da una Giunta, e, dopo la relazione della medesima, deliberare se debbano essere prese in considerazione, ed, in caso affermativo, mandarsi al Ministro competente, o depositarsi negli uffizii per gli opportuni riguardi.
Art. 58. – Nissuna petizione può essere presentata personalmente alle Camere.
Le Autorità costituite hanno solo il diritto di indirizzar petizioni in nome collettivo.
Art. 59. – Le Camere non possono ricevere alcuna deputazione, né sentire altri, fuori dei proprii membri, dei Ministri, e dei Commissarii del Governo.
Art. 60. – Ognuna delle Camere è sola competente per giudicare della validità, dei titoli di ammessione dei proprii membri.
Art. 61. – Così il Senato, come la Camera dei Deputati, determina per mezzo d’un suo Regolamento interno, il modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie attribuzioni.
Art. 62. – La lingua italiana è la lingua officiale delle Camere. E’ però facoltativo di servirsi della francese ai membri, che appartengono ai paesi, in cui questa è in uso, od in risposta ai medesimi.
Art. 63. – Le votazioni si fanno per alzata e seduta, per divisione; e per isquittinio segreto. Quest’ultimo mezzo sarà sempre impiegato per la votazione del complesso di una legge, e per ciò che concerne al personale.
Art. 64. – Nessuno può essere ad un tempo Senatore e Deputato.
DEI MINISTRI
Art. 65. – Il Re nomina e revoca i suoi Ministri.
Art. 66. – I Ministri non hanno voto deliberativo nell’uno o nell’altra Camera se non quando ne sono membri. Essi vi hanno sempre l’ingresso, e debbono essere sentiti sempre che lo richieggano.
Art. 67. – I Ministri sono risponsabili. Le Leggi e gli Atti del Governo non hanno vigore, se non sono muniti della firma di un Ministro.
DELL’ORDINE GIUDIZIARIO
Art. 68, – La Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici ch’Egli istituisce.
Art. 69. – I Giudici nominati dal Re, ad eccezione di quelli di mandamento, sono inamovibili dopo tre anni di esercizio.
Art. 70. – I Magistrati, Tribunali, e Giudici attualmente esistenti sono conservati. Non si potrà derogare all’organizzazione giudiziaria se non in forza di una legge.
Art. 71. – Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie.
Art. 72 – Le udienze dei Tribunali in materia civile, e i dibattimenti in materia criminale saranno pubblici conformemente alle leggi.
Art. 73. – L’interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo.
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 74. – Le istituzioni comunali e provinciali, e la circoscrizione dei comuni e delle provincie sono regolati dalla legge.
Art. 75. – La Leva militare è regolata dalla legge.
Art. 76. – E’ istituita una Milizia Comunale sovra basi fissate dalla legge.
Art. 77. – Lo Stato conserva la sua bandiera: e la coccarda azzurra è la sola nazionale.
Art. 78. – Gli Ordini Cavallereschi ora esistenti sono mantenuti con le loro dotazioni. Queste non possono essere impiegate in altro uso fuorché in quello prefisso dalla propria istituzione. Il Re può creare altri Ordini, e prescriverne gli statuti.
Art. 79. – I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro, che vi hanno diritto. Il Re può conferirne dei nuovi.
Art. 80. – Niuno può ricevere decorazioni, titoli, o pensioni da una potenza estera senza l’autorizzazione del Re.
Art. 81. – Ogni legge contraria al presente Statuto è abrogata.
DISPOSIZIONI TRANSITORIE
Art. 82. – Il presente Statuto avrà il pieno suo effetto dal giorno della prima riunione delle due Camere, la quale avrà luogo appena compiute le elezioni. Fino a quel punto sarà provveduto al pubblico servizio d’urgenza con Sovrane disposizioni secondo i modi e le forme sin qui seguite, ommesse tuttavia le interinazioni e registrazioni dei Magistrati, che sono fin d’ora abolite.
Art. 83. – Per l’esecuzione del presente Statuto il Re si riserva di fare le leggi sulla Stampa, sulle Elezioni, sulla Milizia comunale, e sul riordinamento del Consiglio di Stato.
Sino alla pubblicazione della legge sulla Stampa rimarranno in vigore gli ordini vigenti a quella relativi.
Art. 84. – I Ministri sono incaricati e responsabili della esecuzione e della piena osservanza delle presenti disposizioni transitorie. Dato in Torino addì quattro del mese di marzo l’anno del Signore mille ottocento quarantotto, e del Regno Nostro il decimo ottavo.
CARLO ALBERTO
Il Ministro e Primo Segretario di Stato per gli affari dell’Interno
BORELLI
Il primo Segretario di Stato per gli affari Ecclesiastici, di Grazia e di Giustizia, Dirigente la Grande Cancelleria
AVET
Il Primo Segretario di Stato per gli affari di Finanze
DI REVEL
Il Primo Segretario di Stato dei Lavori Pubblici, dell’Agricoltura, e del Commercio
DES AMBROIS
Il Primo Segretario di Stato per gli Affari Esteri
E. DI SAN MARZANO
Il Primo Segretario di Stato per gli affari di Guerra e Marina
BROGLIA
Il Primo Segretario di Stato per la Pubblica Istruzione
C. ALFIERI
Riportiamo, qui di seguito il testo integrale:
- del manifesto sulle razze redatto da dieci scienziati italiani nel 1938
- del regio decreto legge n. 1390 del 5 settembre 1938 contenete provvedimenti per la difesa della razza nella scuola
IL FASCISMO E IL PROBLEMA DELLA RAZZA
MANIFESTO REDATTO DA DIECI SCIENZIATI ITALIANI E PUBBLICATO
SUL QUOTIDIANO "IL GIORNALE D’ITALIA" DEL 14 LUGLIO 1938
I
Le razze umane esistono. La esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che esistono razze umane superiori o inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.
II
Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamati razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.
III
Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso quindi è basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche, religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli Italiani sono differenti dai Francesi, dai Tedeschi, dai Turchi, dai Greci, ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti, che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.
IV
La popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origine ariana e la sua civiltà ariana. Questa popolazione a civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L’origine degli Italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell’Europa.
V
È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della nazione. Da ciò deriva che, mentre per altre nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l’Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i quarantaquattro milioni d’Italiani di oggi rimontano quindi nella assoluta maggioranza a famiglie che abitano l’Italia da almeno un millennio.
VI
Esiste ormai una pura "razza italiana". Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
VII
È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo non vuole dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
VIII
È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d’Europa (Occidentali) da una parte gli Orientali e gli Africani dall’altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l’origine africana di alcuni popoli europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.
IX
Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli Italiani.
X
I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.
REGIO DECRETO LEGGE n. 1390
5 Settembre 1938
(Pubblicato il 13 Settembre 1938 sul n.209 della Gazzetta Ufficiale)
PROVVEDIMENTI PER LA DIFESA DELLA RAZZA NELLA SCUOLA
Articolo 1.
All’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; nè potranno essere ammesse all’assistentato universitario, nè al conseguimento dell’abilitazione alla libera docenza.
Articolo 2.
Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica.
Articolo 3.
A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza delle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall’esercizio della libera docenza.
Articolo 4.
I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI.
Articolo 5.
In deroga al precedente art. 2 potranno in via transitoria essere ammessi a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica, già iscritti a istituti di istruzione superiore nei passati anni accademici.
Articolo 6.
Agli effetti del presente decreto-legge è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.
Articolo 7.
Il presente decreto-legge, che entrerà in vigore alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno, sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il Ministro per l’educazione nazionale è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge.
Dato a San Rossore, addì 5 settembre 1938 – Anno XVI
Vittorio Emanuele, Mussolini, Bottai, Di Revel