Forum D – Unità D2
La proprietà
► Riepiloghi
“Il proprietario ha il diritto di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico.”
Dalla norma si deduce quanto segue.
Oggetto del diritto di proprietà sono le cose (intendendosi per tali i beni)
Contenuto del diritto di proprietà è il potere di godere e di disporre delle cose.
- Godere significa usare il bene e trarne ogni possibile utilità.
- Disporre significa poter trasferire il proprio diritto ad altri o anche solo limitarne il contenuto concedendo ad altri un diritto reale minore.
- In modo pieno ed esclusivo vuol dire poter utilizzare la cosa nel modo più ampio e poter escludere chiunque dal godimento della stessa.
- Nei limiti previsti dall'ordinamento giuridico significa che tutte queste facoltà non sono così ampie come appaiono nella enunciazione perché l'ordinamento può porre (e concretamente pone) numerose e significative limitazioni.
“La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale […]”.
La norma non spiega che cosa sia la funzione sociale e la questione è di grande complessità. Tuttavia, semplificandone al massimo i termini, si può dire che assicurare la funzione sociale significa porre dei vincoli a quelle forme di utilizzazione e di disposizione dei beni che, pur recando vantaggio ai singoli proprietari, possono rivelarsi pregiudizievoli per gli interessi della collettività.
Innanzi tutto occorre controllare il piano regolatore comunale, per vedere se lo specifico lotto di terreno è compreso nelle aree residenziali.
Subito dopo occorre controllare il piano particolareggiato che accompagna il piano regolatore generale, per assicurarsi che il lotto in questione, benché compreso nell'area residenziale, non sia stato destinato a piazza, a parcheggio o ad altro servizio pubblico.
Quindi occorre presentare al competente ufficio comunale (indicato come sportello unico) il progetto della costruzione che si vuole realizzare e la ulteriore documentazione richiesta, al fine di ottenere il permesso di costruire (in passato chiamato concessione edilizia).
Il rilascio di tale permesso è subordinato, tra l'altro, al pagamento degli oneri di urbanizzazione, cioè di un contributo con cui il richiedente partecipa alla spesa necessaria a realizzare, nella zona, le strade, la rete fognaria, l'allaccio alla rete idrica, ecc.
Se queste opere sono già esistenti, il contributo servirà a rimborsare la pubblica amministrazione per le spese già sostenute
Stabilisce il primo comma dell’articolo 844 c.c.:
“Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni […] derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.”
Se le immissioni superano il livello di tollerabilità il giudice potrà ordinare l’applicazione di misure tecniche idonee a ridurre di intensità le immissioni o, in casi estremi, potrà disporre la cessazione dell’attività molesta. Quando la causa di disturbo sia un’attività produttiva, si desume dal secondo comma dell’art. 844 c.c., bisognerà contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà.
Ciò significa, secondo la giurisprudenza, che il giudice chiamato a decidere sulla questione, dovrà operare un raffronto tra gli interessi in conflitto, e dovrà dare prevalenza al più rilevante.
L’art. 844 c.c. termina stabilendo che il giudice può tenere conto della priorità di un determinato uso. Ciò sembrerebbe avallare l’idea per cui chi c’era prima ha ragione, ma non è così. La Cassazione ha più volte chiarito che il criterio del preuso può essere applicato solo quando gli interessi contrapposti sono equivalenti e non sia possibile trovare altra soluzione al conflitto (Cass. 2005, n. 9865).
Al proprietario stabilisce l’art. 835 c.c , è dovuta una giusta indennità.
L’urgenza è la condizione fondamentale per la legittimità della requisizione. Il provvedimento che non sia motivato da urgenza è illegittimo.
questo istituto trova la sua legittimazione nell’art. comma 3, Cost.: “La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”
L’art. 37 del Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità, (contenuto nel d.p.r n. 327/2001) stabilisce che l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Ma quando l’espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di interesse economico sociale, l’indennità è ridotta del 25 per cento.
Il diritto acquistato può essere liberamente trasferito ad altri per contratto (vendita, permuta, donazione) o per successione a causa di morte.
Le norme sul condominio sono contenute negli artt. 1117-1139 c.c. e in leggi speciali
Oggetto di condominio sono le parti di fabbricato e i manufatti indicati nell’art. 1117 c.c. Vi rientrano i tetti, i lastrici solari, le scale, i cortili, gli stenditoi, gli ascensori, gli impianti per acqua, gas, elettricità e riscaldamento fino al punto di diramazione nei locali di proprietà esclusiva dei singoli condòmini.
Non è consentito rinunciare al diritto sulle parti comuni e sottrarsi, in tal modo, alle spese per la loro manutenzione.
La quota di partecipazione alle spese viene calcolata in millesimi, e a ciascun condomino viene attribuita una quantità di millesimi proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene in via esclusiva.
Le innovazioni voluttuarie, come per esempio la tinteggiatura degli androni, anche se approvate dalla maggioranza dell’assemblea, non sono vincolanti per i condomini dissenzienti. Questi, però, non possono impedire che siano eseguite dagli altri condòmini a proprie spese.
► Approfondimenti
Nel diritto romano il proprietario aveva, in linea teorica, un potere pressoché illimitato sulle cose, ma tale regola non era priva di eccezioni. Per esempio, già in epoca repubblicana era vietato edificare in aree urbane senza lasciare intorno alla costruzione uno spazio adibito a uso pubblico. Ed era anche stato fissato un tetto massimo ai canoni di locazione delle abitazioni nella suburra per limitare la speculazione edilizia. In epoca imperiale le limitazioni alla proprietà divennero sempre più numerose, e tuttavia seguitarono a essere considerate, dai giuristi, come eccezioni alla regola generale.
In età feudale, per il sovrapporsi del diritto germanico a quello romano e per le complesse vicende di quel periodo storico, la proprietà fondiaria (che era allora la maggior fonte di ricchezza) si trovò gravata dai diritti che vi esercitava l’intera gerarchia feudale. Su uno stesso fondo si sommavano i poteri del proprietario, che ne aveva il dominio utile (cioè la facoltà di coltivarlo e di abitarvi); quelli del signore feudale, che aveva il dominio diretto di tutte le terre comprese nel suo feudo (e ciò gli consentiva, tra l’altro, di imporre oneri e tributi); e quelli dell’imperatore che aveva il dominio eminente su tutte le terre comprese nel suo impero.
In età moderna questa ingarbugliata situazione sopravviveva ancora, seppure con le modifiche introdotte dal mutare dei tempi. Ma contro il permanere dei vincoli feudali sulla proprietà montava la crescente insofferenza della borghesia mercantile, divenuta ormai ricca e potente. Una insofferenza destinata a esplodere, alla fine del XVIII secolo, nella più famosa rivoluzione che la storia ricordi.
La rivoluzione francese spazzò via gli ultimi residui del potere feudale e la borghesia poté porre la proprietà, libera da ogni vincolo, tra i diritti naturali dell’uomo. Tra quei diritti, cioè, che appartengono all’uomo per legge di natura e che lo Stato non deve mai limitare. Il Codice napoleonico del 1804 (a cui si ispirò anche il primo codice civile italiano del 1865) poté così definire la proprietà come «il diritto di godere e di disporre delle cose nella maniera più assoluta». Qualche limitazione, che pure fu introdotta anche negli ordinamenti liberali ottocenteschi, tornò a essere intesa come eccezione alla regola.
Nel primo Novecento, parallelamente alla crisi del pensiero liberale, cominciò ad affermarsi, nella cultura giuridica europea, il principio che la proprietà dovesse essere regolata in modo da armonizzare gli interessi del proprietario con quelli della società.
In Italia, quando si pose mano alla redazione dell’attuale codice civile, fu proposto di definire la proprietà come il potere di godere e disporre delle cose (…) in conformità della funzione sociale. Ma in sede di stesura finale si preferì eliminare questo esplicito richiamo e rimanere aderenti alla formulazione napoleonica. Nei fatti, però, il legislatore introdusse nel codice numerose norme la cui funzione era esattamente quella di subordinare l’interesse individuale a quello generale.
Solo con la Costituzione repubblicana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, la disciplina della proprietà venne esplicitamente collegata alla funzione sociale e l’istituto proprietario venne rimosso dal piedistallo dei diritti naturali e collocato, più ragionevolmente, nel titolo III, dedicato ai rapporti economici.
“Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle.”
Ciò vuol dire che la legge assicura al proprietario del suolo la più ampia possibilità di sfruttamento in altezza e profondità. Egli può scavare pozzi artesiani e, con le prescritte autorizzazioni, elevare grattacieli. Ma dove la concreta possibilità di sfruttamento cessa, termina anche il suo diritto.
Tuttavia, una rigida applicazione di questa facoltà (ribadita dall’art. 841 c.c.) non è parsa opportuna al legislatore che vi ha posto alcuni limiti. In particolare:
– per quanto dispone l’art. 842 c.c., il proprietario non può impedire il passaggio per l’esercizio della caccia a chi sia munito di regolare licenza, salvo che nel fondo vi siano colture suscettibili di danno oppure questo sia stato chiuso nei modi previsti dalla legge sull’attività venatoria (cioè con una rete alta almeno m 1,20 o con altra chiusura che non consenta il passaggio della selvaggina). Il proprietario, però, può impedire a chiunque l’esercizio della caccia se il suo fondo non è compreso nel piano faunistico-venatorio regionale (artt. 12 e 15, l. n. 157 dell’11 febbraio 1992);
– per quanto dispone l’art. 843 c.c. il proprietario deve permettere l’accesso e il passaggio nel suo fondo, sempre che ne venga riconosciuta la necessità, al vicino che abbia bisogno di costruire o riparare un muro o altra opera. Se l’accesso causa danno, il proprietario ha diritto a una adeguata indennità. Egli deve, inoltre, consentire l’accesso a chi debba recuperare una cosa mobile o un animale sfuggito alla custodia, salvo che non voglia personalmente consegnare la cosa o l’animale.
L’art. 833 c.c., rubricato Atti di emulazione stabilisce
“ Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o di recare molestia ad altri.”
Si tratta di un generale limite alla proprietà che era conosciuto già nel diritto romano ma che nel nostro ordinamento, per il modo in cui la norma è formulata, trova scarsa applicazione.
L’articolo in esame, infatti, stabilisce che l’atto, per essere emulativo, non deve avere altro scopo che quello di recare molestia. Ma, come l’esperienza giudiziaria dimostra, il proprietario quasi sempre riesce a provare di ricavare qualche vantaggio dalla propria azione.
L’atto emulativo, ha chiarito la Cassazione con sentenza n. 10250 del 1997, non può consistere in una condotta omissiva, sia perché l’art. 833 letteralmente, parla di «atti»; sia perché non è configurabile un atto emulativo se manca qualsiasi vantaggio per il suo autore, e invece, il non fare, determina sempre un vantaggio in termini di risparmio di spesa e/o di energia psico-fisica (nel caso specifico il ricorrente chiedeva che fosse considerato atto emulativo la mancata potatura di alberi da parte del vicino che aveva come effetto di inibire al ricorrente ogni veduta ).
Il regime di comunione su un bene può determinarsi:
- perché le parti lo hanno voluto (comunione volontaria), come nel caso di due amici che acquistano insieme una casa per le vacanze;
- in seguito a fatti giuridici involontari (comunione incidentale): pensiamo a due sorelle che abbiano ereditato uno stesso bene;
- per imposizione di legge (comunione forzosa): pensiamo a colui che compera un appartamento in un condominio e, per forza di legge, diventa comproprietario delle parti comuni, come le scale, l’ascensore, il solaio.
Le norme sulla comunione sono contenute negli artt. 1100-1139 del codice civile e le più rilevanti possono essere sintetizzate come segue.
- Le quote dei partecipanti alla comunione si presumono uguali,
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di usarla secondo il loro diritto. - Ciascuno può disporre del proprio diritto, può cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota.
- L’amministrazione della cosa comune spetta congiuntamente a tutti i partecipanti.
- Lo scioglimento della comunione, può essere chiesto da ogni partecipante e in qualsiasi momento anche contro la volontà degli altri partecipanti.
- Si possono porre limiti alla reciproca facoltà di scioglimento ma il patto di rimanere in comunione non può comunque eccedere i dieci anni.