, , ,

 Forum D – unità D3

I Rapporti Civili

► Riepiloghi

 

► Approfondimenti

La questione delle concentrazioni editoriali

Per quanto riguarda la stampa quotidiana e periodica, il problema della concentrazione delle testate è stato affrontato con la legge n. 416 del 1981 (in seguito più volte modificata) che nelle sue linee essenziali può essere così schematizzata:

  • uno stesso editore non può possedere più del 30% dei giornali venduti in Italia;
  • debbono essere rese pubbliche sia le operazioni di acquisto di testate sia i bilanci delle imprese editoriali, in modo che sia chiaro chi ne è il proprietario e di quali finanziamenti dispone;
  • è istituita un’Autorità garante per l’editoria con il compito di vigilare sul rispetto della legge e l’obbligo di segnalare alla magistratura eventuali violazioni.
 
Per la radio e la televisione gli interventi normativi sono stati più tortuosi.
Per lungo tempo le trasmissioni radiotelevisive sono state gestite in regime di monopolio da un’impresa pubblica, la Rai-TV.
 
Caduto il monopolio per effetto di una sentenza della Corte costituzionale (Corte cost. 202 del 1976) si è avuto un immediato proliferare di emittenti private che hanno conosciuto un momento di grande ma anche di effimera fortuna. Potenti gruppi economici, infatti, hanno subito iniziato una serrata manovra di acquisizione delle frequenze.
 
La mancanza di regole e il rapido processo di concentrazione hanno indotto la Corte costituzionale a sollecitare ripetutamente il Parlamento a regolare in modo compiuto il settore radio e televisivo. Ma soltanto nel 1990, quando ormai il più grande gruppo privato aveva allestito tre efficienti emittenti, è stata emanata una legge (L. 223/190) che sostanzialmente ratificava la situazione di fatto che era venuta creandosi.
Per capire come tale situazione sia capace di condizionare la nascita di un vero pluralismo nell’informazione occorre sapere che questo tipo di editoria si finanzia soprattutto con la pubblicità. E le grandi imprese produttrici di beni e servizi sono comprensibilmente portate ad operare inserzioni sulle reti che hanno i maggiori indici di ascolto e che consentono al messaggio pubblicitario di raggiungere un pubblico più vasto. Ma il massiccio fluire della pubblicità verso alcune grandi reti inaridisce i canali di finanziamento degli altri mezzi di informazione e soprattutto delle reti minori, costrette ad effettuare una programmazione povera che sicuramente non ne favorisce la crescita.
 
Nel 1997 una nuova legge (L. 249/1997) tornava ad occuparsi di diffusione radio e televisiva ponendo limitazioni all’occupazione di frequenze e alla raccolta di pubblicità.
La legge istituiva anche un’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni con il compito di vigilare sull’osservanza di tali disposizioni.
Nonostante i ripetuti rilievi dell’Autorità, i limiti di legge non sono stati di fatto rispettati.
 
Nel 2004, dopo un procedimento molto contrastato, è stata approvata una nuova normativa (L. 112/2004) che ha favorito la diffusione delle trasmissioni in digitale (ricevibili con antenne paraboliche e decoder) in modo da consentire a nuovi editori di entrare per questa via nel settore della comunicazione televisiva. Anche questa innovazione, tuttavia, non è valsa a superare la sostanziale prevalenza del radicato regime di duopolio.