Forum D – Unità D6
I diritti reali di godimento su cosa altrui
► Riepiloghi
Al proprietario del bene rimane la nuda proprietà che tornerà piena quando il diritto di usufrutto si sarà estinto.
Le norme che regolano questo istituto sono contenute negli artt. 978-1020 c.c.
La costituzione di usufrutto, dispone l’art. 978 c.c., può avvenire per contratto, per testamento e per usucapione.
La durata dell’usufrutto, stabilisce l’art. 979 c.c., può essere concordata tra le parti, ma non può comunque eccedere la vita dell’usufruttuario. •
L’usufrutto è trasferibile, stabilisce l’art. 980 c.c., per un certo tempo o al massimo per tutta la sua durata se ciò non è vietato dal titolo.
Anche la nuda proprietà può essere alienata, ma chi l’acquista potrà godere del bene solo dopo che si è estinto l’usufrutto;
L’usufruttuario non può mutare la destinazione economica del bene.
Le imposte sul reddito prodotto dal bene, stabilisce l’art. 1008 c.c., debbono essere imputate all’usufruttuario.
La prescrizione dell’usufrutto si verifica, avverte l’art. 1014 c.c., se non viene esercitato per più di 20 anni.
“La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.”
L’art. 1031 c.c. aggiunge che le servitù prediali possono essere costituite coattivamente, volontariamente, per usucapione, per destinazione del padre di famiglia. Vediamo le diverse ipotesi.
Sono coattive le servitù che il proprietario del fondo servente non può esimersi di costituire qualora lo richieda il proprietario del fondo dominante.
Sono servitù volontarie (art. 1058 c.c.), quelle costituite per contratto o per testamento, e possono avere il contenuto più vario.
Le servitù volontarie debbono essere rese pubbliche mediante trascrizione nei registri immobiliari. La servitù non trascritta non è opponibile ai terzi (art. 2643).
Destinazione del padre di famiglia è un’espressione arcaica che indica la situazione in cui il proprietario di due fondi crea, tra gli stessi, un rapporto di servizio.
► Approfondimenti
Premettiamo due importanti osservazioni:
– la prima è che l’istituto contiene una evidente deroga al principio dell’accessione, in base al quale il proprietario del suolo diviene proprietario anche di ciò che vi è stato incorporato;
-la seconda osservazione riguarda la figura del proprietario del suolo: che interesse può avere costui a mantenere la proprietà di un terreno stabilmente occupato da una costruzione altrui?
Non sarebbe più logico vendere il fondo a chi vuole costruirvi?
La verità è che questo istituto torna utile proprio quando il suolo non è alienabile. Ad esso si ricorre, generalmente, per consentire la costruzione sul suolo pubblico di stazioni per il rifornimento di carburante, di chioschi, di edicole di giornali, di stabilimenti balneari, di abitazioni popolari, ecc.
Naturalmente nulla vieta che si costituisca un diritto di superficie anche su terreni privati. In questi casi l’interesse del proprietario del suolo può essere soddisfatto dalla pattuizione di un canone periodico in suo favore e dal fatto che, alla scadenza del diritto di superficie, egli diverrà automaticamente proprietario anche della costruzione.
Gli artt. 952-956 c.c., che regolano l’istituto, dispongono sostanzialmente che:
– si può costituire diritto di superficie per contratto, per testamento o per usucapione;
– si può alienare la proprietà della costruzione separatamente da quella del suolo e viceversa. Essendo la superficie un diritto reale, chi acquista il suolo lo acquista gravato da tale diritto;
– la durata può essere perpetua o temporanea. In quest’ultimo caso, quando scade il diritto di superficie finisce anche la deroga al principio dell’accessione e il proprietario del suolo diventa proprietario anche della costruzione;
– il diritto di superficie si prescrive se la costruzione non viene eseguita entro 20 anni.
L’origine del diritto di superficie
I casi in cui trova impiego il diritto di superficie (installazione di distributori di carburante, di chioschi bar, ecc.) può lasciar credere che si tratti di una recente creazione del diritto. In realtà questo istituto ha fatto la sua comparsa nel diritto romano già in epoca repubblicana quando, in cambio di un corrispettivo, veniva concesso ai cambiavalute di installare casupole nel foro con l’intesa che il suolo restava pubblico mentre la costruzione era di proprietà del
concessionario, il quale aveva anche la facoltà di alienarla ad altri.
Il diritto di uso, come precisa l’art. 1024 c.c., non è cedibile ad altri.
La differenza con l’usufrutto è notevole. Nel diritto di uso, infatti, il titolare può utilizzare il bene, ma non può alienare il suo diritto e può appropriarsi dei frutti solo in quantità limitata.
ai bisogni propri e della propria famiglia.
Si tratta, come appare evidente, di un diritto ancora più limitato rispetto all’uso.
Il termine enfiteusi è di origine greca e significa piantagione.
Gli artt. 957-977 c.c. che regolano l’istituto, dispongono sostanzialmente che:
- l’enfiteusi può essere perpetua o a termine, ma in quest’ultimo caso la durata non può essere inferiore a 20 anni. Perché? Perché chi ha migliorato il fondo deve avere anche il tempo di godere i frutti del proprio lavoro;
- oggetto di enfiteusi possono essere sia terreni agricoli che immobili urbani;
- si costituisce per contratto, per testamento o per usucapione;
- l’enfiteuta può affrancare il fondo, cioè diventarne proprietario, pagando una somma pari a quindici volte il canone annuale;
- il concedente, per contro, può chiedere la devoluzione, cioè la restituzione del fondo, se l’enfiteuta non lo migliora oppure non paga il canone per almeno due anni
L’istituto era piuttosto diffuso nel Medioevo, allorché i signori concedevano in enfiteusi ai contadini le terre più impervie e quando queste erano diventate produttive, se ne riappropriavano per lo scadere dell’enfiteusi. Oggi l’istituto è scarsamente utilizzato benché si sia tentato più volte di rivitalizzarlo.