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 Forum E – Unità E10

I principali contratti tipici

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► Approfondimenti

Come sono regolate le vendite con patti speciali?

Nei limiti dell’autonomia contrattuale le parti possono adattare il contenuto del contratto di vendita alle loro particolari esigenze inserendo patti speciali che producono determinati effetti o riservano, a una o a entrambe, determinate facoltà. Vediamo le figure più note.

La vendita con riserva di gradimento, prevista dall’art. 1520 c.c., contiene un patto speciale in virtù del quale il contratto non si considera concluso fin quando il compratore non comunica al venditore il suo gradimento sulla merce avuta in esame.

La vendita a prova, prevista dall’art. 1521 c.c., è una vendita fatta sotto la condizione sospensiva che la cosa abbia le qualità pattuite o sia idonea all’uso a cui è destinata.
La prova si deve eseguire nel termine e secondo le modalità stabilite dal contratto o dagli usi.

La vendita su campione, prevista dall’art. 1522 c.c., è una vendita che il compratore conclude sulla base del campione propostogli. Se la merce dovesse risultare diversa dal campione, egli potrebbe pretendere la risoluzione del contratto.

La vendita su documenti, prevista dall’art. 1527 c.c., è una vendita in cui l’obbligo del venditore di consegnare la cosa si esaurisce con la consegna al compratore dei documenti rappresentativi della merce, come la fede di deposito o il duplicato della lettera di vettura.
Per esempio, se lasciamo della merce in deposito riceveremo, dal titolare del magazzino un documento detto fede di deposito. Egli consegnerà ciò che ha in custodia solo a chi gli esibirà quel documento. Pertanto, chi compera la nostra merce non avrà bisogno, per prenderne possesso, di ritirarla materialmente. Gli basterà avere da noi la fede di deposito, che è l’unico documento che ne consente il ritiro.
La stessa cosa vale per il duplicato della lettera di vettura. Chi consegna della merce a un vettore perché la trasporti da un luogo all’altro, sottoscrive una lettera di vettura in duplice copia: una copia viene data al vettore il quale, arrivato a destinazione, consegnerà la merce solo a chi gli esibirà l’altra copia.

La vendita con patto di riscatto, prevista dall’art. 1500 c.c., è una vendita nella quale il venditore si riserva il diritto di riavere la proprietà della cosa venduta mediante restituzione del prezzo pagato e il rimborso delle spese sostenute dal compratore.
Il termine per il riscatto, aggiunge l’art. 1501 c.c., non può essere maggiore di due anni se la vendita ha per oggetto beni mobili e di cinque anni se ha per oggetto beni immobili.
Se  entro questo termine, il venditore non riesce a procurarsi il denaro per riscattare la cosa perde definitivamente la possibilità del riscatto, e ciò rende questo contratto particolarmente insidioso poiché con esso è possibile aggirare il divieto di patto commissorio.

Il patto commissorio è il patto con cui si conviene che il creditore divenga proprietario del bene datogli in garanzia dal debitore se questi non paga il proprio debito. Quando la vendita con patto di riscatto risponde all’intento di eludere questo divieto imperativo, ha più volte chiarito la Cassazione, il contratto è nullo per illiceità della causa.

Come sono regolate le vendite a distanza e fuori dei locali commerciali?

Supponiamo che un venditore bussi alla nostra porta e ci convinca a sottoscrivere un contratto di acquisto di una intera batteria di pentole da cucina. Più tardi ci rendiamo conto che l’oggetto del contratto non ci occorre affatto e che, per di più, abbiamo sottoscritto una clausola che ci impegna a pagare una salatissima penale in caso di ripensamento. Che cosa possiamo fare? Esiste una norma che ci tuteli contro questo tipo di aggressioni?

La risposta è affermativa e la tutela è oggi offerta dal Codice del consumo  (d.lg. n. 206/2005), che regola i rapporti tra professionista (inteso come soggetto che agisce nell’esercizio di un’attività imprenditoriale) e il consumatore o utente di un servizio (inteso come persona fisica che non agisce come imprenditore).

Nei contratti conclusi fuori dei locali commerciali , è stabilito negli artt. 45 ss. il Codice , il consumatore ha diritto di recedere entro dieci giorni lavorativi senza specificarne il motivo e senza dover pagare alcuna penalità. Qualora il professionista non abbia preventivamente informato il cliente di questo suo diritto o non abbia fornito le indicazioni necessarie per esercitarlo, il termine per recedere diventa di 60 giorni.

Il recesso è un diritto irrinunciabile e va esercitato con l’invio di una raccomandata con avviso di ricevimento alla sede del venditore. Esercitato il recesso, il consumatore deve restituire la merce secondo le modalità stabilite nel contratto.

Ai  contratti conclusi per posta elettronica, per televisione, per radio, per catalogo  e in generale con le tecniche di comunicazione a distanza, l’ordinamento offre analoga tutela. In particolare il Codice di consumo (artt. 50 ss.) dispone che il consumatore ha diritto di recedere senza alcuna penalità e senza dover specificare i motivi del ripensamento, entro dieci giorni lavorativi da quando riceve la merce. In caso di fornitura di servizi il periodo per il ripensamento parte dal giorno della conclusione del contratto.

Il termine di dieci giorni sale a 90 se il consumatore non ha preventivamente ricevuto informazioni complete e chiare sul bene posto in vendita o sul servizio offerto e se non è stato preventivamente informato del suo diritto di recedere.

 

In quali casi la donazione è revocabile per ingratitudine del donatario?

La donazione, stabilisce l’art. 769 c.c., è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione.

La donazione, avverte però l’art. 800 c.c. può essere revocata per ingratitudine (o per sopravvenienza di figli).

La domanda di revocazione per ingratitudine può essere proposta (art. 801c.c.) se il donatario:

  • si è reso colpevole d’ingiuria grave verso il donante (la Cassazione ha ritenuto ingiuria i ripetuti tradimenti del coniuge);
  • ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui,
  • ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti  (il donatario, stabilisce l’art. 437 c.c., è tenuto con precedenza su ogni altro, a prestare gli alimenti al donante che si trovi in stato di bisogno)
  • ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona del donante, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima;
  • se ha calunniato una delle sopradette persone denunziandola per uno dei reati punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, oppure se ha rilasciato falsa testimonianza contro le persone medesime imputandole dei predetti reati.

 

La domanda di revocazione per causa d’ingratitudine deve essere proposta dal donante o dai suoi eredi, contro il donatario o i suoi eredi, entro l’anno dal giorno in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione (art. 802 c.c.).