Forum E – Unità E8
Cause di invalidità del contratto e cause di risoluzione
► Riepiloghi
Il contratto è nullo, si evince dall’art. 1418 c.c.:
- se è contrario a norme imperative;
- se manca uno dei suoi requisiti essenziali (accordo, causa, oggetto, forma quando è richiesta dalla legge);
- se è illecita la causa;
- se l’oggetto è illecito, impossibile, indeterminato o indeterminabile;
- negli altri casi stabiliti dalla legge.
Il contratto nullo non vincola le parti al rispetto dell’impegno assunto, qualunque sia la ragione della nullità.
La nullità, dispone l’art. 1422 c.c., non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.
E’ insanabile perché, come dispone l’art. 1423 c.c., il contratto nullo non può essere convalidato.
È assoluta perché, come dispone l’art. 1421 c.c., può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Il contratto annullabile produce regolarmente i propri effetti, che cessano solo se la parte che ne ha diritto chiede e ottiene una sentenza di annullamento.
Il contratto è annullabile, secondo quanto stabiliscono gli artt. 1425 e 1427 c.c.:
- quando una delle parti era incapace di agire;
- quando il consenso è stato dato per errore, o è stato estorto con violenza, o carpito con dolo, cioè con un raggiro.
L’errore è causa di annullamento del contratto, dispone l’art. 1428 c.c., quando:
- è essenziale;
- ed è riconoscibile dall’altro contraente.
Il dolo è causa di annullamento, stabilisce il primo comma dell’art. 1439 c.c., quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe contrattato.
La violenza stabilisce l’art. 1435 c.c può essere causa di annullamento solo se è di tale natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni a un male ingiusto e notevole. Si ha riguardo, in questa materia, all’età, al sesso e alla condizione delle persone.
Può chiedere l’annullamento, si evince dall’art. 1441 c.c., solo la parte che ha concluso il contratto in stato di incapacità oppure è stata vittima di errore, di dolo o di violenza.
La sentenza che annulla il contratto ha effetto retroattivo tra le parti.
Pertanto, se colui che ha promosso l’azione di annullamento ha già eseguito la sua prestazione, può chiedere la ripetizione (cioè la restituzione) dell’indebito.
L’azione di annullamento si prescrive entro cinque anni, stabilisce l’art. 1442 c.c.
Il termine rescissione significa scioglimento.
La rescissione consente di sciogliersi dal contratto concluso a condizioni inique, cioè non eque.
La rescissione si può chiedere, stabilisce l’art. 1447 c.c., quando le condizioni inique siano state accettate per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.
La rescissione si può anche chiedere, stabilisce l’art. 1448 c.c., quando le condizioni inique siano state accettate da una parte perché spinta da uno stato di bisogno del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio (in questo secondo caso si parla di rescissione per lesione).
Tuttavia, non ogni disparità tra le prestazioni consente di ottenere la rescissione del contratto. L’azione è ammissibile solo quando il valore di una prestazione superi di oltre la metà il valore dell’altra.
L’azione di rescissione si prescrive, dispone l’art. 1449 c.c., entro un anno dalla conclusione del contratto.
Si può evitare la rescissione, aggiunge l’art. 1450 c.c., offrendo al contraente penalizzato che ha intrapreso l’azione, una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo a equità.
La risoluzione consente di sciogliersi dal contratto che, sebbene validamente concluso, non può avere corretta esecuzione per il sopraggiungere di talune anomalie.
Le anomalie che consentono a una delle parti di chiedere la risoluzione sono:
- la impossibilità sopravvenuta di eseguire la prestazione;
- l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione causata da avvenimenti straordinari e imprevedibili;
- l’inadempimento di uno dei contraenti, purché non sia di scarsa importanza.
Per ottenere la risoluzione per inadempimento si posso percorrere due vie:
- la via giudiziale consiste nel domandare al giudice che pronunci una sentenza di risoluzione, provando che vi è stato un inadempimento della controparte non di scarsa importanza (art. 1453 c.c.).
- La diffida ad adempiere, prevista dall’art. 1454 c.c. consiste nell’intimazione scritta, rivolta alla parte inadempiente, di eseguire la prestazione entro un congruo termine (generalmente non inferiore a 15 giorni) con l’avviso che, decorso inutilmente tale termine, il contratto si intenderà risolto.
La risoluzione può anche essere consentita da una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), che le parti inseriscono nel contratto e con la quale concordano che l’inadempimento dell’una consentirà all’altra di sciogliersi dal contratto.
► Approfondimenti
L’inefficacia consiste nell’incapacità del contratto (sebbene sia valido) di produrre i suoi effetti.
Le situazioni che concretamente possono verificarsi sono le seguenti.
Il contratto è «valido ma non ancora efficace»tra le parti perché è sottoposto a termine iniziale o a condizione sospensiva. Per esempio, se concludiamo un contratto di lavoro con inizio dal mese prossimo (termine iniziale) oppure condizionato alla partecipazione a un master negli USA (condizione sospensiva) il contratto è valido fin dal momento della sua conclusione, ma produrrà i suoi effetti (inizieremo a lavorare e percepiremo lo stipendio) solo a partire dal mese prossimo o quando avremo frequentato il master;
Il contratto è «valido»e produttivo di effetti, ma «diverrà inefficace» per effetto di un termine finale o per il prodursi di una condizione risolutiva;
il contratto è «valido tra le parti ma inefficace nei confronti di terzi»o, come anche si dice, è inopponibile ai terzi. Per esempio, il contratto di acquisto di beni immobili in mancanza di registrazione è valido tra le parti, ma inopponibile ai terzi;
il contratto è «inefficace perché è invalido». Per esempio, se concludiamo verbalmente una vendita immobiliare, il contratto è invalido per mancanza della forma prescritta dalla legge ed è anche inefficace perché non è idoneo a produrre gli effetti giuridici voluti dalle parti.
Il contratto può essere annullato con sentenza se uno dei contraenti era incapace di agire, oppure se è stato concluso per errore o per effetto di dolo o violenza.
La sentenza che annulla il contratto ha effetto retroattivo tra le parti.
Pertanto, se colui che ha promosso l’azione di annullamento ha già eseguito la sua prestazione, può chiedere la ripetizione (cioè la restituzione) dell’indebito.
Questa possibilità solleva però un interrogativo: che cosa accade se la cosa oggetto del contratto è passata a un terzo?
Immaginiamo di aver ottenuto l’annullamento di un contratto con il quale, a causa di un raggiro, abbiamo venduto a poco prezzo un bene di maggior valore. Se questo bene fosse già stato rivenduto, in che modo potremmo ottenerne la restituzione?
Troviamo la risposta nell’art. 1445 c.c.: L’annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento.
Ciò vuol dire che il terzo può essere obbligato a restituire la cosa ricevuta soltanto:
- se l’annullamento è dipeso da incapacità legale di uno dei contraenti;
- se ha ricevuto la cosa a titolo gratuito;
- se era in mala fede;
- se il suo acquisto è stato posteriore alla trascrizione della domanda giudiziale di annullamento (in questo caso, infatti, il terzo avrebbe potuto sapere che sul bene esisteva una controversia e avrebbe potuto regolarsi di conseguenza).
Il contratto può essere risolto per una delle seguenti cause:
- per impossibilità sopravvenuta di eseguire la prestazione;
- per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione causata da avvenimenti straordinari e imprevedibili;
- per inadempimento di uno dei contraenti, purché non sia di scarsa importanza.
Gli effetti della risoluzione per inadempimento sono previsti dall’art. 1458 c.c. e si possono così sintetizzare:
- la risoluzione ha effetto retroattivotra le parti. Ciò comporta, sul piano pratico, che la parte che ha eseguito la prestazione può pretendere la restituzione di quanto ha pagato;
- la risoluzione non ha effetto nei confronti dei terziche abbiano acquistato diritti sulla cosa. Ciò vuol dire che il contraente che ha ottenuto la risoluzione del contratto, non potrà ottenere anche la restituzione della cosa se questa è già stata alienata a un terzo. Perché? Perché l’ordinamento, al fine di rendere certi gli scambi e favorire la circolazione della ricchezza, tutela la posizione del terzo. La risoluzione, in questi casi, consente solo di chiedere, alla parte inadempiente, il risarcimento dei danni.
Un’eccezione è prevista per il caso in cui il terzo abbia acquistato il bene dopo la trascrizione della domanda giudiziale con la quale si chiede la risoluzione del contratto.
In questo caso egli potrà essere obbligato a restituire la cosa perché, se fosse stato più accorto, avrebbe potuto sapere (essendo stata trascritta la domanda giudiziale) che su quel bene era aperta una controversia e avrebbe potuto comportarsi di conseguenza.