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 Forum E – Unità E9

Tipologie particolari di contratto

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Quali clausole sono vessatorie?

Nei contratti per adesione, detti anche in serie, non è improbabile che il proponente provi a inserire clausole particolarmente vantaggiose per sé e particolarmente svantaggiose per il cliente.

Clausole vessatorie sono dette quelle che provocano un significativo squilibrio delle prestazioni a vantaggio del professionista che le ha predisposte e in danno del consumatore.

Secondo quanto dispone il d.lg. n. 206 del 2005 denominato Codice del consumo:

  • per consumatore deve intendersi qualsiasi persona fisica che non agisca in qualità di imprenditore (si ritiene, infatti, che l’imprenditore abbia una forza contrattuale sufficiente a tutelare il proprio interesse);
  • per professionista si intende l’imprenditore che predispone le clausole del contratto.

L’art. 33 del Codice del consumo fornisce un dettagliato elenco delle clausole che debbono ritenersi vessatorie se non è provato il contrario. Tra le tante segnaliamo le clausole che hanno per oggetto o per effetto di:

  • limitare i diritti o le azioni del consumatore in caso di inadempimento da parte di chi ha predisposto il contratto;
  • imporre al consumatore, in caso di suo inadempimento o ritardo, il pagamento di un risarcimento manifestamente eccessivo;
  • stabilire, per il consumatore, un termine eccessivamente anticipato, rispetto alla scadenza del contratto, per comunicare la disdetta.

 

Le clausole cessano di essere considerate vessatorie se sono state oggetto di trattativa individuale. E in caso di contestazione spetta al professionista provare che tali clausole sono state oggetto di specifica trattativa con il consumatore.

Sono nulle, anche se sono state oggetto di trattativa, le clausole che abbiano per oggetto o per effetto di:

  • escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o di danno alla persona del consumatore, causata da un fatto o da un’omissione del professionista;
  • escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista in caso di inadempimento o di inesatto adempimento da parte di questi.

 

Le associazioni dei consumatori, dei professionisti e le Camere di commercio possono chiamare in giudizio chi utilizza contratti contenenti clausole vessatorie e chiedere al giudice che ne inibisca l’uso.

Quali sono i contratti a titolo gratuito?

Generalmente i contratti sono a titolo oneroso perché ciascuna parte deve sopportare un onere, cioè un sacrificio, se vuole avere un corrispondente vantaggio.

Nella compravendita, per esempio, il venditore sopporta l’onere di privarsi del bene oggetto del contratto e il compratore sopporta l’onere di privarsi del denaro che paga come corrispettivo.

Il medesimo schema (onere contro onere) è presente in quasi tutti i contratti, da quello di trasporto, a quello di lavoro, a quello di appalto e così via.

Tuttavia il nostro ordinamento prevede anche l’esistenza di contratti a titolo gratuito.

A titolo gratuito sono i contratti nei quali una parte consegue un vantaggio patrimoniale senza subire un corrispondente sacrificio.

Sono tali la donazione (artt. 769-809 c.c.) e il comodato (artt. 1803-1812 c.c.).

Possono essere a titolo gratuito, inoltre, il trasporto (art. 1681 c.c.), il mutuo (art. 1815 c.c.), il mandato (art. 1709 c.c.), il deposito (art. 1767 c.c.).

Quali effetti produce la simulazione nei contratti?

Simulare, nel linguaggio corrente, significa fingere.

In tema di contratti si ha simulazionequando le parti mostrano di concludere un contratto mentre in realtà non lo vogliono affatto (in tal caso si parla di simulazione assoluta) oppure sono d’accordo nel volerne uno diverso (in tal caso si parla di simulazione relativa).

Il contratto simulato è un contratto solo apparente che serve a celare la reale volontà delle parti. Questa viene espressa in un altro contratto (detto dissimulato) oppure in una controdichiarazione che esse riservatamente si scambiano.

Qual è  l’utilità di questo complesso meccanismo? Perché le parti concludono due contratti, di cui uno è finto e l’altro è vero?
Le ragioni possono essere di diversa natura ma, il più delle volte, si tratta di espedienti per sottrarsi a divieti di legge o a obblighi fiscali. Vediamo alcune delle ipotesi più comuni.

Immaginiamo di commissionare a un cantiere nautico la costruzione di una barca a vela a due alberi e di voler pagare un’imposta ridotta sull’acquisto. Possiamo concludere un contratto simulato (cioè finto) nel quale risulti un prezzo di vendita inferiore a quello reale.
Il costruttore, però, potrebbe non essere disponibile alla simulazione perché, una volta sottoscritto il contratto simulato, noi potremmo furbescamente pretendere di pagare il prezzo in esso indicato. Si può rassicurare il costruttore sottoscrivendo un altro contratto (quello vero o dissimulato) destinato a rimanere riservato. In questo comparirà il prezzo di vendita realmente concordato.

  Immaginiamo di voler pagare meno imposte sul reddito prodotto; possiamo simulare, con l’aiuto di una società compiacente, l’accensione di un mutuo a nostro favore. In tal modo il nostro reddito risulterà diminuito di una somma corrispondente alle rate del mutuo mentre, in un documento riservato, la società concedente dichiara che in realtà non ha concesso alcun mutuo e non le dobbiamo nulla.

Immaginiamo di essere assillati dai creditori che minacciano azioni esecutive. Possiamo sottrarre i nostri beni alle loro pretese vendendoli simulatamente a una società di comodo.

Regolando la simulazione il codice prende in considerazione gli effetti che essa può produrre:
– tra le parti;
– nei confronti dei creditori;
– nei confronti dei terzi.

Gli effetti della simulazione tra le parti
Immaginiamo di aver venduto un bene utilizzando due contratti: uno simulato, in cui risulta un prezzo di vendita inferiore e uno dissimulato, cioè vero, in cui risulta il prezzo di vendita reale.
Il compratore, avvalendosi del contratto simulato, pretende di pagarci il minor prezzo e noi lo chiamiamo in giudizio. Il giudice dovrà ritenere valido il contratto simulato o quello dissimulato?

Il giudice condannerà il compratore a pagare il prezzo realmente concordato.
Dispone, infatti, l’art. 1414 c.c.:
Il contratto simulato non produce effetto tra le parti.
Se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato (…).”

La simulazione operata in frode ai creditori
Immaginiamo di essere imprenditori e di trovarci in difficoltà economiche. Per salvare i nostri beni dalle pretese dei creditori li vendiamo simulatamente a un amico. I creditori, scoperta l’esistenza di una controdichiarazione nella quale si afferma che quei beni sono ancora nostri, ci chiamano in giudizio. Il giudice riterrà valido il contratto simulato che noi esibiremo oppure darà valore alla controdichiarazione esibita dai nostri creditori?

Per quanto dispone l’art. 1414 c.c., il contratto simulato non ha effetto tra le parti. Ciò vuol dire che i nostri beni non sono mai realmente usciti dal nostro patrimonio. E poiché ci appartengono ancora possono essere sottoposti all’azione esecutiva dei nostri creditori.

Anche il fisco, quando la simulazione è servita a evadere le imposte, può agire in giudizio provando l’esistenza di un contratto dissimulato (cioè di quello vero).

Gli effetti della simulazione rispetto ai terzi
Supponiamo di aver venduto, con contratto simulato, alcuni beni a un amico per sottrarli ai creditori. Costui però, venendo meno alla fiducia che riponevamo in lui, li vende a un terzo. Possiamo chiedere al giudice, fornendo la prova della simulazione, di annullare la vendita fatta al terzo perché il nostro amico non era proprietario dei beni?

Ci disillude il primo comma dell’art. 1415 c.c.:
La simulazione non può essere opposta (…) ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente (…).”

Perché il giudice accolga la nostra istanza dovremo dimostrare (prova difficilissima) che il terzo ha acquistato i beni in mala fede.

Come  si prova la simulazione
Immaginiamo di essere creditori di un imprenditore il quale ha alienato tutti i suoi beni. Abbiamo il fondato sospetto che si tratti di vendite simulate ma ci è praticamente impossibile trovare una prova documentale (la controdichiarazione) da esibire in giudizio. Che fare?

L’art. 1417 c.c. dispone che:
La prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi (…).”

Potremo, dunque, avvalerci di prove testimoniali. Probabilmente non sarà facile trovare dei testimoni, ma sarà sempre meno difficile che venire in possesso di prove documentali.