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 AggressivitĂ  e violenza non sono sinonimi

Spesso si confonde violenza con aggressività, i due terrnini però non sono affatto intercambiabili ma indicano due diversi momenti e condizioni. Si può essere aggressivi e violenti, ma si può anche essere soltanto aggressivi e non violenti. L’individuo aggressivo e non violento è una persona che controlla i propri impulsi e ricorre alla violenza solo se costretto, in casi estremi.

La violenza può essere definita come un atto contro l’altro con l’intenzione di provocare una sofferenza e/o una ferita. L’aggressività, invece, è un impulso spontaneo, una manifestazione della forza vitale. Può trasformarsi in violenza oppure in grinta. C’è un’aggressività sana, creativa, appassionata, che consente di fare le cose, di fronteggiare le situazioni, di sentirsi vivi e partecipi. C’è anche una collera etica, giustificata dagli eventi e necessaria di fronte alle ingiustizie. Ci si può arrabbiare perché si odia ma anche perché si ama, per ostilità ma anche per amicizia. È giusto e sano arrabbiarsi in determinati frangenti ed è anche giusto e sano non reprimere ogni moto aggressivo perché, così facendo, si rischia di ignorare segnali che possono essere importanti per la propria difesa e, qualche volta, di sviluppare un «falso Sé», ossia un’immagine idealizzata di se stesso come persona che non si arrabbia mai: immagine che finisce per bloccare quelle che invece sono delle reazioni normali, prevedibili, spesso risolutive.

Esiste una forma di aggressività, che potremmo definire adattiva, ossia tale da contribuire alla stabilità fisica e psichica di una persona. È un tipo di aggressività funzionale alI’affermazione di sé e alla tutela della propria identità. Serve per difendersi ma anche per attaccare quando è necessario. Consente di segnalare all’altro che il suo comportamento non è gradito o che non si è disposti a tollerarlo. È indispensabile in taluni contesti, per ottenere rispetto, per comunicare che determinati limiti non devono essere superati. Nelle trattative faccia-a-faccia, per esempio, chi lascia trasparire un po’ di collera può essere avvantaggiato rispetto a chi non esprime alcuna emozione oppure mostra di avere paura. Il non possedere alcun impulso aggressivo o non avere il coraggio di manifestare la propria collera quando essa è giustificata pone il soggetto nella condizione di diventare una vittima o di non essere preso in considerazione, perché, a meno di vivere in una condizione ideale, è irrealistico pensare che nessuno approfitti dell’altrui cedevolezza. Si rischia di essere fraintesi e ignorati. Un po’ di sana grinta serve invece per non diventare facili bersagli, per non lasciare che altri calpestino i nostri diritti.

Per evitare che crescano troppo arrendevoli o timorosi, ma anche troppo aggressivi è bene consentire ai bambini di esprimere il dissenso, di parlare della rabbia e dell’odio: sono sentimenti reali e come tali vanno riconosciuti.

Riconoscere e parlare dei sentimenti e delle emozioni è il primo passo per potere poi controllarli. Bisogna anche capire che cosa esprimono veramente. Un bambino può urlare con tutto il fiato che ha in gola il suo «odio» alla mamma non perché vuole il suo male ma perché ha paura di non essere amato da lei. Può ad esempio temere che se disobbedisce o non riesce a essere all’altezza delle aspettative, la mamma non gli vuole più bene, resta delusa, preferisce un altro bambino […].

Riconoscere l’aggressività come una dimensione normale della psiche, dotata anche di potenzialità positive, non significa legittimare la distruttività e la violenza. Aggressività e distruttività non sono sinonimi. L’una non porta necessariamente alI’altra. La distruttività costituisce uno degli esiti possibili dell’aggressività. Ma anche in questo caso si può fare qualcosa per deviarla. Da sempre le società, per evitare l’autodistruzione, hanno messo in atto strategie pacificatrici (che vanno dai riti collettivi alle competizioni sportive alle espressioni artistiche), e se molti «selvaggi» apparvero buoni e saggi agli occhi dei primi esploratori occidentali tanto da considerarli ingenui come bambini, ciò dipese dal fatto che quelle popolazioni allora sconosciute agli occidentali avevano in realtà i loro sistemi culturali per tenere la distruttività sotto controllo e perciò erano meno «selvagge» di quanto i primi esploratori pensassero.

Tratto da: A. Oliverio Ferraris Piccoli bulli crescono. BUR 2006