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 Come alleggerire i momenti di depressione

Quando siamo profondamente depressi c’è una sola cosa da fare: ricorrere a uno psicoterapeuta. Vi sono, tuttavia, alcune misure che permettono di avere un alleggerimento di questo penoso stato emotivo. Secondo Aaron T. Beck, psichiatra all’Università della Pennsylvania (USA), più che i farmaci, la cura per la depressione sono i pensieri: è questo il fondamento della terapia cognitiva che egli ha ideato. Infatti, l’individuo incline alla depressione ha certi «presupposti errati» o «pensieri ostili» dei quali non è consapevole, ma che sono profondamente radicati in lui e che vengono risvegliati nei momenti di stress; quindi, bisogna apprendere a dominare quei pensieri con l’aiuto di «pensieri amici». «Il terapista aiuta il paziente a riconoscere i suoi pensieri errati – scrive Beck – e a considerare le sue esperienze più realisticamente. L’obiettivo non è quello di incoraggiare un ottimismo ingiustificato, ma di far sì che il paziente valuti gli avvenimenti della sua vita in modo più ragionevole».

La persona depressa non si stima, ce l’ha con se stessa fino a distorcere la realtà: è l’uomo apprezzato da tutti ma che è convinto di essere un fallito, la donna stupenda ma che si vede mostruosa. Questi presupposti errati influenzano l’umore e la persona viene a chiudersi in un circolo vizioso sempre più nero. Riuscendo a guidare il depresso verso una visione più realistica di sé, anche gli altri sintomi del male diminuiranno. Tra l’altro, Beck consiglia di scrivere i pensieri ostili che ci fanno sentire depressi («Non lasciate li ronzare dentro la testa: inchiodateli sulla carta!»), di leggerli e rileggerli («Capirete che vi state prendendo in giro»), e di trovare dei pensieri più realistici che li contraddicano.

Ecco i tipi più comuni di pensiero ostile.

L’inclinazione a incolparci oltremisura

In questo caso, siamo convinti che le contrarietà dipendano solo dai nostri limiti, sen­za considerare i fattori esterni. Per esempio, un voto basso in un’interrogazione viene spiegato sulla base della nostra completa stupidità. Questo modo di pensare è dovuto a un paralizzante senso di colpa, ed è caratterizzato dal fatto che non prendiamo in esame spiegazioni alternative, più credibili e·probabili. In casi del genere, è necessario ricordare quanto pesino tali autocritiche e, in seguito, valutiamole in modo più obiettivo. Immaginiamo che un altro risponda all’interrogazione come abbiamo fatto noi: lo giudicheremmo tanto stupido?

L’uso di un filtro selettivo

La nostra attenzione viene concentrata su un piccolo dettaglio negativo, e l’intera esperienza viene quindi giudicata negativamente; è come se usassimo un filtro speciale che seleziona e non lascia passare quanto ci è favorevole. Per il voto basso nell’interrogazione, non ascoltiamo i compagni che sostengono che, in realtà, le domande erano troppo difficili. Ne consegue che ci valuteremo solo in base agli errori, alle debolezze, alle perdite: le uniche cose che valgono sono quelle negative. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Se annotassimo obiettivamente in un diario gli eventi della nostra vita, non riusciremmo a individuare successi che avevamo trascurato?

La tendenza a fare previsioni catastrofiche

Si manifesta col sottovalutare le capacità e i successi e con il gonfiare le dimensioni dei problemi, dei compiti e degli eventi sfavorevoli; è come se usassimo un binocolo nel verso giusto per vedere ingranditi gli aspetti negativi, e alla rovescio per vedere rimpiccioliti quelli positivi. Torniamo al voto basso nell’interrogazione: in questo caso, avremo un motivo per aspettarci la bocciatura. Pensiamo sempre al peggio, come se ci aspettassimo solo quello. Cerchiamo, invece, di calcolare le probabilità reali che si avveri questa nostra aspettativa; e, diciamo la verità, rendiamoci conto del fatto che, nella maggior parte dei casi, il peggio non è avvenuto!

La tendenza a generalizzare oltremisura

Con questo tipo di pensiero ostile traiamo, da un singolo avvenimento, conclusioni generali sulle nostre capacità, le nostre prestazioni o il nostro valore. Dopo quell’ormai famosa interrogazione, tenderemo a dirci: «Mi è andata male una volta e mi andrà male sempre». Anche se comprendiamo che la nostra è un’idea sbagliata, continueremo a comportarci come se fosse una verità assoluta. Eppure, come osservava il filosofo Bertrand Russell, «il grado di certezza col quale manteniamo una convinzione è inversamente proporzionale alla verità di quella convinzione». È quindi necessario renderci conto della nostra logica errata e scoprire per quale motivo decidiamo che ci debba andare sempre male.

II non ammettere alternative

Non esistono mezze misure, ma solo alternative estreme del tipo «O bianco o nero», «O bello o brutto», «Od ho successo in tutto o sono un fallimento completo». Con questo modo di pensare ci denigriamo da soli, continuamente; qualunque cosa facciamo, non corrisponderà mai alle nostre aspettative. Bisogna invece pensare che tutti gli eventi possono essere valutati secondo una graduatoria: per esempio, abbiamo avuto fallimenti meno «completi» di altri? Se alcuni fallimenti sono stati parziali, abbiamo avuto pure dei successi parziali? Anche se in determinati campi abbiamo fallito, siamo certi di non poter migliorare e avere maggiore successo?

Come si può vedere dalle conclusioni di questi cinque punti, il nocciolo della terapia cognitiva consiste nel correggere i pensieri negativi che ci avvelenano la vita e nell’imparare ad avere più fiducia in noi. Infatti, David Burns, un collaboratore di Beck, consiglia alcuni «pensieri amici», più realistici:

Dobbiamo pensare nel modo giusto, positivo. Le emozioni non nascono dal nulla, ma sono un riflesso dei nostri pensieri: se pensiamo cose prive di senso, anche le emozioni saranno prive di senso.

Dobbiamo uscire dal circolo vizioso dei pensieri ostili. Anche quando la depressione è il risultato di un avvenimento negativo e reale, gran parte della nostra sofferenza deriva da pensieri ostili ed errati.

Dobbiamo apprezzarci di più. Il nostro umore dipende dall’opinione che abbiamo di noi stessi, indipendentemente dai successi ottenuti nella vita o dalla stima dimostrataci dagli altri.

Una volta di più, quindi, dobbiamo avere maggiore fiducia in noi. «Possiamo paragonare la stima di noi alla decisione di trattare la nostra persona come un caro amico – afferma Burns. – Se lo ospitassimo a casa nostra, lo umilieremmo? Gireremmo il coltello nella piaga dei suoi difetti e fallimenti? No, certamente, ma faremmo di tutto perché possa sentirsi a suo agio. E allora, perché non trattiamo così anche noi? Facciamolo sempre!».