, , ,

Legenda

Novità di primaria importanza che modificano il libro di testo
Aggiornamenti importanti che integrano il libro di testo
Dati, notizie e casi interessanti per fare lezione con l'attualità

  Approfondimento Brexit: tutte le tappe del recesso del Regno Unito dall’Ue

Il 31 gennaio 2020 il Regno unito ha ufficialmente lasciato l’Unione europea. Ma come si è arrivati a questa conclusione? Ripercorriamo le tappe dei lunghi e travagliati negoziati tra Regno Unito e Unione europea partendo dal referendum del 2016 sulla Brexit fino a oggi.

Il referendum sulla Brexit del 23 giugno 2016 ha visto prevalere i sostenitori del leave (con il 51,9% dei voti) su quelli del remain.
L’esito del referendum ha dato inizio alla procedura di recesso volontario e unilaterale di uno Stato membro dall’Unione, prevista dall’art. 50 TUE.
Che cosa prevede l’art. 50?
In breve, lo Stato che intende recedere deve notificare l’intenzione al Consiglio europeo. A questo punto il Consiglio europeo è tenuto a fornire orientamenti per la conclusione di un accordo che stabilisca le modalità di recesso.
Tale accordo è concluso a nome dell’UE dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo. Ne consegue che i Trattati cessano di essere applicabili al paese interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo, o due anni dopo la notifica del recesso qualora l’accordo non venga raggiunto.

Torniamo ora al 2016.
All’indomani del referendum, il 24 giugno, il primo ministro inglese David Cameron annuncia le sue dimissioni. Cameron, conservatore, era infatti un sostenitore della permanenza nell’UE e la sconfitta lo travolge procurandogli gravi critiche per aver portato il Paese al referendum.
Il 13 luglio, in un quadro politico estremamente teso, è Theresa May a diventare prima ministra. May, a sua volta conservatrice, è di posizione euroscettica ma aveva votato contro la Brexit. Suo Ministro degli esteri è Boris Johnson, destinato ad avere un ruolo determinante nella partita.

Così, il 29 marzo 2017 Theresa May attiva l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Questa è quindi la data che dà inizio all’iter di uscita dall’Ue. L’uscita definitiva è prevista quindi per il 29 marzo del 2019.

Un primo accordo tra il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e la premier britannica Theresa May viene raggiunto l’8 dicembre 2017 (sui tre dossier principali: il conto di uscita, i diritti dei cittadini e le sorti della frontiera tra l’Irlanda e la provincia britannica dell’Irlanda del Nord). Invero, non era ancora chiaro quale sarebbe stato il piano riguardante la relazione commerciale successivo all’uscita.

Il 22 novembre, però, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk annuncia che l’Ue e il Regno Unito hanno concluso un progetto di accordo sui loro rapporti post Brexit, sotto forma di “dichiarazione politica“. L’accordo di uscita e la “dichiarazione politica” vengono approvati il 25 novembre in un summit Ue. L’accordo regolamenta in particolare la questione del conto di uscita che Londra dovrà pagare all’Ue, stimato fra 40 e 50 miliardi di euro.

A questo punto Theresa May invita i deputati britannici a sostenere l’accordo di divorzio in un voto fissato per l’11 dicembre, ma il 10 dicembre annuncia il rinvio del voto al 15 gennaio 2019. E il voto si rivelerà contrario.
A questa seguiranno altre due bocciature delle proposte di May, di cui l’ultima 29 marzo 2019.
Lo scenario del “no deal” (uscita senza accordo) è sempre più probabile. Proprio per evitare l’uscita della Gran Bretagna senza alcun accordo, il 4 aprile viene adottata una legge che obbliga il governo May a evitare il no deal e a chiedere un’ulteriore proroga della Brexit all’Ue.

L’11 aprile, i 27 Capi di Stato e di governo trovano a Bruxelles una nuova intesa: altri sei mesi per trovare un accordo per l’uscita dall’Ue con termine ultimo il 31 ottobre.
Le estenuanti e infruttuose trattative logorano la leadership di Theresa May, che il 7 aprile 2019 si dimette con un discorso fermo e commosso.

A prendere il suo posto è Boris Johnson, eletto il 23 luglio 2019.
Il neo primo ministro è un convinto sostenitore della hard Brexit, cioè l’ipotesi più drastica: abbandonare l’Ue e il mercato unico, interrompendo la libera circolazione dei cittadini britannici nei paesi dell’Unione e riservandosi di decidere chi far entrare nei propri confini.
Johnson annuncia subito “un nuovo e migliore accordo” con l’Ue e assicura che il Regno Unito uscirà entro il 31 ottobre.
A fine agosto Johnson compie un gesto azzardato e clamoroso: annuncia la chiusura del Parlamento inglese fino al 14 ottobre per ridurre il tempo a disposizione dei deputati contrari al no deal che intendono neutralizzare i piani del governo sulla hard Brexit con una legge.
La decisione di Johnson, giudicata poi illegale, scatena l’ira dei parlamentari britannici.

Il 17 ottobre l’Unione europea e Johnson comunicano di aver raggiunto una nuova intesa, che viene bocciata, però, dal Parlamento britannico. Johnson è quindi costretto a chiedere all’Unione un secondo rinvio per la Brexit al 31 gennaio 2020, necessario per evitare il verificarsi di uno scenario di no deal, cioè di uscita senza intesa.
Il 28 ottobre 2019 il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk annuncia il sì europeo al rinvio, che però, è un rinvio “flessibile” perché permette al Regno Unito di lasciare l’Ue in anticipo se riuscisse a trovare un accordo.

Nel dicembre 2019 Boris Johnson incassa una sonora vittoria alle elezioni politiche, che rafforza di molto la sua leadership e la sua promessa agli elettori: portare il Paese fuori dall’Unione entro il 31 gennaio 2020.
Il 22 gennaio il Parlamento britannico chiude l’iter per la ratifica della legge attuativa dell’accordo sull’uscita dall’Unione. La Camera dei lord ha rinunciato agli emendamenti sgraditi al governo Johnson.

Perché la legge entri in vigore è necessario il Royal Assent (la firma della Regina) e la ratifica del Parlamento Europeo. In pochi giorni vengono formalizzati sia l’uno che l’altra.
Il 31 gennaio il Regno unito è uscito ufficialmente dall’Ue, che scende così a 27 Stati membri. Si entra ora in un periodo transitorio che durerà fino al 31 dicembre 2020.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Monti-Faenza, Res publica 4ed, pp. 321-322
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 2, pp. 372-373
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 3, pp. 411-412

 

Scarica il pdf dell’articolo.

 

Tag: , ,