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  L’intervento di Mario Draghi sul “Financial Times”, in cinque punti

“Una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche”. Non si rifugia dietro un ottimismo di facciata, Mario Draghi, nell’intervento sul Financial Times del 25 marzo scorso. Né ricorre a quei tecnicismi del linguaggio finanziario che spesso rendono incomprensibili i referti degli economisti.  Lo scenario è cupo, e lo dice molto chiaramente. Ma Draghi propone una strategia per gestire la crisi e consentire al sistema di continuare a respirare e sopravvivere.
Proveremo a riassumerla in 5 punti. Ma, prima di iniziare, qualche parola per mettere a fuoco il personaggio che sta parlando.

Mario Draghi, Presidente della Banca centrale europea tra il 2011 e il 2019, è tutt’ora una delle voci più influenti del mondo economico-finanziario. Mentre era al timone della Bce, Draghi ha adottato posizioni coraggiose per reggere l’urto della crisi che minacciava di travolgere l’euro. Si è guadagnato sul campo la fama di banchiere dotato di audacia e di visione. E anche di un’oratoria stringata e solenne. Come quella del celebre discorso pronunciato nel 2012, a Londra, ricordato come il discorso del whatever it takes:

Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la Bce è pronta a fare tutto il necessario (“whatever it takes”) per preservare l’euro. E credetemi: sarà abbastanza.

Vediamo ora più da vicino qual è la strategia di Draghi per fronteggiare le ricadute economiche della pandemia. Proveremo a esporla in 5 passaggi.

1. Come in tempo di guerra”: la leva del debito pubblico contro la depressione

Draghi parte da una constatazione che risulta intuitiva anche per chi non è esperto di finanza. Il lock down, cioè la chiusura generalizzata delle attività allo scopo di contenere il contagio, porterà a uno scenario di recessione (in parole povere, una diminuzione del Pil). E questo, purtroppo, è inevitabile. Quello che invece si può, anzi si deve evitare, è che la recessione si trasformi in depressione (vale a dire, un crollo prolungato della produzione in cui la disoccupazione si mantiene a livelli molto alti). E i Governi hanno a disposizione un’unica leva per scongiurare il rischio di depressione: il debito pubblico. È una leva d’emergenza, non a caso, ricorda Draghi, storicamente i governi l’hanno utilizzata in tempo di guerra.
E dunque, quale dev’essere la priorità dei governi nel momento in cui mettono mano alla leva del debito pubblico?

2. La priorità: proteggere l’occupazione e la capacità produttiva

Certamente bisogna fornire un reddito a chi rimane senza lavoro, ma ancor più, dice Draghi, bisogna intervenire a monte e impedire la perdita di posti di lavoro. Ciò è possibile solo proteggendo l’operatività delle imprese.
Il sistema produttivo si trova a fronteggiare una severa perdita – se non un azzeramento – degli introiti, e un’azienda in debito d’ossigeno rischia seriamente di dover licenziare i lavoratori e, nel medio periodo, di avviarsi verso il fallimento.
Per evitare una serie di fallimenti a catena, con effetti disastrosi per l’economia, le famiglie e le persone, bisogna aiutare le imprese a sopravvivere coprendo i loro costi operativi durante la crisi e proteggendo così la capacità produttiva e l’occupazione. E in che modo si può garantire tutto ciò?
Immettendo liquidità nel sistema, risponde Draghi, e incanalandola verso le aziende in difficoltà. Vediamo meglio come.

3. Il ruolo delle banche e la garanzia dello Stato

Se lo Stato inizia a pompare liquidità occorre – per restare nella metafora idraulica – una rete di tubature che trasporti quei liquidi verso tutte le ramificazioni del sistema economico, raggiungendo in modo capillare ogni sua propaggine. Questo sistema di condutture esiste, ed è il sistema bancario.
Certo, per le grandi imprese come le multinazionali si potrà agire anche direttamente sul mercato obbligazionario. Ma in generale Draghi affida alle banche il ruolo cruciale in questa partita: le banche sono in grado di raggiungere anche le piccole e medie imprese, e possono creare liquidità immediatamente.
Nessun intralcio burocratico deve frapporsi, ammonisce Draghi.
In particolare, le banche devono prestare alle imprese a costo zero, erogare liquidità a titolo gratuito. E devono farlo non solo a favore delle imprese che potranno restituire quelle somme, ma anche a quelle imprese che non sono in grado di restituire nell’immediato. È chiaro che, a copertura di tutto questo, deve esserci lo Stato con il bilancio pubblico. È lo Stato che deve fornire garanzie su tutti gli scoperti e i prestiti.

4. Due strade, un unico esito: la trasformazione dei debiti privati in debito pubblico

Abbiamo appena visto che lo Stato deve farsi garante di scoperti e prestiti. A questo riguardo, Draghi delinea due diverse modalità.

  • La prima:  i Governi sovvenzionano direttamente l’azienda per le spese che ha sostenuto.
  • La seconda: non si impedisce che l’impresa fallisca se non è in grado di rientrare, ma lo Stato garantisce i suoi creditori onorando i debiti, e salvaguardando così la catena dei prestiti.

Quale delle due preferire?

Se si riuscirà a contenere il rischio morale, la prima soluzione è quella migliore per l’economia. La seconda appare meno onerosa per i conti dello Stato.

Vediamo di capire meglio.

Secondo Draghi, la prima soluzione è quella migliore per l’economia se si riuscirà a contenere il rischio morale (moral hazard). Che cos’è il moral hazard? In economia, e specialmente nel settore assicurativo, si usa questa espressione per indicare un comportamento opportunistico che si ha quando un soggetto, sapendo che non subirà le conseguenze negative di un rischio, si comporta in modo meno diligente di quanto farebbe se invece dovesse sopportarne il peso. In questo caso possiamo immaginare un’azienda che adotta comportamenti negligenti o eccessivamente rischiosi sapendo che, tanto, sarà lo Stato a pagare.
La seconda soluzione, ci dice Draghi, (cioè quella che prevede il fallimento dell’azienda e il pagamento dei debitori da parte dello Stato) appare quella meno onerosa per i conti dello Stato, perché evidentemente non tutte le imprese falliranno. L’intervento dello Stato sarà circoscritto ai soli casi di fallimento, e non alla generalità delle imprese.
In altre parole:

  • nella prima ipotesi il governo copre i costi di tutte le imprese, anche di quelle sane in crisi di liquidità che dopo la crisi ripartiranno, e hanno solo bisogno di continuare a respirare durante il blocco (una sorta di helicopter money, alla lettera “lanciare soldi da un elicottero”, cioè una pioggia di finanziamenti per tutto il sistema produttivo);
  • nella seconda ipotesi il governo interviene solo per pagare i debiti di quelle imprese che falliscono, evitando così che i loro creditori restino scoperti e rischino, a loro volta, di fallire.

Facciamo un esempio abbastanza brutale, ma forse efficace: è un po’ come se, di fronte a un’epidemia, il governo avesse davanti due strade: o investire tutto nei vaccini (e in tal caso dovrà acquistare le dosi per tutta la popolazione), o investire tutto nella terapia (e in tal caso dovrà pagare le medicine solo per le persone che si ammalano). La prima ipotesi è la migliore per la popolazione, perché tutti saranno tenuti indenni dal rischio. La seconda è quella meno costosa per lo Stato, perché spenderà solo per quelli che effettivamente si ammalano. Con la differenza – che vale la pena sottolineare – che mentre nel nostro esempio quelli che si ammalano vengono curati e possono guarire, nello scenario economico l’impresa che fallisce è morta e non torna più a operare.
Entrambe le soluzioni hanno comunque un esito comune, che è poi il cuore del discorso. E cioè la trasformazione dei debiti privati in debito pubblico: “il governo sarà costretto ad assorbire una larga quota della perdita di reddito causato dalla chiusura delle attività economiche, se si vorrà proteggere occupazione e capacità produttiva”. 

5. Una sfida all’ortodossia dei conti per affrontare circostanze inedite

L’inevitabile conseguenza della strategia sarà l’aumento significativo del debito pubblico. Su questo Draghi è chiaro: “livelli molto più alti di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e dovranno essere accompagnati dalla cancellazione del debito privato“.
Questa frase merita di essere sottolineata in tutta la sua portata. Perché rappresenta una sfida per i custodi dell’ortodossia economica, per i quali l’aumento del debito pubblico è assolutamente da evitare.
Ma l’alternativa, avverte Draghi, sarebbe peggiore: la distruzione della capacità produttiva e con essa, di conseguenza, della base fiscale.

Dunque, le regole che valgono – per così dire – in tempo di pace devono cedere di fronte a uno scenario di guerra come quello della pandemia. Uno scenario in cui l’aumento del debito pubblico non dipende da una gestione negligente e spendacciona che spesso, e con buone ragioni, viene rimproverata agli ‘Stati cicala’. Lo scopo è salvare dalla crisi vittime incolpevoli. Per questo occorre “un cambio di mentalità“.

Davanti a circostanze imprevedibili, per affrontare questa crisi occorre un cambio di mentalità, come accade in tempo di guerra. Gli sconvolgimenti che stiamo affrontando non sono ciclici. La perdita di reddito non è colpa di coloro che ne sono vittima. E il costo dell’esitazione potrebbe essere fatale. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni Venti ci sia di avvertimento.

 

Francesca Faenza

Immagine: ©️ Presidenza della Repubblica

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 3, pp. 273 ss.
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 2, pp. 234 ss.
  • Monti-Faenza, Res publica 4ed, pp. 176 ss.

 

 

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