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  Come calcolare l’assegno divorzile? La Corte di Cassazione ribadisce il nuovo orientamento

Dallo scioglimento del matrimonio conseguono diversi effetti che possono avere natura “personale” e patrimoniale.
L’assegno divorzile è uno dei principali effetti a carattere patrimoniale ed è strettamente connesso alla responsabilità post coniugale.
La disciplina dell’assegno divorzile è contenuta nell’art. 5 c. 6 della l. n. 898 del 1970 (legge che ha introdotto il divorzio nell’Ordinamento italiano), modificato nel 1987. L’articolo stabilisce che il giudice possa disporre l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare periodicamente, a favore dell’altro, un assegno.
Ma come viene calcolato il suo ammontare?

L’articolo 5 stabilisce che il tribunale, nel determinare l’assegno, deve tenere conto:

  • delle condizioni dei coniugi,
  • delle ragioni della decisione,
  • del contributo personale ed economico dato da ciascuna coniuge alla condizione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o dei quello comune,
  • dal reddito di entrambi,
  • dalla durata del matrimonio.

La norma infine chiarisce che l’assegno è dovuto quando uno dei coniugi non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
Chiariti gli elementi che vanno tenuti in considerazione nella determinazione l’assegno, una domanda sorge spontanea: cosa intende la norma con mezzi adeguati? La disposizione è evidentemente molto ampia perché i mezzi adeguati potrebbero corrispondere alla semplice autosufficienza economica ma anche al benessere di cui aveva goduto la coppia in costanza di matrimonio.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel 1990, sposarono questo secondo significato affermando che il parametro da tenere in considerazione per misurare l’inadeguatezza dei mezzi fosse il tenore di vita coniugale, cioè il tenore di vita di cui la coppia aveva goduto durante il matrimonio e che avrebbe potuto godere se il matrimonio fosse continuato.
Non era quindi necessario che il coniuge richiedente l’assegno si trovasse in stato di bisogno: poteva anche essere economicamente autosufficiente. Ciò che rilevava era l’apprezzabile deterioramento, a causa del divorzio, delle sue condizioni economiche che dovevano essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio. Nella stessa sentenza le Sezioni Unite precisarono che la funzione dell’assegno divorzile era esclusivamente assistenziale.

Quindi il giudice doveva innanzitutto verificare se esisteva una sproporzione tra le condizioni economiche dei coniugi e, in caso affermativo, determinare l’assegno in favore del coniuge economicamente svantaggiato, sulla base del criterio del tenore di vita coniugale.
In secondo luogo, doveva utilizzare gli altri criteri, previsti nella prima parte dell’articolo 5 della legge sul divorzio, per stabilire l’esatto ammontare dell’assegno (ragioni della decisione, durata del matrimonio, contributo dei coniugi alla vita coniugale ecc.).

Dal 1990 si è assistito a un periodo di grande stabilità da parte della giurisprudenza, che ha appoggiato con costanza questa interpretazione.
Tuttavia, nel 2017 si è avuto un rivoluzionario intervento della Prima Sezione della Corte di Cassazione: con la sentenza n. 11504 la Corte ha affermato che occorreva valorizzare maggiormente l’autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi. E, inoltre, che i criteri fino ad allora utilizzati per la determinazione dell’assegno potevano tradursi in un ostacolo alla costituzione di un nuovo nucleo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell’individuo.

Pertanto la Prima Sezione non ha ritenuto configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. L’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile non era, secondo la Corte, il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento dell’indipendenza economica.

A seguito di questo cambiamento di rotta si è reso necessario un intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che è arrivato nel 2018, con la sentenza n. 18287.
Secondo la Corte, alla luce del principio di solidarietà post coniugale e nel rispetto degli artt.2 e 29 della Costituzione, l’assegno divorzile non ha solo funzione assistenziale ma anche compensativa ed equilibratrice. Se risulta che un coniuge è privo di mezzi adeguati o è oggettivamente impossibilitato a procurarseli, è necessario analizzare le cause sulla base dei parametri indicati all’art. 5 comma 6 della legge n. 898/1970. In particolare il giudice, dopo aver comparato le condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi e verificato che sussiste un dislivello reddituale, deve considerare non soltanto il grado di autosufficienza economica in astratto ma, in concreto, il livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, della durata del matrimonio e dell’età del coniuge.

In definitiva quindi il parametro da utilizzare è quello dell’autosufficienza economica che va però integrato, sulla base della funzione compensativa ed equilibratrice dell’assegno divorzile, da una valutazione del contributo che il coniuge ha dato alla vita familiare.
Questo nuovo indirizzo interpretativo sembra essere stabile. È  stato infatti confermato dalla stessa Corte di Cassazione con l’ordinanza 30 agosto 2019, n. 21926 e di recente, nel mese di dicembre 2020, con l’ordinanza n. 28104.

 

Fonti per approfondire:

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Monti-Faenza, Res publica 4ed, pp. 55 ss.
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 1, pp. 237 ss.

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