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Legenda

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  L’interruzione dei trattamenti sanitari in caso di stato vegetativo: la sentenza Parfitt VS The United Kingdom

P.K. è nata nell’aprile 2015. A soli venti mesi le è stata diagnosticata una malattia terminale chiamata Encefalopatia necrotizzante acuta (ANE). La malattia ha provocato gravi danni celebrali e P.K. si trova in uno stato vegetativo permanente. Una persona in stato vegetativo è stabilmente priva di coscienza e non presenta segni sia pur minimi di percezione cosciente o di movimenti volontari.
Le condizioni di P.K. perdurano da più di un anno e mezzo, e non c’è alcuna prospettiva di miglioramento. P.K. è mantenuta in vita tramite ventilazione artificiale (cioè una macchina che le immette aria nei polmoni) e nutrizione medicalmente assistita.
Il 9 marzo 2020 il Servizio sanitario nazionale si è rivolto al Tribunale chiedendo di sospendere il trattamento di sostegno vitale di P.K., rappresentata separatamente dal tutore.
La madre si è opposta, chiedendo che P.K. fosse riportata a casa e seguita a domicilio, sottoponendola a ventilazione a lungo termine e alle altre terapie di sostegno.
I medici dell’ospedale erano unanimi nel ritenere che la richiesta della madre fosse contraria all’interesse superiore di P.K.
Tuttavia, alcuni specialisti indipendenti avevano un’opinione diversa. In particolare, il dottor W., consulente di pediatria respiratoria al Great Ormond Street Hospital for Children, affermava che il caso di P.K. potesse essere gestito al di fuori dell’unità di cura critica, ferma restando la necessità di un team di specialisti 24 ore su 24. Secondo il dottor W., trasferire la paziente a casa e lì sottoporla alla ventilazione assistita a lungo termine, avrebbe avuto una possibilità su quattro di successo. La sua posizione era ampiamente sostenuta dai dottori P. e C., rispettivamente un consulente intensivista pediatrico e fisioterapista respiratorio pediatrico specializzato.

Il giudizio nazionale: le conclusioni del giudice dell’Alta Corte e del giudice dell’Appello.

Nonostante la presunzione che la vita debba essere preservata, il giudice ritiene che, nello specifico caso di P.K., il prolungamento della vita non corrisponda al suo migliore interesse. Non solo P.K. non ha coscienza e non trae alcun beneficio dalla vita, ma sopporta quotidianamente il peso della sua condizione profondamente invalidante. Non c’è speranza di miglioramento delle sue condizioni, e dal prolungamento della sua vita non può attendersi alcun beneficio di natura sociale, emotiva, psicologica o altro.
Per quanto riguarda l’opzione “B”, e cioè la possibilità di gestire la paziente a casa, il giudice ha tenuto pienamente conto dell’esperienza del dottor W. e delle prove fornite alla Corte. Tuttavia, ha ritenuto troppo ottimistica la valutazione del dottor W. di una possibilità su quattro di successo del trasferimento a casa e del trattamento domiciliare. Una valutazione difficilmente conciliabile con il fatto che le condizioni di P.K. fossero “al limite”.
Inoltre il giudice ha rilevato che non era stata fatta alcuna verifica per accertare se la casa della famiglia di P.K. fosse idonea a ospitare la paziente, le attrezzature e il necessario team di assistenza. Non c’erano quindi, a suo giudizio, elementi sufficienti per ritenere che il pacchetto di assistenza domiciliare fosse praticamente realizzabile.
Infine, il giudice ha affermato che P.K. non avrebbe tratto alcun vantaggio dall’assistenza domiciliare perché sarebbe comunque rimasta inconsapevole dell’ambiente circostante e priva di interazioni con gli altri. Anzi, poiché l’assistenza domiciliare non avrebbe mai potuto replicare quella ospedaliera, il trasferimento a casa sarebbe stato più un danno che un beneficio.
Contro questa sentenza la madre di P.K. presenta ricorso in appello, avanzando una serie di argomenti, ma la Corte respinge il ricorso.
La ricorente decide quindi di rivolgersi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

Il ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo

Tra i motivi di ricorso principali, la ricorrente ha sostenuto che sospendere il trattamento di sostegno vitale violasse l’articolo 2 della Convenzione EDU (che protegge il diritto alla vita). Inoltre, contestava che la decisione sulle cure da applicare a P.K. venisse presa dallo Stato e non da lei, madre della bambina, affermando che i giudici nazionali non avessero tenuto sufficientemente conto della vita familiare di madre e figlia tutelate dell’articolo 8 della Convenzione EDU.

Per quanto riguardo la violazione dell’art. 2 CEDU (diritto alla vita), la Corte ha riconosciuto che il quadro normativo del Regno Unito non presenta alcuna carenza tale da rappresentare una violazione del diritto alla vita e dell’obbligo delle autorità interne di proteggerlo.

Con riferimento all’art. 8 CEDU, la Corte ammette che la decisione dell’Alta Corte ha interferito con il diritto della ricorrente al rispetto della sua vita familiare. Ma non ogni interferenza è, di per sé, illecita. Non lo è se persegue uno scopo legittimo e con mezzi proporzionati. A questo riguardo, la Corte ritiene che le decisioni dei tribunali nazionali sul caso di P.K. non si possano definire “arbitrarie”. I giudici hanno operato un controllo meticoloso e approfondito; tutti gli interessati sono stati rappresentati separatamente per tutto il tempo; sono state ascoltate prove di esperti ampie e di alta qualità; è stato dato peso a tutti gli argomenti sollevati; e i giudici hanno fornito una motivazione chiara e ampia a sostegno delle loro conclusioni.
Pertanto, la Corte ha ritenuto che il ricorso ai sensi dell’art. 8 CEDU debba essere respinto anche in quanto manifestatamente infondato.

 

Attività

La sentenza Parfitt VS The United Kingdom è densa di dilemmi morali oltre che giuridici.
Dopo aver letto l’articolo e i materiali di approfondimento, provate a simulare in classe la causa.
Dividetevi in gruppi:

  1. il primo gruppo rappresenterà la Corte Europea dei diritti dell’Uomo
  2. il secondo gruppo rappresenterà la ricorrente, la madre di P.K.;
  3. il terzo gruppo rappresenterà il tutore della bambina;
  4. il quarto gruppo rappresenterà lo Stato inglese.

Ogni gruppo potrà argomentare diversamente e potrà far valere la sua posizione.
In questo processo simulato anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo (il primo gruppo) potrà giungere a conclusioni diverse dalla sentenza che abbiamo esaminato.

 

Fonti per approfondire: 

 

Riferimenti nei testi Zanichelli: 

  • Monti-Faenza, Res publica 4ed, pp. 79
  • Ronchetti, Diritto e legislazione turistica 4ed, vol. 2, p. 49
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 3, p. 49

 

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