Una tassa minima globale per le grandi multinazionali
Tra gli appuntamenti del G7, tenutosi a Londra nella prima metà del mese, quello del 5 giugno rappresenta una delle novità più interessanti dal punto di vista economico. I ministri delle finanze dei paesi coinvolti (Italia, Canada, Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Giappone) hanno siglato un accordo che prevede l’introduzione di una tassa minima globale sui profitti delle grandi imprese multinazionali, tecnologiche e non. Il raggiungimento dell’intesa è stato celebrato come un “passo storico verso una maggiore equità e giustizia sociale per i cittadini”, nelle parole del premier Mario Draghi.
Di cosa si tratta esattamente?
La Global minimum tax propone di modificare il regime di tassazione delle grandi imprese multinazionali abbandonando l’utilizzo esclusivo del criterio della sede fiscale e applicando un’aliquota minima omogenea (almeno il 15%) in tutti i paesi dove vengono venduti beni e servizi. L’intervento andrebbe a colpire i profitti realizzati all’estero che verrebbero così riallocati nei paesi dove risiedono i consumatori dei beni e servizi venduti.
La riforma prevederà una serie di soglie di reddito che, considerando il fatturato globale dell’impresa e quello localizzato nei singoli paesi, permetterà l’individuazione dei soggetti passivi d’imposta. Con questo intervento di politica espansiva si otterrebbero diversi vantaggi:
- La previsione di un’aliquota omogenea impedirebbe l’attuale concorrenza tra gli Stati sulle modalità di tassazione delle grandi imprese superando le digital tax (tasse sui servizi digitali) nazionali e le altre misure unilaterali (misure che finora hanno dimostrato poca efficacia).
- La tassa globale, applicandosi ai profitti esteri, scoraggerebbe l’attuale erosione delle basi imponibili causata dalla migrazione dei proventi delle grandi imprese verso i paradisi fiscali. Permetterebbe, in parole povere, di tassare le multinazionali nei luoghi dove generano effettivamente dei profitti, piuttosto che nel luogo scelto come sede dell’impresa.
- I proventi per i singoli Stati sarebbero significativi e consentirebbero di far fronte a nuovi e necessari investimenti nell’ottica del rilancio economico post-pandemico, della sostenibilità e della lotta al cambiamento climatico.
La proposta si inserisce nel più ampio quadro del BEPS 2.0 (Base Erosion and Profit Shifting Project) dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Si tratta di un tavolo di lavoro internazionale cui partecipano già 140 paesi e che mira all’armonizzazione delle politiche fiscali internazionali.
Questo primo accordo è stato possibile grazie al cambio di rotta degli Stati Uniti, alla spinta propulsiva dell’amministrazione Biden e della Segretaria del tesoro Janet Yellen. Perché la Global Tax diventi realtà, tuttavia, sarà cruciale il raggiungimento dell’intesa comune anche negli altri Paesi europei. La realizzazione di un intervento fiscale così impattante, infatti, sarà possibile solo se sarà rispettato il carattere dell’omogeneità e gli Stati riusciranno a fare fronte comune.
Il prossimo appuntamento è quindi al G20 di Luglio, dove gli Stati estenderanno la proposta a tutti i membri con la speranza di raggiungere un accordo globale che permetta di passare il prima possibile alla definizione dei caratteri operativi della riforma.
Attività
Dividetevi in gruppi e, con l’aiuto del docente, realizzate una ricerca online per rispondere a queste domande: Come funziona un paradiso fiscale? Quali sono i paesi della blacklist? Come si definisce una società off-shore?
Fonti per approfondire:
- https://www.ipsoa.it/documents/fisco/fiscalita-internazionale/quotidiano/2021/06/15/global-minimum-tax-consenso-g7-primi-veti-proposta-usa-tassazione-multinazionali
- https://www.ilsole24ore.com/art/g7-accodo-storico-tassa-minima-globale-15percento-le-grandi-imprese-AE9TdLO
Riferimenti nei testi Zanichelli:
- Righi Bellotti, Economia Globale 2 ed, vol. 2, pp. 422-429
- Righi Bellotti, Il mondo dell’economia, pp. 387-393
Tag: G7, Global minimum tax, macroeconomia, multinazionali, politica fiscale, tasse