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  Decreto delocalizzazioni e finanziamenti pubblici: dal MISE due direttive per salvaguardare i posti di lavoro e la gestione dei tavoli di crisi

Sul vento della ripartenza per l’economia italiana, spinto da un ingente piano di investimenti pubblici, aiuti alle imprese in crisi e incentivi all’occupazione, si agita il dibattito sul Decreto Delocalizzazioni. Un intervento di politica economica del Governo che dovrebbe essere approvato entro settembre, ma del quale è già in circolazione una prima bozza.

 

Il decreto Orlando-Todde (dai nomi del ministro del lavoro Andrea Orlando e della viceministra per lo sviluppo economico Alessandra Todde) si occuperà infatti di una materia a dir poco delicata, prevedendo nuovi obblighi e sanzioni per le imprese che intendono chiudere o trasferire fuori dall’Italia i propri siti produttivi.
Come spesso accade in questi casi, il dibattito vede confrontarsi coloro che difendono le istanze del libero mercato (il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha sostenuto che il decreto farebbe fuggire le imprese in Spagna) e coloro che vorrebbero un maggior intervento regolatore dello Stato a difesa dei contratti di lavoro, per contrastare gli effetti distorsivi del mercato globalizzato.
Il decreto arriva in un momento di forti preoccupazioni, anche nell’opinione pubblica, per la chiusura e delocalizzazione di stabilimenti di imprese come Whirlpool e Gkn.

Ad assumere una posizione fortemente critica nei confronti del decreto sono stati proprio gli imprenditori, spaventati dall’eccessiva rigidità del decreto che, allo stato attuale, prevederebbe un nuovo iter di obblighi e comunicazioni per le imprese da 250 dipendenti in su che intendano chiudere un sito produttivo per “ragioni non determinate da squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne renda probabile la crisi o l’insolvenza“, pena sanzioni pecuniarie e blacklist con il blocco dei finanziamenti pubblici.

L’articolo 41 della Costituzione

Ad essere coinvolta, sul piano strettamente giuridico, è l’interpretazione di un principio fondamentale del diritto del lavoro italiano: la libertà di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 della Costituzione.
L’articolo 41 recita:
“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Se è certo che occorre tutelare la libera concorrenza sul mercato (nazionale e internazionale) e la libertà degli operatori economici di muoversi al suo interno, negli ultimi anni si discute sempre più sul significato da dare al concetto di “utilità sociale” e della difesa dei diritti dei lavoratori, spesso messi in secondo piano rispetto alle esigenze della produzione.

L’intervento del MISE

Mentre si discutono soluzioni di compromesso per smussare gli angoli della bozza, il Ministro dello sviluppo economico (MISE) Giancarlo Giorgetti interviene con due documenti. Essi prevedono: 1) l’inserimento di una clausola occupazionale nelle misure di sostegno finanziario stanziate dal MISE alle imprese e 2) la riorganizzazione dei tavoli di crisi gestiti dal ministero.
Vale la pena ricordare che l’espressione “tavoli di crisi” è ormai diventata di uso comune nella gestione delle crisi aziendali, e indica una serie di riunioni gestite dal MISE a cui partecipano i dirigenti del ministero e i rappresentanti dell’azienda e del sindacato.

1 La strategia premiale

In primis, i fondi pubblici (incentivi, finanziamenti, agevolazioni, ecc.) a sostegno delle imprese andranno assegnati con preferenza alle imprese che si impegneranno ad assumere lavoratori residenti nel territorio di investimento, vittime di licenziamenti collettivi o dovuti ai tavoli di crisi, percettori di assegni di sostegno al reddito. La previsione di una misura di tipo premiale, piuttosto che sanzionatorio, vorrebbe spingere gli imprenditori alla salvaguardia dell’occupazione territoriale e potrebbe diventare un efficace strumento di politica attiva per i lavoratori vittime delle chiusure del periodo Covid.

2 Rivedere i tavoli di crisi

Per quanto riguarda i tavoli di crisi gestiti dal ministero, l’atto di indirizzo del Ministro parla di maggiore trasparenza e di una revisione degli iter di accesso e di conclusione delle procedure.
Occorrerà delimitare con maggior precisione i requisiti di accesso alla struttura di crisi del Ministero e cioè chiarire quando le conseguenze di una chiusura/delocalizzazione possano assumere rilevanza nazionale. È prevista anche maggiore trasparenza sia sull’apertura delle vertenze – che potrà essere promossa d’ufficio ma anche dall’azienda, dai creditori, dai sindacati e dalle amministrazioni degli enti locali – sia sulla loro conclusione, attraverso la pubblicazione di resoconti semestrali che illustrino le scelte fatte in sede di gestione della crisi.

 

Attività

Come sappiamo, le imprese che delocalizzano decidono di trasferire le proprie sedi verso Paesi in cui le condizioni produttive sono più favorevoli da un punto di vista economico, fiscale e/o normativo. Il tema delle delocalizzazioni vede da sempre una insanabile contrapposizione. Da un lato c’è la posizione del liberismo economico, che guarda con favore all’idea di un mercato globale in cui le imprese si muovono indipendente dagli Stati perseguendo gli obiettivi di massimizzazione del profitto e della produzione.
Dall’altro lato c’è chi ritiene che gli Stati dovrebbero riappropriarsi del proprio ruolo di controllo delle economie nazionali salvaguardando prima di tutto la dignità dei lavoratori e il benessere del proprio tessuto economico e territoriale (protezionismo).
Sotto la guida del docente, dividetevi in due gruppi e conducete una ricerca: quali sono le ragioni dei liberisti e quali quelle dei protezionisti?

 

Fonti per approfondire: 

 

Riferimenti nei testi Zanichelli:

  • Righi Bellotti, Economia Globale, 2 ed, vo. 2  pp. 345-361
  • Ronchetti, Diritto ed economia politica 4ed, vol. 2 pp. 300 e 354

 

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