, , ,

 Modulo E – La natura antropologica della guerra

Aggressione e guerra

La nostra natura biologica ed il nostro retroterra evolutivo possono aiutarci a comprendere alcuni aspetti della guerra. È indiscutibile che, come specie, noi siamo in grado di effettuare aggressioni ad un livello senza pari, ma questa capacità di sviluppare una forma di violenza collettiva non spiega il fenomeno della guerra: infatti, anche se l’aggressione è una caratteristica universalmente diffusa, non avviene lo stesso per l’attività bellica. Le società che la praticano combattono solo saltuariamente e in molte culture la guerra è del tutto assente. Sono le circostanze della vita sociale che possono spiegare questa diversità. Tuttavia, l’immagine dell’umanità segnata dalla bramosia di sangue, inarrestabilmente in marcia per uccidere, è un mito di grande potere e un sostegno importante del militarismo della nostra società. Nonostante esso manchi di credibilità scientifica, ci saranno sempre dei cocciuti «realisti» che continueranno a crederci, complimentandosi con se stessi per la loro «capacità di far fronte all’amara verità», caparbiamente dimentichi del mito che sta alle spalle della loro interpretazione della realtà

Qual è lo scopo della guerra?

Poiché la densità demografica delle società di piccoli gruppi e di villaggio è generalmente molto bassa, può spesso sembrare che non vi siano basi infrastrutturali per la guerra presso tali culture. L’apparente assenza di motivazioni materiali per l’attività bellica è stata di conforto alle teorie comuni che imputano la guerra, in società a struttura pre-statuale, ad una innata tendenza degli esseri umani verso l’aggressività (…). Una variazione sul tema è la teoria secondo la quale i piccoli gruppi e le comunità di villaggio fanno la guerra non per ottenere vantaggi materiali ma perché gli uomini la considerano uno sport piacevole. Tali teorie sono insoddisfacenti. Anche se gli esseri umani possono avere delle tendenze aggressive, non c’e alcuna ragione perché esse non possano essere represse, controllate o espresse i modi diversi dalla lotta armata. La guerra è una particolare forma di attività organizzata che si è sviluppata durante l’evoluzione culturale allo stesso modo di altre caratteristiche strutturali, quali lo scambio, la divisione del lavoro e i gruppi domestici. Così come non esiste alcun istinto per nessuna di tali caratteristiche, allo stesso modo non ve ne è uno per la guerra. Essa viene combattuta soltanto nella misura in cui è vantaggiosa per alcuni dei combattenti.
La teoria secondo la quale si entra in conflitto perché si tratta di uno sport piacevole è contraddetta dal fatto che il motivo più frequente, citato dai guerrieri delle società di banda e di villaggio per la guerra, è la vendetta di morti provocata da scontri precedenti o da nemici stregoni. Ci si impegna raramente a cuor leggero in un combattimento; i guerrieri hanno bisogno di galvanizzarsi con danze e canti rituali e spesso partono solo dopo aver frenato le loro paure con l’assunzione di droghe psicotrope. Benché alcuni sport come il pugilato e le corse automobilistiche siano anch’essi molto pericolosi, non comportano lo stesso livello di rischio mortale a cui si espongono i combattenti armati. Inoltre, non si sa con certezza se questi sport pericolosi sarebbero praticati se non vi fossero i sostanziosi premi materiali che spettano al vincitore.
Come si è visto nel Capitolo 5, sono i pesanti oneri dell’allevamento dei figli che portano ad una bassa densità demografica e a indici contenuti nella crescita della popolazione presso le società di piccoli gruppi e quelle di villaggio. Perciò, il fatto che tale densità sia ridotta non significa che questi due tipi di società non siano minacciati dall’impoverimento delle risorse vitali o dalla riduzione della produttività. In esse, la guerra comporta quasi sempre lo scopo di salvaguardare o migliorare un tenore di vita minacciato, procurandosi l’accesso a risorse essenziali, ad un habitat più salutare o a vie commerciali. Quindi, si può comprendere meglio la guerra se la si considera una mortale forma di competizione tra gruppi autonomi per accaparrarsi risorse limitate.

M. Harris, Lineamenti di antropologia culturale, Zanichelli, Bologna 1999