Cronologia

La penetrazione europea nella regione del Corno d’Africa e del golfo di Aden iniziò dopo la costruzione del canale di Suez (1869), che diede importanza strategica al collegamento fra il mar Rosso e l’oceano Indiano. I francesi stabilirono il loro controllo sulla zona di Gibuti (la città venne fondata nel 1888). La parte settentrionale della Somalia entrò a far parte dell’impero britannico nel 1887; quella meridionale divenne protettorato italiano nel 1889 e nel 1905 fu trasformato in colonia. Dopo la guerra d’Etiopia e la costituzione dell’impero nel 1936, la colonia della Somalia italiana entrò a far parte dell’Africa orientale italiana. (vedi carta)
Al termine della seconda guerra mondiale l’ex colonia italiana rimase fino al 1950 sotto l’amministrazione provvisoria inglese; da quell’anno venne affidata dall’ONU all’amministrazione fiduciaria italiana per prepararla all’indipendenza. Questa fu dichiarata nel 1960; il territorio dello stato somalo riunì insieme le ex colonie inglese e italiana. La piccola regione di Gibuti, invece, rimase a lungo colonia francese, fino all’indipendenza nel 1977.

Gli anni recenti
1991: in gennaio cade il regime di Siad Barre, dopo un'insurrezione della popolazione della capitale Mogadiscio. Barre, che era andato al potere con un colpo di stato nel 1969, si era impegnato in una rovinosa guerra con l’Etiopia e si era messo in contrasto con i diversi clan del paese.
1992: inizia una feroce guerra fra le diverse fazioni armate che si spartiscono il paese e combattono per la capitare Mogadiscio. La situazione sociale ed economica del paese, già catastrofica, è resa intollerabile dalla carestia. L’ex Somalia britannica si costituisce in Somaliland, ma non ottiene riconoscimento internazionale. L'ONU decide l'invio di un contingente militare in Somalia, sotto la guida degli Stati Uniti. La missione, nata col compito di rendere possibile la distribuzione degli aiuti alimentari alla popolazione, è condotta con scarsa coesione e talora in maniera confusa. L'obiettivo di disarmare le fazioni in lotta non viene raggiunto, e soprattutto a Mogadiscio il comando USA tende a dare un profilo militare alla missione. Solo fuori dalle grandi città l'obiettivo umanitario viene in parte realizzato. Più volte le truppe dell'ONU si trovano coinvolte in scontri armati. Gli USA e altri Paesi (fra cui l'Italia) decidono di porre termine alla missione.
1995: in marzo gli ultimi contingenti dell'ONU abbandonano la Somalia; divampa il conflitto fra i «signori della guerra», fra i quali cominciano a emergere anche fazioni islamiste.
1996-1997: dopo la morte di un potente capoclan, Muhammad Aidid, i clan accettano di incontrarsi per formare un governo di unità nazionale, ma le trattative falliscono. Un’altra regione della Somalia, il Puntland, si proclama autonoma.
2000-2001: a Gibuti viene eletto presidente della Somalia Abdulkassim Salat Hassan che tenta di insediarsi a Mogadiscio. Ma si riaccende di nuovo la guerra civile (fra le milizie del governo di transizione e quelle di Hussein, figlio di Aidid) e il paese precipita di nuovo nell’emergenza umanitaria. Nel settembre 2001 anche il personale umanitario dell’Onu viene evacuato.
2002-2005: ancora accordi vengono firmati, a Nairobi in Kenya dove ha sede il governo provvisorio, dalle diverse fazioni per la formazione di un parlamento; ma la guerra civile ricomincia nell’estate del 2004. Il parlamento di transizione elegge un presidente, Abdullahi Yusuf, e un premier Ali Mohammed Ghedi.
2006-2008: entrano nel conflitto le Corti islamiche. In origine le corti erano organi giuridici che a Mogadiscio avevano la funzione di dirimere contese e di assistere la popolazione dei quartieri della capitale. Negli anni della guerra civile avevano organizzato proprie milizie armate per mantenere l’ordine pubblico. Dopo l’attacco attuato dai signori della guerra in lotta questi organismi si uniscono nell’Unione delle corti islamiche e riescono a cacciare da Mogadiscio le milizie dei clan. L’Unione prende il controllo della capitale ed amplia il territorio sotto il suo controllo, mentre il Governo federale di transizione (TFG) si installa a Baidoa, nel sud del paese. Le corti islamiche cercano di creare uno stato islamico, ma con limitato successo. Nel dicembre 2006, con l’appoggio di truppe etiopiche sostenute dagli Stati Uniti, il governo provvisorio riprende il controllo della capitale; ma il successivo ritiro degli etiopici (gennaio 2009) lascia di nuovo il paese a rischio caos. Yusuf si dimette, lasciando il posto al suo primo ministro Nur Hassan Hussein.
Per risolvere l’intricata situazione si tengono difficili negoziati a Khartum, sotto il controllo dell'Unione africana, della conferenza dei paesi dell'Africa occidentale (Igad) e di un gruppo di contatto internazionale di cui fa parte anche l'Italia. I negoziati puntano a un difficile accordo fra il TFG e la fazione meno estremista degli islamisti.

2009-2012: S'intensifica l'attivita dei pirati nel golfo di Aden contrastata con qualche successo dalle unità militari che, in base alla risoluzione ONU del novembre 2008 sono autorizzate a intervenire a protezione delle navi mercantili e delle petroliere anche con interventi in territorio somalo.
Entra in azione una missione internazionale (AMISOM, Missione internazionale africana in Somalia), che schiera dapprima 8000 soldati di Gibuti, Uganda, Burundi, raddoppiati nel 2012 e allargati alla partecipazione del Kenya. La missione è rafforzare il TFG nel consolidamento dello stato somalo e nella ricostituzione di un'amministrazione su base federale. Presidente del TFG è Sheikh Ahmed, già capo delle Corti islamiche e membro del maggiore clan del paese.
Nel 2011 una grave carestia nella regione di Mogadiscio riporta all'attenzione mondiale la precarietà della situazione in Somalia e le condizioni dificilissime in cui vive la popolazione.

Il 1 agosto 2012 viene approvata a Nairobi una Costituzione provvisoria. La missione AMISOM viene prorogata fino a ottobre 2012.