Somalia

Scheda

La pirateria, non solo in Somalia

La pirateria in Somalia esiste dagli anni Novanta, e si afferma inizialmente come reazione alla pesca illegale da parte di pescherecci stranieri. Nel primo decennio del Duemila le attività dei pirati si moltiplicano; il prosperare della pirateria è in diretta relazione con la disgregazione dello Stato che affligge la Somalia (vedi cronologia).

Approfittando dell’assenza dello stato, le organizzazioni criminali gestiscono in quest’area un’economia che si basa sul traffico di armi e di persone, sul taglieggiamento dei pescherecci stranieri (perlopiù giapponesi e cinesi) che operano nelle acque somale e sul sequestro di mercantili e yacht di passaggio. I capi si trovano nei governi locali e nella capitale Mogadiscio, oppure a Nairobi e a Dubai. Molti temono che in questa situazione di assenza di controllo la pirateria possa essere utilizzata anche da organizzazioni terroristiche.

Quanto alla pirateria in senso stretto, pare che le organizzazioni che la praticano siano una quindicina. Non sono in genere interessate al carico, bensì al pagamento di un riscatto; dunque queste azioni seguono la logica dei sequestri di persona. Nel 2008 si contano una sessantina di arrembaggi e i riscatti pagati raggiungono i venti milioni di euro.

Le basi dei pirati (e i rispettivi cantieri navali) si trovano soprattutto nella regione del Puntland, nel nord della Somalia; la principale è il porticciolo di EYl, da molti soprannominato "la Tortuga somala". La maggior parte degli attacchi tuttavia si realizza lungo la costa dello Yemen, la cui guardia costiera è del tutto insufficiente a presidiare quel tratto di mare.

La risoluzione Onu n. 1851 del  16 novembre 2008 (vedi testo, in lingua inglese), approvata all’unanimità, autorizza l’esecuzione di operazioni militari anche sul territorio somalo e nel suo spazio aereo, finalizzate all’inseguimento dei pirati. La risoluzione prevede che si possano «prendere tutte le misure necessarie in Somalia, anche nello spazio aereo, allo scopo di interdire chi utilizza il territorio somalo per pianificare, facilitare e mettere in atto atti di pirateria o assalti armati in mare».
Queste operazioni devono essere autorizzate dal governo federale transitorio somalo (TFG). Da allora il contrasto all'attività dei pirati ottiene risultati significativi, ma il problema resta attuale.

Il golfo di Aden è attraversato da una delle rotte mercantili più trafficate del mondo, quella che collega il Mediterraneo (e dunque la parte settentrionale dell’oceano Atlantico), attraverso il canale di Suez, con il mar Rosso e l’oceano Indiano. Vi transitano oltre 16000 navi all’anno, il dieci per cento del commercio marittimo mondiale.

Tuttavia vi sono altre zone in cui il pericolo di incursioni di pirati è alto: la Nigeria, il mar Cinese meridionale, lo stretto di Malacca. Fino a pochi anni fa quest’ultimo era considerato la zona più pericolosa. Ma i governi asiatici hanno svolto un’efficace opera d’interdizione, individuando molti capi delle organizzazioni in Malesia e in Indonesia concordando azioni comuni.